Via Cardinal Pietro La Fontaine, Viterbo, informazioni turistiche e fotografie a cura di Anna Zelli sito ufficiale web www.annazelli.com
Via Cardinal La Fontaine |
via cardinal pietro la fontaine viterbo centro storico | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
VIA CARDINAL PIETRO LA FONTAINE VITERBO |
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Via Cardinal Pietro La Fontaine,Viterbo, ex via Principe Umberto, la via prende il nome del cardinale viterbese La Fontaine che fu patriarca di Venezia, il percorso ricalca l’antica via etrusca che dal colle del Duomo o San Lorenzo, andava verso i monti Cimini. Qui oltre alla chiesa del Gonfalone si ammirano palazzi gentilizi di diverse epoche ed architettura che si allineano con continuità offrendo un insieme armonico e gradevole. Ai lati della via si dipanano vie e viuzze sul lato destro, venendo da via San Lorenzo si accede al quartiere medioevale di San Pellegrino La zona conserva quasi interamente intatto l’antico carattere medioevale. Si accede a via La Fontaine da via San Pietro, da via delle Fabbriche, da via Annio, da via del Macel Maggiore, da via San Carluccio, da via San Lorenzo, da piazza della Morte, da via Grotti, da piazza don Mario Gargiuli che immette su piazza Santa Maria Nuova, da via del Lauro, via Ottusa, via dell’Olimetro, via Madonna del Riposo, che porta a piazza del Fosso, da via del Riccio, via delle Fabbriche, via dell'Ortaccio, via San Leonardo. Cardinale Pietro La Fontaine Cardinale Pietro La Fontaine nacque a Viterbo il 29 novembre 1860, e morì a Paderno del Grappa il 9 Luglio 1935, fu cardinale consacrato da Papa Benedetto XV e patriarca di Venezia dal 1915 fino alla morte. Era secondogenito di 5 figli, di Francesco La Fontaine e di Maria Bianchini, figlia di Giuseppe Bianchini nobile di Albano e amministratore generale delle proprietà dei Principi Doria Pamphili Landi. Nel 1874 entrò in seminario e ordinato presbiterio nel 1883 rimase a Viterbo per oltre 20 anni come docente e direttore spirituale nel locale seminario diocesano divenne canonico capitolare della cattedrale di Viterbo e cappellano del carcere di Santa Maria in Gradi. Il 13 settembre 1906 fu consacrato vescovo di Cassano allo Ionio, in Calabria, dal cardinale Pietro Respighi. Il 28 dicembre 1908 un terribile terremoto che distrusse le città di Reggio Calabria e Messina con oltre 800.000 morti. Monsignor La Fontaine aprì le porte del palazzo vescovile per accogliere 50 piccoli orfani che vi rimasero per due mesi, poi la popolazione fece a gara per soccorrere i bambini.Il 1º aprile 1910 fu nominato vescovo della sede titolare di Caristo, si trasferì a Roma dove fu nominato vicario del cardinale arciprete della basilica lateranense e segretario della congregazione dei Riti, ufficio che lo portò a prendere parte alle riforme volute da Papa Pio X in ambito liturgico, in particolare alla riforma del breviario. Il 5 marzo 1915 Papa Benedetto XV lo promosse patriarca di Venezia e il 4 dicembre 1916 lo nominò cardinale con il titolo di Cardinale presbitero dei Santi Nereo e Achilleo. Visse il periodo drammatico della Prima Guerra Mondiale e subito dopo la fine della guerra si impegnò attivamente presso le autorità pubbliche cittadine e i governi per ottenere interventi per il rilancio dell'occupazione, la regolamentazione dei prezzi degli affitti, la costruzione di case popolari e la riduzione delle tasse. Nel contempo sviluppò il suo spirito caritatevole e sollecitò le diocesi del Veneto ad aiutare i meno abbienti e a tale fine destinò loro gran parte delle proprie rendite. Dopo l'avvento del fascismo, nei cui confronti non nascosele sue iniziali simpatie, convinto che il regime mussoliniano potesse favorire un'adesione piena al cattolicesimo, il La Fontaine assunse una linea di collaborazione con le pubbliche autorità. Non rinunciò tuttavia a denunciare in via riservata, ma con forza, i maggiori episodi di violenza fascista contro esponenti e sedi dell'associazionismo cattolico veneziano negli anni Venti e si premurò di pubblicare integralmente nel 1931 l'enciclica “Non abbiamo bisogno”, emanata da Pio XI nel contesto della crisi che investì l'Azione cattolica nell'ambito del contrasto sorto fra la Chiesa e il regime. Assertore della necessità di giungere a una rapida soluzione della questione romana, per la quale si era attivato in diverse occasioni favorendo, tra l'altro, un incontro tra don Luigi Sturzo e il duce nel giugno 1921, accolse con soddisfazione i Patti lateranensi dell'11 febbraio 1929. Negli ultimi anni di vita il cardinale mostrò un graduale affiorare di crescenti perplessità nei confronti del fascismo, specie per l'indisponibilità da questo manifestata a sostenere quella evoluzione in chiave cattolica della società italiana per la quale, in sintonia con Pio XI e l'episcopato italiano, aveva operato costantemente. Negli ultimi tempi le sue condizioni fisiche, aggravate dal diabete, peggiorarono rapidamente. Morì nel seminario minore di Fietta di Paderno del Grappa, Treviso il 9 luglio 1935. I solenni funerali si svolsero il 12 luglio nella Basilica di San Marco.Il 22 febbraio 1960 il patriarca di Venezia card. Giovanni Urbani ne aprì la causa di beatificazione. Chiesa S. Giovanni Battista del Gonfalone Chiesa di San Giovanni Battista del Gonfalone, via Cardinale La Fontaine, Viterbo, la chiesa fu voluta dalla Compagnia del Gonfalone, i quali custodivano il Gonfalone della città di Viterbo che si conservava nella antica e piccola chiesa di san Giovanni in Valle sotto il Colle del Duomo. Fu il Cardinale Francesco Maria Brancacci nel 1665 a benedire la posa in opera della prima pietra della nuova Chiesa ed Oratorio della Compagnia del Gonfalone. Da notare che durante le processioni non si utilizzava l’originale dello stendardo del Gonfalone ma copie. La chiesa in via La Fontaine, fu eretta tra il XVII e il XVIII secolo, è un esempio di barocco viterbese e fu voluta dalla Confraternita del Gonfalone, dalla quale ne ha preso il nome. Questa Confraternita era presente a Viterbo già dal XII secolo e si riuniva in una contrada in Valle, poi nel 1561 si unì alla congregazione Romana del Gonfalone, fondata da San Bonaventura da Bagnoregio, assumendone sia l’insegna che la divisa, un abito a forma di sacco bianco con cappuccio e cordone dello stesso colore e con una croce bianca e rossa in campo azzurro sulla spalla destra. La finalità della Confraternita era quella di raccogliere fondi sia per il riscatto dei cristiani tenuti prigionieri dai turchi che di poter dare una dote alle ragazze rimaste orfane e di buoni costumi. Poiché nel tempo l’oratorio in Valle era divenuto inadatto alle esigenze della Confraternita, nel 1664 acquistarono un terreno ove poter edificare una nuova chiesa. Nel 1664 la Congregazione acquistò un orto con casa e torracchio, a tale acquisto, contribuirono generosamente con 200 scudi gli eredi di Caterina Nini di Nino: i nobili Paluzo Paluzi e Decio Ancaiani. Anche la Confraternita fece quello che poté e vendette un orto che era annesso alla vecchia sede di San Giovanni in Valle, al vescovo Brancacci che lo incorporò al giardino del palazzo episcopale. In merito al torracchio o turraccio, la torre con abitazione annessa si possono notare nella Pianta di Viterbo del Ligustri (1596). Per l’edificazione della chiesa furono distrutti sia gli antichi edifici medioevali che e la torre. La prima pietra venne posta il 21 dicembre 1665 con la benedizione del Cardinale Francesco Maria Brancaccio. L’impianto venne affidato ad un allievo romano del Borromini, l’architetto Govanni Maria Baratta, ligure, che con il fratello Francesco era diventato l’architetto della famiglia Pamphili. Mentre tutte le opere vennero eseguite da mastri e muratori viterbesi, ed anche viterbesi furono gli artisti che decorarono l’interno della chiesa. Per completare