Via San Leonardo, Colle San Sisto, ,Viterbo, sito ufficiale web www.annazelli.com
Viterbo |
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Ex Chiesa San Leonardo in Colle Porta San Pietro Porta Romana Porta San Leonardo Mappa Colle San Sisto Mappa San Pellegrino Mappa Pianoscarano via San Pellegrino
Chiesa del Gonfalone
Vie di Viterbo centro
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Via San Leonardo , Viterbo, centro storico, la via superato il palazzo Gatti di via La Fontaine è al centro di quattro strade, a destra via dell’Ortaccio, a sinistra via delle Fabbriche ed al centro due vie quasi parallele a destra la via San Pietro e a sinistra la via San Leonardo. Imboccando, quindi via San Pietro sul lato destro c'è si la Ex Chiesa di Sant’Orsola, oggi sconsacrata, che presenta una facciata risalente al ‘700, questa chiesa già esistente nel XII secolo era dedicata a San Giovanni in Petra. Su via dell’Ortaccio c’era l’ex casa parrocchiale, e qui sono visibili due formelle una raffigurante S. Orsola con i fedeli inginocchiati e l’altra con le tre croci simbolo dell’Ospedale di Viterbo. Proseguendo per via San Leonardo, sulla destra c’è un bel palazzo ridotto in condizioni pietose (2021), chiamato il Palazzo di S. Fortunato, che appartenne ai Cavalieri Gerosolimitani, alle monache di S. Maria del Paradiso e, nel ‘500, a Monsignor Giulio Nobilio, cameriere di Papa Pio IV. Qui si trova la Porta San Leonardo, in uno stato terribile, con scritte vandaliche e graffiti, porta esistente già dal 1278. Sulla lunetta un affresco del XV-XVI secolo, raffigurante la Crocefissione con la Madonna ed i Santi. Superata la porta, si vede la parte posteriore della Ex Chiesa di Santa Maria delle Fortezze, che durante i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale è stata gravemente danneggiata, e molto lo hanno fatto dopo i vandali di turno. In origine l’impianto di questa chiesa, risalente al XVI secolo, era a croce latina, e fu realizzata su progetto di Battista di Giuliano da Cortona, qui ci fu la comunità dei Frati Minimi di San Francesco di Paola fino al XIX secolo. La fiera dell’Annunziata che oggi si dispiega dentro le mura, lungo le vie del centro di Viterbo, un tempo si svolgeva qui, alle Fortezze, tanto che anche la chiesa veniva chiamata Chiesa della Annunziata, anziché delle Fortezze. In origine questa fiera aveva anche un valenza culturale, vi prendevano parte gli artigiani , gli agricoltori e gli ambulanti della Tuscia, mentre oggi, questo spirito si è perso. Vis San Leonardo incrocia Via della Molinella, via delle Monache, dove c’è un antico lavatoio che venne collocato qui nel 1826, a via delle Monache 22. Ex Chiesa S. Leonardo in Colle Ex Chiesa San Leonardo in Colle Ex Chiesa di San Leonardo in Colle, via San Leonardo, Viterbo, se ne ha menzione già nel XII secolo, si dice che fosse sotto la direzione della Chiesa di San Sisto, o forse nel 1202 era parte del convento di San Martino. Non ci sono notizie certe. Questa chiesa si trova in quella che un tempo era chiamata la contrada di San Leonardo,tra la porta San Pietro e la porta San Leonardo, e data la sua importanza era già una parrocchia nel 1236. Nel 1271, da un documento dello Statuto del Comune di Viterbo si attesta l’importanza di questa chiesa dove sia i rettori che gli abitanti avevano la facoltà di eleggere un procuratore per le liti e le vertenze pubbliche. Questa Chiesa economicamente era autonoma già nel 1344, e