la chiesa ci vollero sessanta anni, anche se dal XVII era già la sede dell’Oratorio dei Confratelli che ottennero il diritto di avere sepoltura in questo luogo. La facciata della chiesa è opera dell’architetto romano Francesco Ferruzzi, che ne ebbe l’incarico nel 1725, e l’anno successivo nel 1726, il prospetto venne completato, questa data è evidenziata dall’iscrizione sul cornicione del marcapiano. La facciata, a disegno leggermente concavo, è divisa in due ordini da un ampio mensolone, alle cui estremità sono poste due fiamme in forma di lampade. Nella parte inferiore si apre il portale, al quale si accede mediante otto gradini, con mostre in peperino, sormontato da due stemmi, il più grande dei quali ornato da festoni, raffigura l’arme di Benedetto XIII Orsini e l’altro quella del vescovo Sermattei; ai lati due costoloni in pietra ed altri angolari danno slancio al prospetto nel quale, nella parte superiore, si apre un finestrone tondo inserito in una cornice rettangolare. Anche nella parte alta si ripete il motivo decorativo a costoloni e sulla mensola di chiusura si levano quattro torcere, che simboleggiano la luce della fede. Sulle fiancate dei contrafforti sostengono la metà superiore dei muri. La facciata a due ordini è caratterizzata da lastre in peperino, e l’andamento concavo non si conclude con un timpano ma con una piccola cuspide quasi invisibile dal basso, con il corpo centrale a forma di trapezio e con i lati obliqui ad andamento curvo affiancati da leggere volute. Nel lato sinistro si eleva il campanile a pianta quadrata, inserito nel corpo della costruzione. All’interno della chiesa c’è un pregevole organo del settecento. Oggi la chiesa è custodita dagli Araldi di Maria della Arciconfraternita del Gonfalone Madonna del Carmelo, e quindi la chiesa è tornata a rivivere grazie alla loro disponibilità, tenendola aperta al pubblico con quello spirito che anima chi ama la Madonna e dona a Lei il proprio cuore "rosso" e sangue "blu", che sono i colori della Confraternita. Nella chiesa si venera la statua della Madonna del Carmelo che viene portata in processione nel mese di Luglio di ogni anno..La chiesa ha subito dei restauri nel 1836, di nuovo nel 1911 ad opera dell’imprenditore Giuseppe Coccia, e nel 1988 quando la Cassa di Risparmio di Viterbo ha finanziato il restauro della facciata., il 23 Settembre 1913, la chiesa è stata eretta come vice parrocchia della vicina Chiesa di santa Maria Nova. Il 27 Gennaio 1916 un decreto, a firma di Tommaso di Savoia, fece sì che la Confraternita del Gonfalone consegnasse tutto il patrimonio allo Stato, ciò fu causa della fine della Confraternita stessa. L’ultima riunione della Congregazione dei dodici avvenne il 27 Aprile 1958, e così si chiuse la storia della Confraternita del Gonfalone di Viterbo. Se si passeggia per il centro di Viterbo, si vedranno murate sulle facciate di diverse case, delle formelle della Confraternita del Gonfalone, molte delle quali sono da far risalire al 1764, quando nel Dicembre fu ordinato a Francesco Anselmi di far mettere gli stemmi su tutte le proprietà. Le formelle sono caratterizzate dalla croce della Confraternita e dalla figura di san Giovanni Battista, per lo più sono in peperino, poche in ceramica dipinta a colori. Interno Chiesa del Gonfalone Interno della Chiesa del Gonfalone: via Cardinal La Fontaine, Viterbo, qui troviamo uno dei più stupefacenti e raffinati complessi della pittura barocca viterbese, quasi un museo che raccoglie la produzione dei maggiori artisti della città, realizzata nell’arco di un anno, dal settembre 1756 al febbraio 1757,riccamente decorato, secondo i canoni barocchi, con raffigurazioni simboliche, allegorie, figure di profeti ed episodi del Vangelo e le imponenti figure prospettiche realizzate da Giuseppe Marzetti, viterbese All’entrata della chiesa si può ammirare una grande bussola in legno di noce del XVIII secolo, che qui venne collocata nel 1883 e che proviene dalla vendita di oggetti appartenuti alla Chiesa di san Francesco alla Rocca, che in quel periodo era stata chiusa al culto. L’altare maggiore e il ciborio furono eseguiti nel 1747 su disegno dell’architetto romano Niccolò Salvi, progettista della Fontana di Trevi in Roma. Fu incaricato dell’esecuzione lo scalpellino Pier Francesco Giorgioli che, per scarsezza di fondi, fu costretto a sostituire alcune parti in marmo, previste nel progetto, con il ben più economico peperino. Ai lati dell’altare maggiore sono due figure allegoriche di Sebastiano Carelli di Montefiascone eseguito nel 1772 che rappresentano la Scienza e la Religione. La chiesa internamente è divisa dalle due colonne poste sull’altare maggiore in due sezioni, una zona riservata ai fedeli e l’altra ai confratelli dell’Oratorio. Sull’entrata nella lunetta sopra l’organo, si ammira la Decapitazione del Battista, affrescata nello stesso anno dal Corvi. L’altare del 1746 opera dell’architetto Nicola Salvi, progettista della Fontana di Trevi a Roma e autore dei rifacimenti della chiesa e del convento di S. Maria in Gradi; il paliotto di marmo venato giallo con fascia di contorno in marmo verde e rosso reca al centro il simbolo della Confraternita; il Ciborio con colonnine marmoree termina in una cuspide su cui poggia la Croce. Sul primo altare a destra ci sono due statue in stile barocco, processionali, della Passione e nella cappella sopra l’altare in stucco e pietra di Domenico Lucchi, c’è la pala con San Bonaventura che scrive ispirato dallo Spirito Santo del sec. XVIII. Nelle due finte nicchie ai lati dell’altare maggiore, Sebastiano Carelli di Montefiascone ha dipinto nel 1772 due figure monocrome raffiguranti la Scienza e la Religione. Nella lunetta dell’altare maggiore San Giovanni Battista davanti a Erode, opera del 1756 di un altro artista viterbese, Anton Angelo Falaschi. Il coro ligneo è opera del viterbese Carlantonio Morini, sopra, sulle pareti, tra motivi decorativi monocromi del maestro romano Pietro Piazza vi è una serie di sei riquadri in chiaroscuro dipinti nel 1747 ancora da Pietro Piazza e dal conterraneo Giuseppe Rosa con episodi della vita del Battista: da sinistra: L’Angelo e Zaccaria, Giovanni nel deserto, Dio gli ordina la missione, rimprovera Erode, l’Agnello di Dio, e la Decapitazione. Sulla lunetta dell’abside vi è la raffigurazione dell’Onnipotente probabilmente opera di Giuseppe Rosa. All’interno vi è un dipinto che raffigura la morte di Sant’Anna del XVII secolo, che era già nella chiesa di San Silvestro. In un altare vi è la Madonna Annunziata del XVIII secolo realizzato da Domenico Lucchi, mentre in una delle cappelle vi è un crocefisso in legno dipinto, di datazione incerta.Sul soffitto a volta Vincenzo Stringelli, viterbese, nel 1758 ha affrescato con il tema dell’Empireo grandiosa figurazione con gruppi di angeli e beati, sorretti da nuvole, protesi verso la luce celeste. Giuseppe Rosa ha dipinto a monocromo le vele, i riquadri angolari del soffitto, i lati delle lunette raffigurandovi angeli e figure simboliche sorrette da nubi, puttini in volo; nel grande affresco della volta ha raffigurato con vivace vena coloristica la Nascita del Battista e, nella lunetta verso l’altare, una affollata scena con la Predicazione di S. Giovanni. Pavimento Chiesa del Gonfalone, Viterbo, Il pavimento della chiesa fu rinnovato agli inizi del 1915, furono tolti i mattoni di terracotta, sostituendoli con mattonelle bianche e nere in granito di cemento, lo stesso fu fatto per i gradini degli altari. Nel 1916, venne murato nel piccolo orto , presso la sacrestia, il coperchio della sepoltura dei confratelli che era sul pavimento della chiesa. Poi, nel 2000 il piancito è stato rifatto totalmente apponendovi di nuovo mattoni in cotto lavorati a mano, che hanno ridato di nuovo alla chiesa l’aspetto d’una volta, ed inoltre è stato ricollocato al suo posto il