pagava parte delle entrate, derivanti dalle offerte, alla Chiesa di San Sisto. La Chiesa di San Leonardo al Colle, inoltre, data la sua importanza, ospitava l’Ordine degli Spedalieridi San Giovanni in Gerusalemme poi noti con il nome di Cavalieri di Rodi. Nel 1562, per volere del Vescovo Gualtiero, vennero soppresse le chiese di San Biagio a via San Lorenzo, e la chiesa di San Giovanni in Pietra, e la cura delle anime venne affidata alle chiese di Santa Maria Nuova nella omonima piazza, alla Chiesa di San Pellegrino, sulla omonima piazza, e alla Chiesa di San Leonardo. La prima testimonianza di un Archivio della chiesa parrocchiale di San Leonardo al Colle si ha nel 1612 quando, in occasione della visita pastorale del vescovo Tiberio Muti fu redatto un inventario con tutti i beni mobili ed immobili appartenenti alla chiesa. Nel 1639 si fa menzione della Sacrestia nella quale erano conservati i libri parrocchiali e delle messe Alla fine del XVI secolo la chiesa di San Leonardo al colle era già elevata a chiesa Parrocchiale, e si ha anche notizia che la Chiesa di Sant’Erasmo fosse dalla parrocchia San Leonardo adibita a cimitero. Si deve al vescovo Bedini, tra il 1861 e il 1864, la proposta dello spostamento della sede parrocchiale di San Leonardo alla vicina chiesa di Santa Maria delle Fortezze, ma questo intento non venne mai realizzato. L’attività della chiesa proseguì fino alla seconda metà del XX secolo.Attualmente è sconsacrata, e fino a poco tempo fa adibita dalla Caritas a mensa per i poveri. In questa chiesa fu parroco Don Alceste Grandori. Ricordato nel nome del contiguo Largo Grandori. Don Alceste Grandori fondò qui la Casa del Catechismo che si trovava a via San Leonardo 25, edificata nel 1946 e vi era anche la scuola media. Qui vi era anche la tipografia di Don Alceste Grandori, chiamata Cultura Religiosa Popolare che fu inaugurata nel 1925, dove venivano stampati testi religiosi. La Casa del Catechismo fu ideata nel 1946, e per realizzare il progetto venne spostato il lavatoio a via delle Monache, lavatoio ancora esistente. I lavori furono completati nel 1952. Al civico 27 vi era l’ingresso della Casa Canonica . A destra su un architrave vi era scolpito Leo Salvatus Sabin rector restauravit 1664, e sopra vi era la formella raffigurante la mitra poggiante sulle manette con in basso le lettere R.E.S.I. Un tempo il Largo Don Alceste Grandori, era il cortile della Chiesa di San Leonardo, poi trasformato in circolo sportivo nel 1907. La vicina Porta San Leonardo venne riaperta nel 1993, e aveva un affresco sulla lunetta, ora purtroppo sia la ex Chiesa delle Fortezze che la porta, nel 2023, sono ridotte in condizioni pietose. Giuseppe Petroselli, che era regista ed attore, fondò qui nella Parrocchia di San Leonardo al Collel a Filodrammatica chiamata Aurora, che fu attiva tra il 1933 e il 1973. Don Alceste Grandori parroco per 54 anni, fu inizialmente seppellito nella Chiesa di Santa Rosa e poi traslato nel 1978 al Cimitero di San Lazzaro. La chiesa ormai non conserva quasi più niente dell’antico impianto, tra questi, vi era una piccola cappella opera di Paolo Dall’Osso dedicata a Santa Teresa del Bambino Gesù. Fino a poco tempo fa la ex chiesa ospitava la mensa dei poveri gestita dalla Caritas, ma tutta la zona è purtroppo in un abbandono totale, qui vi si recano famiglie italiane ed extracomunitarie che per la totale assenza dello stato sostengono per come possono i più bisognosi.