coperchio della sepoltura della Confraternita. Sulla pietra è scolpita la croce uncinata del Gonfalone con agli angoli dei fiori, un mattone, murato sul pavimento, nella parte alta del coperchio, porta incisa la data 1691. Oratorio Chiesa Gonfalone Chiesa S. Giovanni Battista Gonfalone Oratorio, Chiesa de Gonfalone, Viterbo, qui campeggia il grande Stendardo della Confraternita, dipinto su entrambe le facciate dal viterbese Giovan Francesco Romanelli, il pittore del Re Sole, che vi ha raffigurato il Battesimo di Cristo e la Madonna della Misericordia, databile 1649. Le pitture monocrome dell’oratorio sono dei romani Giuseppe Rosa e Pietro Piazza databili nel 1747 con raffiguranti la vita del Battista. Il coro ligneo è del viterbese Carlantonio Morini è del 1834. Nell’Oratorio, dietro all’altare maggiore, si poteva ammirare, appeso ad un tirante, lo Stendardo della Confraternita del Gonfalone, che è stato terminato di restaurare nel 1998. Proveniente dalla antica residenza di san Giovanni in Valle è dipinto su entrambe le facciate e raffigura il Battesimo di Cristo e la Madonna della Misericordia con san Bonaventura, opera eseguita nel 1649 dal viterbese Giovan Francesco Romanelli (1610 - 1662), il pittore del Re Sole. Sembra, che il valente pittore, per realizzare questo lavoro, si sia servito del cartone già usato per la esecuzione degli arazzi di Palazzo Barberini, raffiguranti momenti di vita del Cristo (1643 - 1646). Lo stendardo è stato restaurato nel 1824 dal pittore viterbese Angelo Papini e nel 2001 dal Laboratorio di restauro per la Provincia di Viterbo. Copia dello stendardo fu eseguita dal pittore viterbese Francesco Ciaci nel 1664, che risulta la prima in ordine di tempo, poi ne fu commissionata un’altra al pittore romano Pietro Paolo Panci nel 1770, il quale fu incaricato in sostituzione del viterbese Michelangelo Benedetti. Nel 1829, durante la processione del Corpus Domini, fu portata per le vie della città la copia dello stendardo eseguita nello stesso anno dall’artista Domenico Costa, viterbese.E’ curiosa la riproduzione in pittura di una sassata che infrange i vetri sulla finta finestra, la prima a destra. Sul fondo dell’Oratorio è, appesa alla parete, la copia dello stendardo di Romanelli che fu eseguita, nel 1901, dal concittadino Enrico Canevari (1861 - 1947), preferito a Pietro Vanni, il quale chiedeva un maggior compenso; è questo l’ultimo stendardo della Confraternita. Nel 1895 Canevari aveva decorato anche le pareti rimaste prive di pittura. Alla sinistra dello stendardo è un’epigrafe in marmo sagomato, con borchie in ottone e con lo stemma della Confraternita a colori, che riferisce: Ai fratelli / ai figli di fratelli / caduti per la Patria / negli anni di guerra / MCMXV MCMXVIII / F.llo Emilio Bianchi / decorato con medaglia d’oro / Giuseppe Grazini / Celestino Tamantini / Giovanni Ranocchiari / Egisto Monarchi / Romolo Merlani / Luigi Mecarini / Antonio Mecarini / Francesco e Domenico Duri del F.llo Raimondo / Aurelio Masini del F.llo Paolo / Pietro Bruni del F.llo Francesco / Ugo Lupi Aldo Lupi} del F.llo Enrico / gloria perenne e pace in Cristo / i confratelli i genitori / p.p. Nel soffitto dell’Oratorio è affrescata la Natività di san Giovanni Battista, opera del romano Giuseppe Rosi eseguita verso il 1747, dopo aver terminato l’altare maggiore, quando era vescovo della città Alessandro Abati (1731 - 1748) del quale si vede lo stemma. Il pittore eseguì in monocromia le vele, i riquadri angolari del soffitto, i lati delle lunette raffigurandovi angeli e figure simboliche sulle nubi e puttini volteggianti Ciborio Chiesa del Gonfalone, via Cardinal La Fontaine, Viterbo,Nel 1839 fu rinnovato conservando la mensa, il paliotto ed il ciborio, il disegno fu eseguito dall’architetto viterbese Vincenzo Federici. Nel 2000 l’altare è stato riportato come lo aveva progettato il Salvi, ossia è stato demolito il fronte che fiancheggiava il ciborio, consentendo così una maggiore visione dello stendardo del Romanelli nel coro. Il paliotto è in marmo venato giallo con una fascia a cornice in marmo rosso e verde, mostra al centro, il simbolo della Confraternita del Gonfalone. Il ciborio caratterizzato da colonnine marmoree termina a cuspide da cui si innalza la croce. La consulenza per i colori fu affidata a Domenico Costa (1786 - 1856) già autore di un nuovo stendardo nel 1829, come riferisco appresso, e di una Macchina di santa Rosa. Il 18 Febbraio 1736 Giuseppe Rapaccioli decorò l’Altare dell’Annunziata. Coro Chiesa del Gonfalone, via Cardinal La Fontaine, Viterbo,il Coro in legno è stato eseguito dal falegname - ebanista viterbese Carlo Antonio Morini, nel 1833 - 1834, il quale aveva la bottega in Via del Melangolo e fu autore di una cronaca locale manoscritta che intitolò Straccifojo. A sinistra è la Tribuna del coro con lo stemma coronato in oro della Confraternita sull’alto dell’alzata, la croce col braccio verticale di rosso, quello orizzontale di bianco su fondo azzurro, e un calice con l’ostia sul fronte della balaustra Sacrestia Chiesa del Gonfalone, via Cardinal La Fontaine, Viterbo,Nel 1843 fu sopraelevata la sacrestia per ricavarne un’ampia stanza, illuminata da una finestra, ove si tenevano le riunioni della Confraternita, l’accoglienza per i celebranti nelle festività e la conservazione dei documenti d’archivio Organo Chiesa del Gonfalone, via Cardinal La Fontaine, Viterbo,Sopra alla porta d’accesso alla chiesa, nella cantoria, è l’organo eseguito e montato nel 1772 da Nicola Raimondi da Todi, infatti, vi è la scritta:Nicolaus Raimundi de Tuderto fecit anno Domini 1772. Si presenta a cassa indipendente con facciata a cuspide centrale. Il vecchio organo fu venduto nel 1770 al canonico Giovan Battista Garofolini il quale, ancora nel 1773, non aveva terminato di pagarlo alla Confraternita del Gonfalone. Sopra all’organo, nella controfacciata, vi è una grande lunetta raffigurante il Carcere e la decollazione di san Giovanni Battista, lavoro in affresco del viterbese Domenico Corvi eseguito tra la fine del 1756 ed inizio 1757, a lui si deve la realizzazione dei medaglioni sorretti da due angeli con raffigurati i profeti Abdia, sulla parete di sinistra, e Isaia su quella di destra. Campanile chiesa del Gonfalone Campanile Chiesa del Gonfalone, Campanile Chiesa del Gonfalone, il campanile si vede da via del Gonfalone, e da via San Carluccio, Viterbo, alla destra della chiesa,è un campanile a torre, a pianta quadrata, con due campane delle quali la più grande fu eseguita da Luigi Belli nel 1823, infatti fu rifusa in quell’anno una più vecchia che sin dal 1821 era inservibile, vi è scritto:D.O.M. deiparae Virgini atque patrono nostro Joanni Baptista dicatum / anno MDCCCXXIII. Nel 1941 le campane erano tre. Nel 2000 - 2001 venne restauro il campanile perché pericolante; e din quella occasione è stato anche eseguito l’impianto di riscaldamento della chiesa.. Scalinata Chiesa del Gonfalone Scalinata Chiesa del Gonfalone, via Cardinal La Fontaine, Viterbo,Nella parte inferiore si apre il portale, al quale si accede mediante otto gradini, con mostre in peperino, sormontato da due stemmi, il più grande dei quali ornato da festoni, raffigura l’arme di Benedetto XIII e l’altro quella del vescovo Sermattei Stemmi Chiesa del Gonfalone Stemmi Chiesa del Gonfalone,via Cardinal La Fontaine, Viterbo, il portale è sormontato da due stemmi, il più grande dei quali ornato da festoni, raffigura l’arme di Benedetto XIII e l’altro quella del vescovo Sermattei. Confraternita del Gonfalone Confraternita del Gonfalone, Viterbo, la Chiesa di san Giovanni Battista del Gonfalone,in via Cardinal La Fontaine, è da considerare come l’esempio del barocco a Viterbo. Venne costruita per volontà della Confraternita del Gonfalone, che era una delle più importanti tra le varie Confraternite presenti a Viterbo, sia per i suoi vasti possedimenti che per il numero di confratelli facoltosi. In origine si chiamò Confraternita di San Giovanni Battista che dal XII secolo aveva la propria sede a valle Faul, presso un oratorio. Nel 1561 si aggregò a loro la Confraternita del Gonfalone di Roma che era stata fondata nel 1264 da San Bonaventura da Bagnoregio. La Confraternita viterbese ne assunse il nome, l’insegna e la divisa. L’abbigliamento era costituito da un sacco bianco con un cappuccio ed un cordone dello stesso colore e da una croce bianca e rossa in campo azzurro posta sulla spalla destra. Il fine era quello di riscattare attraverso le elemosine i cristiani prigionieri dei turchi, di visitare le persone malate e di occuparsi della dote per due fanciulle orfane e di sani principi. Nel 1581 si unì a loro la Confraternita della Misericordia, ormai ridotta nel numero dei confratelli, che aveva la sua sede nella Chiesa di Santa Maria della Carbonara. San Giovanni Battista vita opere San Giovanni, detto il Battista, vita opere storia, a Viterbo gli è dedicata la chiesa di San Giovanni Battista del Gonfalone, su via La Fontaine, fu il primo Apostolo di Gesù e l’ultimo profeta dell’Antico Testamento. Il nome Giovanni in ebraico Iehóhanan significa: “Giovanni il Precursore”,riconosciuto come il più grande dei Profeti, nacque ad Ain Karim, tra il 29 e il 32 , un villaggio vicino a Gerusalemme, è stato un asceta proveniente da una storica famiglia sacerdotale ebraica. Ad Ain Karim, esistono due santuari del VI secolo uno dedicato alla Visitazione e l’altro alla Natività. La madre di Giovanni, Elisabetta discendeva da Aronne, era moglie di Zaccaria, sacerdote della classe di Abia. I due coniugi erano ormai di età avanzata quando Zaccaria, mentre svolgeva il suo servizio nel Tempio di Gerusalemme, ebbe la visione di un angelo che gli annunciò la prossima nascita di un figlio, fino a quel momento non ne avevano avuti. Poiché Zaccaria non gli credette perché la moglie Elisabetta era gia anziana, l'angelo lo fece diventare muto fino a che il suo annuncio non si fosse adempiuto. Zaccaria riacquistò la parola solo dopo che il bambino fu nato e, durante il rito della circoncisione, gli fu imposto il nome di Giovanni, come l'angelo aveva ordinato. Al sesto mese di gravidanza, Elisabetta ricevette la visita di Maria, che nel corso dell'Annunciazione era stata avvertita che anche la sua parente era incinta. All'udire il saluto di Maria, Elisabetta "fu piena di Spirito Santo" e riconobbe Maria come la madre del Salvatore. Maria rispose intonando l'inno del Magnificat. Questo episodio è ricordato nella dottrina cristiana come la "Visitazione". la Chiesa Ortodossa venera Elisabetta e Maria come figlie di sorelle, Esmerìa ed Anna, e quindi Giovanni Battista come cugino di secondo grado di Gesù. L’immagine di San Giovanni è stata lungamente rappresentata ed è presente in moltissime chiese con una pelle di animale ed un bastone a forma di croce. La sua vita viene raccontata nel Vangelo di Luca, crebbe retto e pio come lo erano stati i suoi avi sacerdoti, già carico di responsabilità che gli derivavano dalle parole profetiche dell'Arcangelo Gabriele quando descrisse le sue virtù, del suo essere "pieno di Spirito Santo", operatore di conversioni in Israele, precursore del Signore con lo spirito e la forza di Elia. Quando fu adulto Giovanni, conscio della sua missione, si ritirò a condurre la dura vita dell’asceta nel deserto: portava un vestito di peli di cammello e una cintura di pelle attorno ai fianchi e il suo cibo erano cavallette e miele selvatico.,Nell’anno quindicesimo dell’impero di Tiberio (28-29 d.C.), iniziò la sua missione lungo il fiume Giordano; con l’annuncio dell’avvento del regno messianico ormai vicino, esortava alla conversione e predicava la penitenza. Andavano ad ascoltarlo da tutta la regione del Giordano, dalla Giudea e da Gerusalemme, era considerato un profeta, e per liberare le persone dai peccati, in segno di purificazione e di rinascita, le immergeva nelle acque del fiume. Per questo Giovanni è chiamato anche il Battista, ovvero colui che battezza. Anche i soldati del Re Antipa andavano da Giovanni a chiedere consiglio, e molti pensavano che fosse lui il Messia, ma lui rispondeva che era solo un Precursore, che il Messia era già in mezzo a loro, ma non era lui. Quando Gesù si fece battezzare da Giovanni. in tale occasione egli additò Gesù ai suoi seguaci come "l'agnello di Dio che toglie i peccati del mondo" (Vangelo secondo Giovanni 1, 29). Nello stesso tempo, dal cielo si udì una voce: “questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto: ascoltatelo!” (Marco 1:1-8) Gesù nel frattempo aveva iniziato la sua predicazione: aveva formato il gruppo degli apostoli e discepoli ed era seguito da una gran folla e Giovanni, che aveva predicato proprio per preparare un popolo degno, che accogliesse Gesù e il suo messaggio di Redenzione, confidava ai suoi discepoli “Ora la mia gioia è completa. Egli deve crescere e io invece diminuire”, sottintendendo con ciò la fine della sua missione. In quel tempo governava in Israele il re Erode Antipa il quale conviveva con la moglie divorziata da suo fratello, la bella Erodiade, vivendo in aperto contrasto con la legge ebraica, perchè per il Libro Sacro, la “Torah”, il divorzio di Erodiade non era ammissibile dato che dal matrimonio era nata una figlia, Salomè. Giovanni rimproverava il Re per questo scandalo pubblico e per la sua condotta e soprattutto si inimicò Erodiade la sua concubina che voleva Giovanni morto. Erode lo fece arrestare ma lo teneva in buona considerazione, vigilando su lui e ascoltando le sue parole, considerandolo uomo giusto e santo. Un giorno, il re per festeggiare il suo compleanno diede un banchetto invitando tutte le persone più importanti della Galilea, in quella occasione Erodiade fece ballare Salomè, la figlia, la sua esibizione piacque molto al re ed ai commensali, per cui disse alla ragazza: “Chiedimi qualsiasi cosa e io te la darò”. La giovane Salomé chiese consiglio alla madre che, non aspettava altro, e le suggerì di chiedere la testa del Battista. Erode si rattristò a questa richiesta, ma per il giuramento fatto davanti a tutti non potè rifiutare e ordinò alle guardie che gli fosse portata la testa di Giovanni. Il Battista fu decapitato e la sua testa fu portata su un vassoio e data alla ragazza che la diede alla madre soddisfatta della sua vendetta. I discepoli di Giovanni, saputo del martirio, recuperarono il corpo, lo deposero in un sepolcro che divenne oggetto di pellegrinaggio. . Per via della decapitazione è conosciuto anche come San Giovanni Decollato.Il suo culto si diffuse in tutto il mondo conosciuto di allora, sia in Oriente che in Occidente e a partire dalla Palestina si eressero innumerevoli Chiese e Battisteri a lui dedicati anche Gesù lo aveva definito, il più Grande. La Chiesa lo ricorda nella liturgia insieme a Maria sia nel giorno della morte il 29 Agosto che in quello della nascita il 24 giugno . Si discute molto sui possibili rapporti fra il Battista e la comunità giudaica degli Esseni, che vivevano in comunità monastiche nel deserto, aspettavano l'avvento del Messia e praticavano il battesimo come rito di purificazione. La novità del battesimo di Giovanni, rispetto alle abluzioni di tipo rituale che già si conoscevano nella tradizione giudaica, consisteva nel preciso impegno di "conversione", da parte di coloro che andavano a farsi battezzare da lui. Secondo alcuni vangeli apocrifi, in seguito alla morte della madre si sarebbe recato nel deserto dove fu ispirato dagli angeli e uomini sapienti per la sua futura missione. Inoltre, L'unico luogo in cui si celebra un'apparizione di San Giovanni Battista, la seconda domenica di maggio, è la cittadina fluviale di Pontecorvo in provincia di Frosinone, in ricordo del miracoloso intervento di San