Campanile S.Leonardo in Colle Campanile S. Leonardo in Colle San Leonardo di Noblac San Leonardo di Noblac, a lui era dedicata una chiesa, la chiesa di San Leonardoa via Cavour scomparsa ora vi è un Teatro anno 2023, una era nella attuale via San Leonardo, denominata San Leonardo in Colle su via San Leonardo .L' etimologia del nome Leonardo, significa forte come un leone, fu abate francese e molto venerato in Europa, durante il periodo medioevale, è noto come San Leonardo abate di Limoges del Limosino o confessore, nacque ad Orléans,nel periodo storico in cui regnava l’Imperatore Anastasio I Dicoro, presumibilmente nel 496 e morì a Noblac il 6 novembre del 545 o del 559. All’epoca, Orleans, era parte della Gallia, la famiglia di origini nobili possedeva il Castello di Vandome che era nel villaggio di Corroi, presso Orleans, i genitori erano in amicizia con il Re Clodoveo, il quale fece da padrino, la notte di Natale, al battesimo del piccolo Leonardo. Sia Leonardo che il Re furono battezzati dall’Arcivescovo Remigio di Reims, questo perché il Re Clodoveo, aveva promesso alla moglie Clotilde prima della battaglia di Tolbiaco, che avrebbe abiurato , insieme alla sua corte i riti pagani e così insieme a Leonardo si fece battezzare anche lui. Da giovane Leonardo rifiutò di dedicarsi alla carriera cavalleresca per seguire gli insegnamenti dell’Arcivescovo Remigio. l’Arcivescovo ebbe il privilegio dal Re di liberare i prigionieri che avesse incontrato e che ritenesse innocenti, diventato Abate, Leonardo ereditò questo stesso privilegio adoperandosi anche lui a liberare i prigionieri ridotti in povertà. Gli venne offerta la sede vescovile, ma Leonardo la rifiutò preferendo la vita da eremita. Queste furono le sue parole al Re : Principe, date la mitra pontificale a coloro che la desiderano. Io mi accontento di lodare il Signore conducendo una vita da eremita. Il Santo abbandonò con il fratello Lifardo la corte, e per un periodo si ritirò nel monastero di Micy, divenuto diacono , qui, avrebbe compiuto il primo miracolo, trasformando l’acqua in vino. Morto san Massimino, probabilmente intorno al 520, si diresse a sud dove decise di fondare il suo eremo nella foresta di Pauvain, nel Limosino. Ebbe molti seguaci e la fama della sua santità arrivò fino al re che ne richiese l'intervento quando la regina Clotilde, transitando in quella zona, fu sorpresa dalle doglie del parto. L'intervento di Leonardo lenì i dolori della regina che poté dare alla luce il suo bambino. Clodoveo per riconoscenza gli concesse la parte di bosco che sarebbe riuscito a descriverne in un giorno a dorso d'asino. Qui Leonardo edificò un oratorio intitolato a Nostra Signora di sotto gli alberi ed eresse un altare in onore di san Remigio. Secondo la leggenda devozionale, fece, quindi, un buco in terra che si riempì miracolosamente d'acqua dando origine ad un pozzo che venne nominato nobiliacum, in ricordo della donazione regale. Dal nobiliacum prese il nome anche la cittadina che si andò formando attorno al monastero e che inizialmente prese il nome di Noblac, quindi Noblat e oggi è chiamata Saint-Léonard-de-Noblat in onore del suo illustre fondatore. La tradizione vuole che il santo sia morto la sera del 6 novembre, ma manca una datazione precisa dell'anno, che dovrebbe attestarsi intorno alla metà del VI secolo e fu inumato nell'Oratorio che aveva fondato. L'Oratorio con le spoglie di Leonardo divenne ben presto una famosa meta di pellegrinaggio di fedeli, tanto che, probabilmente lo stesso Pipino il Breve vi si recò in pellegrinaggio, dopo la vittoria nell'assedio di Limoges. Con l'aumentare del numero dei pellegrini, si decise di erigere una chiesa più grande e le reliquie del santo furono perciò trasportate nell'erigenda chiesa sotto il regno di Luigi il Pio. Nel 1094, nel corso di una epidemia detta "male degli ardenti", le reliquie del santo furono portate in processione e, secondo la leggenda, l'epidemia cessò. Il culto ebbe una rapida diffusione in tutta Europa a partire dall'XI secolo. Un grande contributo al suo culto lo dette anche il pellegrinaggio nel 1106 di Boemondo I d'Antiochia, imprigionato dagli infedeli e poi liberato tre anni più tardi, per merito, a suo dire, dell'intervento di san Leonardo da lui invocato. Anche il re d'Inghilterra Riccardo cuor di leone si sarebbe recato a ringraziare il santo nel 1197, a seguito della sua liberazione dalle prigioni dell'imperatore di Germania. Noblac divenne anche una delle tappe del cammino verso Santiago di Compostela, divenendo così a maggior ragione una meta di pellegrinaggio frequentatissima dai fedeli, in particolare da quelli dell'Europa centrorientale. La sua venerazione si diffuse anche in Italia dove la sua popolarità ebbe un