Giovanni Battista in favore di un giovane contadino. Secondo la tradizione, il 14 aprile del 1137 Giovanni Mele, intento a lavorare il suo fondo sulla sponda sinistra del fiume Liri, fu tentato dal demonio. Seduto sulla sponda opposta, il diavolo, nelle sembianze di un nobile signore vestito elegantemente, offrì all'ingenuo villico una borsa (o, secondo altra versione, una coppa d'argento) piena di monete d'oro, invitandolo ad attraversare il fiume perché potesse prenderla. Il contadino, vinto dal desiderio di tanta ricchezza, che lo avrebbe affrancato per sempre dal duro lavoro dei campi, tentò di attraversare il fiume. Giunto però nel mezzo, dove l'acqua era più profonda, iniziò ad annegare. Sul punto di soccombere, si rivolse allora a San Giovanni Battista per essere salvato. Il santo ascoltò la supplica e apparve al giovane, che fu preso per una mano e tratto in salvo dalle acque del Liri. Nella tradizione popolare pontecorvese Giovanni Mele diventa per contrazione Camele e ancora oggi "camele" è epiteto vernacolare per indicare persona ingenua e credula. San Giovanni Battista, è il protettore, per via dell'abito di pelle di dromedario, che si cuciva da sé e della cintura, di sarti, pellicciai, conciatori di pelli; per l'agnello, dei cardatori di lana; per il banchetto di Erode che fu causa della sua morte, è patrono degli albergatori; er la spada del supplizio, di fabbricanti di coltelli, spade, forbici; per l'inno liturgico patrono dei cantori. In quanto colui che battezza, è protettore dei trovatelli, che venivano abbandonati alle porte dei battisteri. Inoltre con il titolo di San Giovanni Decollato, è protettore delle confraternite che assistevano i condannati a morte, e protettore dei santi martiri decollati. Viene anche invocato, contro le calamità naturali quali terremoti, È anche patrono del Sovrano Militare Ordine di Malta Edicole sacre Via La Fontaine Edicole Sacre a via Cardinal La Fontaine, Viterbo, una si trova all’inizio di via Cardinal la Fontaine, sul lato sinistro, venendo da via San Lorenzo, si tratta di un ovale, con dipinta la Madonna con il bambino Gesù. Un’altra si trova sempre sul lato sinistro venendo da via San Lorenzo, all’altezza di via Madonna del Riposo, una Madonna con Bambino probabilmente un ex voto. Ex Chiesa di Sant'Antonino Ex Chiesa di Sant’Antonino, tra via Cardinal La Fontaine e via Madonna del Riposo,contrada San Vito, Viterbo, si trova ai civici 49 e 51. era una chiesa del ‘200, che divenne un magazzino e poi una abitazione alla fine del XVI secolo. La piccola chiesa era dedicata a Sant’Antonino, Martire del IV secolo, protettore degli scultori, le cui spoglie furono portate dalla Siria in Francia ed il cui culto si diffuse anche in Italia attraverso la via Francigena. Di questo edificio si ricorda che appartenesse alla famiglia dei Brettoni ovvero al ricco nonno di Raniero Gatti. Successivamente questa chiesa venne concessa ai rettori della Società degli Slavi, confraternita che scompare nel 1552, a loro subentra l’arte dei Mugnai. Nel 1557 qui ci sarà la sede della Confraternita del Crocefisso o di Santa Croce. Dopo 20 anni questa confraternita abbandona questo sito per trasferirsi a Sant’Egidio. Questa Chiesa era vicina alla scomparsa anch’essa ex Chiesa di Sant’Olmo, distrutta nel 1955 , Sant’Antonino era posta all’angolo del vicolo che ne ricorda il nome. Sull’architrave si vede la sigla S (sancta) M (maria) N (ova). La famiglia Bertarelli ingrandì il suo palazzo settecentesco che si trova al civico 47 di via La Fontaine, e durante la costruzione furono trovati resti di decine di scheletri insieme ad una lucerna medioevale che sicuramente era parte dell’arredo della chiesa di Sant’Antonino. Sulla facciata ormai fatiscente, si vedono i due pilastri circolari che sorreggevano i 3 archi del porticato antistante la chiesa, una parte è sotto l’intonaco. Questa chiesa aveva anche una campana che oggi è sul campanile della chiesa del Gonfalone, vi fu issata nel ‘600, e riporta la scritta “Beate Antonine Ora pro nobis Anno Domini MCCCLX” Oggi tutto l’edificio versa in un notevole stato di degrado, si spera che in futuro vi possa essere un restauro adeguato che ricordi anche la storia di questa ormai scomparsa chiesa. Palazzo Lomellino D'Aragona Carnevalini Palazzo Lomellino D’Aragona Carnevalini si trova tra via Cardinal La Fontaine,ai civici 28,30,32,34,36, e piazza Santa Maria Nuova, Viterbo, l’entrata è di fronte alla chiesa del Gonfalone sul portone spicca uno stemma, l’interno anche se non visitabile è riccamente decorato da affreschi, da piazza Santa Maria Nuova è possibile ammirare il bel loggiato. Appartiene al palazzo anche una torre visibile da piazza Santa Maria Nuova. Questo è un caseggiato di vaste proporzioni risale al XV secolo, è su due livelli, con marcapiani correnti in pietra, forse a causa di successive opere di restauro non sembrano omogenee la distribuzione e la decorazione delle finestre. La loggia presenta degli affreschi a carattere naturalistico. E’ presente anche una altana di stile quattrocentesco. Stemma Palazzo Lomellino Stemma palazzo Lomellino D’Aragona, Via Cardinal La Fontaine, Viterbo, lo stemma è sul portale del portone, che è di fronte alla Chiesa del Gonfalone. Loggia e Torre Lomellino Loggia e torre palazzo Lomellino Loggia e torre di palazzo Lomellino D’Aragona a piazza Santa Maria Nuova, Viterbo, il palazzo di impronta rinascimentale, ha la sua loggia, e torre, visibili dalla facciata della chiesa di santa Maria Nuova, infatti alzando lo sguardo si ammirano un bel loggiato con soprastante torre appartenente ai Marchesi Lomellino .L’ingresso al palazzo si trova in Via Cardinale La Fontaine di fronte alla Chiesa del Gonfalone e risale al XVI secolo, presenta al suo interno delle sale riccamente affrescate ma che non sono visitabili. Deve il suo nome ad una famiglia di origine ligure i cui membri furono tra i protagonisti del Risorgimento. In particolare il marchese Giacomo Lomellini d’Aragona fu uno degli artefici dell'Unità d'Italia e della caduta dello stato Pontificio, sembra che qui su richiesta del Marchese Lomellino, vi abbia soggiornato Garibaldi. Famiglia Lomellino D'Aragona Famiglia Lomellino D’Aragona, Viterbo, Giacomo Carlo Lomellino, viterbese, il Marchese Giacomo Carlo Lomellino D’Aragona fu un personaggio importante del Risorgimento Italiano e dell’Unità d’Italia. Nasce a Viterbo da don Alfonso d’Aragona, di Venafro appartenente a un ramo della casa reale aragonese del Regno di Napoli e da Anna Maria Piccolomini Lomellino, ultima rappresentate ed erede dei Lomellino patrizi genovesi che si stabilirono a Viterbo fin dal XVII secolo. Giacomo Lomellino fu guardia civica viterbese e partecipò ai moti del Risorgimento della Seconda Repubblica Romana, che ne determinano in seguito l’autoesilio a Genova, dove viene accolto da una discendente dei Lomellini, Bianca, vedova del cavaliere Mario Bajlo di Serravalle Scrivia ed erede del proprio fratello, il marchese Costantino Lomellini. La nobildonna lo crea erede delle proprie cospicue sostanze, garantendogli così una nuova vita a Genova patria degli avi materni. Il 4 settembre 1861, a pochi mesi dalla promulgazione della legge che ha sancito la nascita del Regno d’Italia (17 marzo 1861), Giacomo sposa una giovane della più alta aristocrazia cittadina, Caterina Gavotti, figlia del marchese Gerolamo, uomo politico e di cultura, sindaco di Genova e di Albisola Superiore, e della baronessa Giovanna D’Aste, erede di un grande patrimonio. La giovane sposa sarebbe a sua volta destinata ad ereditare gli averi di due delle più illustri famiglie patrizie genovesi che si sono affermate nei secoli precedenti in Roma, i Gavotti di Savona e i D’Aste d’Albenga, ma muore prematuramente nella dimora genovese dei Lomellini, in piazza San Matteo, il 18 maggio 1867, lasciando i tre piccoli figli: Anna, Giovanna, e Alfonso,quest’ultimo morirà prematuramente suicida, mentre le figlie Anna e Giovanna saranno spose di due nobili piemontesi d’illustre stirpe, i fratelli Aimaro e Alberto dei conti Malingri di Bagnolo, garantendo cospicua discendenza alla famiglia in linea femminile. La caduta dello Stato Pontificio e l’annessione di Roma al Regno d’Italia pongono le basi per il rientro di Giacomo a Viterbo, nel 1871. Fu iscritto nella Confraternita del Gonfalone negli anni tra il 1861 e il 1868. Fu regio commissario della Città e dal 1872 al 1875, fu sindaco. La sua amministrazione, nonostante le contrapposizioni politiche lasciò un’impronta importante sulla città, stanco e malato, nell’agosto del 1876 rientra a Stazzano, affidò le figlie alle amorevoli cure del nonno materno e le sue proprietà di Genova, Voltri, Serravalle, il titolo passò alla sorella Maddalena insieme ai possedimenti viterbesi, nella notte del 13 ottobre 1876 morì. A Viterbo c’è una via a lui intitolata. Palazzo Liberati Palazzo Liberati, via Cardinal La Fontaine 30-46, Viterbo, mantiene la stessa distribuzione e la stessa altezza del contiguo palazzo Lomellino D’Aragona, con marcapiani correnti in pietra, una decorazione maggiore dei timpani delle finestre del primo piano e vari ingressi su strada. La finestra in corrispondenza del terrazzo e l’imponete altana quadrata, ricavata da una preesistente torre, di forma quattrocentesca, si riferiscono ad una ristrutturazione successiva.. Questo palazzo era di proprietà della famiglia Liberati Famiglia Liberati Famiglia Liberati, Viterbo, La famiglia è oriunda di Visso presso Camerino, dove possedeva terreni e greggi numerosissimi, tantochè dopo la metà del sec. XVII era tassata di una fornitura verso l'annona di Roma di 400 agnelli ogni anno. Nel 1500 si ha notizia di un Marco nei libri delle Guaite di Macerata: un Cesare fu magistrato in Visso nel 1557: Nicolò nel 1634 apparteneva al Consiglio della cittadinanza romana. Un ramo di questa famiglia, circa nel 1666, si trasferì da Visso a Viterbo con Liberato di Angelo, tenente, ed un suo figlio Francesco-Antonio è nominato tra i patrizi di Viterbo nel 1721. Un discendente di lui, conte Nicola di Giacomo, era Guardia Nobile pontificia nel 1867. Monsignor Francesco fu arcivescovo di Efeso e Datario di Papa Innocenzo XI, ed ebbe molte altre cariche ecclesiastiche: Canonico di S. Giovanni in Laterano, poi di S. Maria Maggiore, dove fu sepolto. Ex Torre Palazzo Liberati Torre palazzo Liberati, via Cardinal La Fontaine, Viterbo, non più esistente vi è traccia vedendo l’altana di forma quadrata, unica testimonianza della preesistente torre. Palazzi Nini Maidalchini Palazzi Nini Maidalchini Via Annio Palazzi Nini Maidalchini, Viterbo, pressi via La Fontaine sono a via Annio, dimora viterbese di Donna Olimpia Maidalchini, il primo palazzo di stile rinascimentale, a sinistra di via Annio venendo da via la Fontaine oggi è di proprietà privata, l’androne presenta degli affreschi con grottesche ed anche la facciata presenta dei dipinti che per incuria si stanno rovinando. Anche il palazzo di fronte sempre Nini che fa angolo con la via La Fontaine presenta sulla facciata dei dipinti, anche questi, purtroppo, lasciati andare per indifferenza, lasciano intravedere delle figurazioni simboliche dei cinque sensi e delle virtù cardinali. Nel palazzo nel 1653 fu ospitato Papa Innocenzo che venne a Viterbo in occasione della inaugurazione di Porta Romana. Nella fascia sotto il primo piano vi è una iscrizione “Nino Nini vescovo di Potenza, questa sua casa paterna, aggiungendovi abitazioni vicine, ampliò e decorò l’anno 1543”.In uno dei due palazzi campeggiano delle rose dipinte simbolo araldico della famiglia inserite in grandi medaglioni, oltre alle immagini allegoriche delle virtù cardinali e dei cinque sensi. Le virtù cardinali sono rappresentate da leggiadre figure femminili, mentre tra quelle dei cinque sensi, l’odorato è rappresentato da un cane, la forza dalla solidità di una colonna. Sono come già detto, purtroppo in uno stato di degrado, molto sbiaditi, ed è un vero peccato. I due palazzi testimoniano il benessere e l’influenza della famiglia Nini, la tecnica pittorica si basa su uno sfondo scuro sul quale è stesa una tinta più chiara, e poi con un graphium, stilo, si asporta il colore chiaro facendo riaffiorare il colore scuro del fondo e in questo contrasto i graffiti acquistano un senso di leggerezza. Questo è un esempio raffinato di una tecnica diffusa nel Rinascimento che oggi ritroviamo limitata alle decorazioni delle pareti interne. Sarebbe un bene per la città provvedere al restauro e ad una protezione dalle intemperie di queste bellissime pitture. Famiglia Maidalchini
Famiglia Maidalchini, Famiglia Viterbese, risalente al XVI e XVIII secolo, il casato fu reso famoso da Donna olimpia, il casato era originiario di Perugia e di Gubbio, si stabilirono ad Acquapendente nel 1500. Fu una famiglia di notai, la loro tomba è nella chiesa del Santo Sepolcro. Si stabilirono a Viterbo, quando Olimpia, la figlia del Marchese Giulio Maidalchini, che era il favorito del Cardinal Alessandro Sforza, e che fu il castellano della Rocca di Viterbo, si sposò in seconde nozze con il Capitano Sforza, il quale fu commissario dei grani nel 1593, dopo che Viterbo passò una grave carestia. Nel 1595 ebbe l’appalto delle carni per la Provincia del Territorio, e nel 1561 acquistò la cittadinanza di Viterbo. Per nove anni ebbe l’appalto della gabella sulla carne. Morì nel 1623 e fu sepolto nella Chiesa di Santa Maria in Gradi. Olimpia Maidalchini detta anche la “Pimpaccia”, ebbe tre figli, Andrea, Ortensia che fu badessa della chiesa di San Domenico, e Margherita monaca di San Domenico. Olimpia ereditò dal primo marito Paolo Nini il due palazzi Nini a Via Annio angolo via Cardinal La Fontaine. Con il figlio Andrea, i Maidalchini divennero Marchesi di Ripa Alta, e possedevano i castelli a Corbara e Prodo che erano nel territorio di Orvieto. Un figlio di Andrea, Francesco Maria, divenne vescovo di Aquino e successivamente di San Severino Marche, divenne Cardinale, fu governatore di Capranica e fu sepolto nella Chiesa di Santa Maria in Gradi. Nella linea maschile i Maidalchini si estinsero e proseguirono in quella femminile diventanto Marchesi Ottieri, e poi di nuovo estinti proseguirono nel casato Della Ciaja Agazzari di Siena. Un ramo rimase ad Acquapendente e si estinse nel XVIII secolo. La Pimpaccia La Pimpaccia, Donna Olimpia Maidalchini, Olimpia Maidalchini nacque a Viterbo nel 1591 e appena diciasettenne andò in moglie a Paolo Nini, di una ricchissima famiglia Viterbese. Rimasta vedova, nel 1612 si risposò con Pamphilo Pamphili, esponente della nobiltà romana; si dedicò quindi al sostegno economico, della carriera ecclesiastica del cognato Giovanni Battista fino alla sua ascesa al soglio Pontificio avvenuta nel 1644 col nome di Papa Innocenzo X. Rimasta nuovamente vedova, ricevette dal papa le terre appartenute all’abbazia di San Martino al Cimino. Fu una donna ambiziosa e capace, che s’impose nella aristocrazia romana e divenne la principale ispiratrice della politica del cognato, non era molto amata dal popolo a causa dei suoi intrighi di palazzo, e l’appellativo spregiativo di Pimpaccia derivava dalla protagonista di un libro che narrava le vicende di una donna arrivista. Fu anche oggetto delle Pasquinate, tra queste : ““Chi dice donna, dice danno chi dice femmina, dice malanno chi dice Olimpia Maidalchina, dice donna, danno e rovina”. Morì nel 1657 a San Martino al Cimino colpita dalla peste. Successivamente tale denigrazione dovuta ai suoi contemporanei venne ridimensionata e la sua immagine rivalutata. Palazzo Gatti Palazzo Gatti, via Cardinal La Fontaine, Viterbo, fu edificato nel 1266 da Raniero Gatti, capitano del popolo e capostipite della famiglia, in origine occupava l’area in cui vennero edificati la Chiesa ed il Convento dei Carmelitani Scalzi, dove oggi ci sono gli uffici Comunali ed in precedenza il palazzo di Giustizia, e dove in antico c’erano il borgo e la Chiesa di San Pietro dell’Olmo. Del palazzo oggi si vede solo una delle originarie sei torri. Questo edificio nel 1406 andò in rovina, quando Giovanni Gatti, schieratosi con i ghibellini, venne barbaramente trucidato avendo suscitato l’odio della famiglia dei Maganzesi, legata ai Tignosi e agli Orsini. Il Papa Alessandro VI che appoggiava i guelfi ordinò l’abbattimento dell’edificio. La parte superstite recentemente ristrutturata dall’attuale proprietario, la famiglia Cordelli, si articola su due livelli che sulla sommità terminano in un terrazzo giardino, che ha eliminato l’originario tetto a capanna. Sui due lati a livello stradale, i fornici sono ad archi acuti, mentre sui due piani superiori le bifore sono a tutto sesto con archi trilobati. Tre rosoni si allineano su aggettanti cornicioni marcapiano. Visivamente sono legati da una elegante fascia che prosegue oltre la finestra, chiudendosi a riccio. Non si vedono più gli stemmi che un tempo ornavano il palazzo, alcune tracce fanno intravedere la croce degli Alessandri, con la quale i Gatti erano imparentati e le anguille della famiglia Anguillara. Un tempo questo palazzo era una prestigiosa dimora, i Gatti erano una delle famiglie più potenti della città di Viterbo. Era una vera fortezza, circondata da mura e torri possenti, andava da via delle Fabbriche fino a via Annio e a piazza fontana Grande. Famiglia Gatti Famiglia Gatti, Viterbo, tra il tardo Medioevo e la fine del Cinquecento fu una delle famiglie più importanti di Viterbo. Il loro apice del potere si ebbe nel ‘200, quando la famiglia possedeva numerosi immobili all’interno della città ed aveva la signoria su diversi centri del territorio, come : Valcena, Sala, Fratta, Cornienta Vecchia, Cornienta Nuova, Monte Casoli, cui si aggiunse successivamente Celleno. Probabilmente provenivano dalla Bretagna, e da qui, sarebbero giunti a Viterbo nel XII secolo. Con il termine Gatteschi si intendeva tutta la famiglia, mentre il termine Gatti ci si riferiva alla discendenza da Raniero di Bartolomeo Gatti, che dette i natali ai personaggi più rilevanti per la storia di Viterbo di questa famiglia. i natali ai personaggi della famiglia più rilevanti per la storia di Viterbo. La genealogia ha inizio da Rodilando nel 883, da cui discesero Guarnulfo del 939, Rolando e Francesco de Brettone. Ma tra i primi componenti della famiglia attestati a Viterbo va annoverato Rolando Veralducii, che all’inizio del secolo XIII era persona facoltosa, in grado di prestare denaro e proprietario di numerosi immobili. Dalla moglie Latina ebbe tre figli: Bartolomeo, che fu console, Veraldo, sindaco del Comune di Viterbo nel 1231 e Leonardo. Da Bartolomeo morto nel. 1239, che sposò Viscontessa, da lei nacquero Pepone, Guittone, Rolando e Raniero. Tra i sette figli di Rolando si ricorda Pietro, che sposò Rosa e fu il primo membro della famiglia a ricoprire la carica di rector et defensor populi a Viterbo tra il 1306 ed il 1310. Raniero Gatti fu capitano del popolo; durante il suo mandato si fece promotore della costruzione tra il 1257 ed il 1266 del Palazzo dei Papi,opera architettonica simbolo della città che ospitò i pontefici per ventiquattro anni. Raniero sposò Guitta, dalla quale ebbe sette figli, tra cui Visconte e Raniero morto nel 1317. Il primo, fu podestà di Arezzo e Foligno, sposò una nobile di Viterbo, Teodora Capocci, e fu autore di diversi interventi urbanistici nella città di Viterbo tra cui la costruzione, a proprie spese, dell’ospedale presso il complesso di Santa Maria in Gradi, la Domus Dei. A Raniero si deve invece la torre di San Michele detta anche San Biele, eretta come torre di avvistamento per una migliore difesa della città dal lato della Strada romana; in una lunetta è raffigurata la Madonna e ai suoi piedi sono nominati i committenti dell’opera: Raniero con la moglie Alessandrina Alessandri di Piero e uno dei loro sei figli. Uno di loro, Silvestro Gatti, forte della sua carica di rettore e di difensore del popolo di Viterbo, tentò di assoggettare completamente la città, con un sistema di governo estremamente duro, schierandosi contro il papato. Questo atteggiamento causò la reazione del pontefice Papa Giovanni XXII e della stessa cittadinanza che lo scacciò; i membri della famiglia Gatti dopo Silvestro furono allontanati dalla città per più di un secolo. Da Silvestro discese per linea diretta Silvestruccio, che ebbe tre figli: Fazio morto nel 1442, che fu priore della città tra il 1409 ed il 1433), Giovanni, anche lui priore tra il 1433 ed il 1438, e Raniero. Questi fu il nonno di Petruccio, notaio a Celleno, che sposò Lella di Petrignano di Corneto dalla quale ebbe quattro figli: Giacomo, Lella, Simonetta e Guglielmo morto nel. 1456, che di Celleno fu podestà e conte palatino, oltre ad essere signore di Roccalvecce. Da Giovanni nacque Princivalle morto nel. 1454. Questi, cavaliere dello Speron d’oro, sposò Finaltiera di Cecco Baglioni, conte di Castel Piero, e fu anche lui podestà di Celleno; venne ucciso dalla famiglia Tignosi e dopo di lui ebbe inizio il declino del potere dei Gatti a Viterbo. Da Princivalle nacque Giovanni morto nel 1496, che fu dedito più alla vita privata che a quella politica e militare e si preoccupò di iniziare alcuni interventi di restauro nel castello di Roccalvecce; accusato da Papa Alessandro VI dell’occupazione di Celleno mentre ne era podestà, per volere del pontefice subì la confisca dei beni e fu poi ucciso. Con Giovanni, che ebbe sette figli vissuti tra la fine del Quattrocento e il Cinquecento, ebbe fine la parte più nobile e potente della famiglia, anche se la discendenza proseguì per almeno un altro secolo. I Gatti possedevano a Viterbo più di un’abitazione; ciò che resta di quella più conosciuta si trova tra la fonte Sepale oggi Fontana Grande e la strada di San Giovanni in Pietra. Si tratta di un edificio di stile architettonico vicino a quello del Palazzo dei Papi, che però già nel 1523 doveva essere in pessime condizioni, visto che era denominato Casaccia. Si ha poi notizia di almeno altre due abitazioni: una doveva essere in contrada Santo Stefano, vicino al macello, mentre l’altra, probabilmente di piccole dimensioni, era in contrada San Quirico; Visconte, nel 1306, doveva inoltre possedere una casa in piazza Nuova. I Gatti avevano una cappella nella chiesa di Santo Stefano, la menzione è legata alla figlia di Raniero, Guitta, e il giuspatronato sulla cappella di Sant’Antonio Antonio nella chiesa di San Sisto nel 1473. Il sepolcro principale della famiglia era nella chiesa di Santa Maria in Gradi. Torre palazzo Gatti, via Cardinal La Fontaine, Viterbo, non più esistente. Profferlo Palazzo Gatti
Profferlo palazzo Gatti,
via Cardinal La Fontaine, Viterbo, a destra del
palazzo Gatti c’è un profferlo, espressione
architettonica tipicamente viterbese, costituito
da una rampa rettilinea con sovrastante balcone
. Fontana Moccichello Palazzo Gatti, via Cardinal La Fontaine, Viterbo, è addossata al palazzo Gatti, veniva chiamata Fontana del Moccichello, trasformato poi in fontana di San Moccichello per la vicinanza ad una antica chiesa non più esistente, la chiesa di San Pietro dell’Olmo. Il nome Moccichello deriva dalla cannella dalla quale esce poca acqua, un pò come quando cola il naso quando si è raffreddati, da qui il nome. Da secoli questa fontana stilla acqua con fatica. Stemmi Fontana palazzo Gatti Stemmi fontana palazzo Gatti, via Cardinal La Fontaine, Viterbo,qui si vedono gli stemmi della famiglia Anguillara e della famiglia Gatti, o meglio dei Brettoni visto che manca il gatto al sommo dello stemma. Questo due emblemi si vedono anche alla fontana di san Salvatore in Piazza san Carluccio, presso la casa delle Maestre Pie Venerini; ricordano i Brettoni ovvero i Gatti ed il conte Pandolfo degli Anguillara, podestà nel 1274 e nel 1275 della città di Viterbo. Nasone palazzo Gatti Nasone accanto a palazzo Gatti, via Cardinal La Fontaine, Viterbo, si trova addossato al muro. Vicolo senza uscita Vicolo senza uscita palazzo Gatti Vicolo senza uscita accanto al palazzo Gatti, dal quale si vede il profferlo del Palazzo Gatti, e sempre da qui si vede una porzione del campanile ottagonale della ex chiesa dei Santi Giuseppe e Teresa, chiesa sconsacrata, il cui ingresso è a piazza Fontana Grande, questa chiesa oggi è adibita a sede di Uffici Comunali. Strada senza uscita Strada senza uscita, via Cardinal La Fontaine, Viterbo, si trova di fronte al palazzo gatti. Ex Chiesa S. Pietro Olmo Ex Chiesa di San Pietro dell'Olmo, Viterbo, Qui in antico c’era la Chiesa di San Pietro dell’Olmo, che prima di essere unita a Santa Maria Nuova fu una chiesa importante ed una parrocchia. La leggenda narra che San Pietro nel suo lungo peregrinare per la Tuscia, giunto stanco a Viterbo, si fermò all’ombra di un olmo, per riposarsi, e per questo i primi cristiani avrebbero edificato la chiesa intitolandola San Pietro dell’Olmo, ed è probabile che questa fontana del Moccichello, a palazzo Gatti, fosse vicina a questa chiesa, che oltretutto si trovava lungo la strada che nel Medioevo percorrevano i pellegrini entrando dalla Cassia per porta di Valle o San Leonardo, per recarsi al palazzo Papale. La fontana ha una vasca rettangolare ed è inserita all’interno di una nicchia. Sotto il bocchettone in ferro vi è lo stemma della famiglia Gatti. Palazzo via La Fontaine 8 Palazzo tra via La Fontaine 8 e via Macel Maggiore, Viterbo, presenta delle cornici architravate nelle finestre del primo piano sulle quali vi è uno stemma gentilizio ed il motto Urbis Genio 1544, vi è un piccolo balcone poggiante su mensole in pietra che sovrasta il sottostante portone d’ingresso decorato con un arco a tutto sesto. Palazzo via La fontaine 61 Palazzo, via Cardinal La Fontaine 61,63,65, Viterbo,è di proprietà privata, la caratteristica è una finestra in terracotta, finemente decorata, posta al primo piano. Il portale d’ingresso architravato mantiene un piccolo scudo abraso con stemma. Ai lati ci sono due portali con emblema araldico iscritto in una formella tonda sostenuta da mensole gotiche. Palazzi via Cardinal La Fontaine Palazzi via Cardinal La Fontaine Palazzi a via Cardinal Pietro la Fontaine, Viterbo, Palazzo via La Fontaine 8, Palazzo via La Fontaine 61, Palazzo Lomellino D'Aragona, Palazzo Liberati, Palazzo Nini Maidalchini, Palazzo Gatti. Stemmi via Cardinal La Fontaine Stemmi via Cardinal La Fontaine Stemmi via Cardinal La Fontaine, stemmi chiesa del Gonfalone, stemma Palazzo Nini Maidalchini, stemma palazzo Lomellino, stemmi alla fontana e al palazzo Gatti Piazze da via La Fontaine Piazze da Via Cardinal La Fontaine : Viterbo, piazza della Morte, piazza Don Mario Gargiuli, piazza Santa Maria Nuova. nelle vicinanze piazza San Carluccio che immette sulla via San Pellegrino e al quartiere medioevale. Vie da Via La Fontaine Vie da Via Cardinal La Fontaine Vie da Via Cardinal La Fontaine : Viterbo, via San Pietro, via Annio, via delle Fabbriche, via del Lauro, via del Macel Maggiore, via Ottusa, via Grotti, via Madonna del Riposo, via San Carluccio, via San Lorenzo, Via San Pellegrino.via San Leonardo.
Vie e piazze di accesso a via Cardinal La Fontaine
Mappa piazza S. Lorenzo - Mappa via S.
Lorenzo - Mappa San Pellegrino
Via Cardinal Pietro la Fontaine Viterbo via Cardinal Pietro la Fontaine Viterbo centro storico Vie di Viterbo centro via Cardinal Pietro la Fontaine Viterbo centro storico Vie di Viterbo centro via Cardinal Pietro la Fontaine Viterbo centro storico Vie di Viterbo centro via Cardinal Pietro la Fontaine Viterbo centro storico Vie di Viterbo centroChiesa del Gonfalone via La Fontaine Viterbo Chiesa del Gonfalone via La Fontaine Viterbo Chiese di Viterbo centroEx Chiiesa Sant'Antonino via La Fontaine Viterbo Ex Chiesa S, Antonino via Cardinal Pietro la Fontaine Viterbo Chiese di Viterbo centroPalazzo Lomellino via La Fontaine Viterbo Palazzo Lomellino D'Aragona via La Fontaine Viterbo Palazzi di Viterbo centroPalazzo Liberati via Cardinal La Fontaine Viterbo Palazzo Liberati via La Fontaine Viterbo Palazzi di Viterbo centroPalazzo Gatti via La Fontaine Viterbo Palazzo Gatti via La Fontaine Viterbo Palazzi di Viterbo centroedicole sacre madonnelle a via Cardinal La Fontaine Viterbo madonnella via Cardinal la Fontaine Viterbo Edicole sacre a Viterbo edicole sacre madonnelle a via Cardinal la Fontaine Viterbo,Edicole sacre a Viterbo madonnella a via Cardinal la Fontaine pressi via San Leonardo Edicole sacre a Viterbo Vicolo senza uscita accanto al Palazzo Gatti Via Cardinal Pietro La Fontaine Viterbo Vicolo senza uscita accanto al Palazzo Gatti Via Cardinal Pietro La Fontaine Viterbo Strada senza uscita a via Cardinal La Fontaine Viterbo strada senza uscita a via Cardinal La Fontaine Viterbo centro Vie di Viterbo centro
strada senza uscita a via Cardinal La Fontaine Viterbo centro Vie di Viterbo centro strada senza uscita a via Cardinal La Fontaine Viterbo centro Vie di Viterbo centro Fontana Moccichello via La Fontaine Viterbo Fontana Moccichello palazzo Gatti via Cardinal La Fontaine Fontane lavatoi di ViterboNasone al Palazzo Gatti via La Fontaine Viterbo nasone al palazzo Gatti a via La Fontaine Viterbo Nasoni di Viterbo centro Stemma a via Cardinal la Fontaine Viterbo centro storico Stemma a via Cardinal La Fontaine Stemmi via Cardinal La Fontaine Stemmi a Viterbo Stemma a via Cardinal La Fontaine Stemmi via Cardinal La Fontaine Stemmi a Viterbo Stemma Papa Benedetto XIII alla Chiesa del Gonfalone a Viterbo Papa Benedetto XIII Chiesa Giovanni Battista Stemmi via Cardinal La Fontaine Stemmi Viterbo Stemma Vescovo Sermattei alla Chiesa del Gonfalone Viterbo Vescovo Sermattei Chiesa San Giovanni Battista del Gonfalone - Stemmi via Cardinal La Fontaine Stemma Famiglia Gatti Fontanella Moccichello Stemma fontana Famiglia Gatti del Moccichello - Stemmi via Cardinal La Fontaine Nasone accanto Palazzo Gatti via La Fontaine Viterbo Nasone palazzo Gatti via Cardinal La Fontaine Viterbo, Nasoni di Viterbo centroStemmi Famiglia Gatti palazzo Gatti via La Fontaine Viterbo Stemmi Palazzo Gatti via La Fontaine Viterbo - Stemmi via Cardinal La Fontaine Stemmi al palazzo a via La Fontaine 8 Viterbo centro Stemmi palazzo via La Fontaine 8 Viterbo - Stemmi via Cardinal La Fontaine Stemma Palazzo Lomellino D'Aragona via La Fontaine Viterbo centro Stemma al portone del Palazzo Lomellino D'Aragona - Stemmi via Cardinal La Fontaine Stemma Palazzo a via La Fontaine 8 Viterbo centro storico stemma palazzo via La Fontaine 8 - Stemmi via Cardinal La Fontaine Stemma San Bernardino Palazzo via La Fontaine 8 Viterbo centro Stemma San Bernardino voa La Fontaine 8 Viterbo - Stemmi via Cardinal La Fontaine Stemma abraso a via La Fontaine 61 Viterbo centro storico Stemma abraso a via Cardinal La Fontaine 61 - Stemmi via Cardinal La Fontaine Simbolo in fondo a via C. La Fontaine Viterbo tra via S. Leonardo V.delle Fabbriche Simbolo Sant'Orsola in fondo via Cardinal La Fontaine - Stemmi via Cardinal La Fontaine Da vedere a via Cardinal Pietro La Fontaine Viterbo
Da vedere nei dintorni di via La Fontaine
Fotografie informazioni turistiche via Cardinal La Fontaine Viterbo via Cardinal la Fontaine, Viterbo, informazioni turistiche e foto a cura di Anna Zelli San Pellegrino Quartiere - Colle San Pellegrino - Mappa San Pellegrino Pianoscarano quartiere - Colle Pianoscarano - Mappa Pianoscarano
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Viterbo monumenti di Viterbo centro storico
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