impulso anche grazie ai Normanni che ne introdussero il culto nei loro regni. San Leonardo divenne così uno dei santi più popolari nell' Europa medioevale. San Leonardo è rappresentato con delle catene, per la sua particolare protezione agli imprigionati o ai carcerati ingiustamente; talvolta è rappresentato in abito diaconale, episcopale, e più spesso indossa il saio da monaco. Con l'inizio della guerra dei cent'anni, che vedeva la Francia in lotta con l'esercito inglese, la cripta contenente le reliquie del santo fu murata per evitare razzie. Terminata l'occupazione inglese, si decise di recuperare le reliquie del santo. La loro inventio sarebbe avvenuta il 17 febbraio del 1403. Le circostanze di questa straordinaria scoperta sono riportate dall'abate Oroux nel XVIII secolo:“Dopo aver perso totalmente le tracce del luogo di inumazione del Santo, si tenne una cerimonia di preghiera, nel corso della quale un contadino s'alzò per indicare in quale luogo della chiesa scavare. Lì furono ritrovati tre casse di piombo, all'interno di un sarcofago in pietra. Due di queste presentavano delle iscrizioni in latino inerenti alle ossa e alle ceneri di san Leonardo. ( + ossa beati leonardi +). A seguito di tale ritrovamento, le reliquie furono collocate all'interno di due grossi reliquiari posti sopra l'altare maggiore, protetti da una grata di ferro battuto. Mentre le due casse di piombo, ormai vuote, sono parte del tesoro della Collegiata e sono tuttora visibili per i visitatori. Sempre presso la Collegiata all'interno di una coppa dorata del XIX secolo è custodito il cranio di San Leonardo. Ancora oggi, in tale data, presso la Collegiata, si commemora tale ritrovamento. Inoltre, ogni sette anni, la Confrérie de Saint-Léonard-de-Noblat, organizza le Ostensioni, una presentazione solenne delle reliquie alla venerazione dei fedeli, per commemorare il Miracolo degli ardenti avvenuto nell'agosto del 1094. Esse hanno inizio con la ricognizione canonica delle reliquie di san Leonardo abate da parte dei confratelli, il venerdì di Quaresima e terminano la domenica della Santa Trinità. Altre reliquie sono custodite in Toscana (a Cerreto Guidi e a Stagno comune di Collesalvetti), a Malta, a Mascali (probabilmente parte di un'ulna), a Panza (Forio) dove è custodita unitamente ad una reliquia secondaria donata nel 2004 dalla Confrérie de Saint-Léonard-de-Noblat, in occasione del Meeting Nazionale Amici di San Leonardo tenutosi ad Ischia. Un'altra reliquia secondaria (o reliquia da contatto) è custodita presso la Parrocchia di San Leonardo abate in Marsala (TP) e portata da un pellegrinaggio a Noblat organizzato dal parroco Don Giuseppe Maniscalco il 27 maggio 1990. Per le vicende che lo videro restituire la libertà a molti prigionieri, è considerato il patrono dei carcerati; gli è stata attribuita la protezione dei fabbricanti di catene, fibbie, fermagli, ecc. Nella zona di Liegi in Belgio è patrono dei minatori. La sua intercessione viene invocata per i parti difficili, i mal di testa, le malattie dei bambini, le malattie del bestiame, la grandine, i banditi e anche contro l'obesità. Dopo il 1030 venne messa in circolazione un’anonima “Vita sancti Leonardi” con l’aggiunta della descrizione di nove miracoli a lui attribuiti. I prigionieri dovunque lo invocassero, vedevano le catene spezzarsi, i lucchetti si aprivano, i carcerieri si distraevano, le porte si spalancavano; questi infelici riacquistata la libertà, accorrevano da Leonardo per ringraziarlo e molti rimanevano con lui. a Nobila, il santo liberava i carcerati, che erano essenzialmente prigionieri di guerra,si ricorda che la pena in quei secoli era corporale o pecuniaria per le punizioni, e che la detenzione serviva per riscuotere i riscatti. A Noblac accorrevano anche malati di ogni genere, che solo a vederlo, ritornavano guariti. Parecchi familiari del santo eremita si stabilirono nei dintorni del monastero con le loro famiglie, dando così origine ad un villaggio, che poi prenderà il suo nome. S. Leonardo. San Leonardo u particolarmente venerato all’epoca delle crociate e tra i suoi devoti si annovera il principe Boemondo d’Antiochia (Boemondo d’Altavilla, 1050-1111, figlio di Roberto il Guiscardo) che preso prigioniero dagli infedeli nel 1100 durante la I crociata, venne liberato nel 1103, attribuendo la sua liberazione al santo che aveva invocato; quando tornò in Europa donò come voto al santuario di Saint-Léonard-de-Noblat, delle catene d’argento, simili a quelle che lo tenevano legato. Il ‘Martirologio Romano’ lo celebra il 6 novembre; San Leonardo è molto raffigurato nell’arte, quasi sempre con le catene, simbolo della sua particolare protezione per i carcerati ingiustamente In Belgio è patrono dei minatori del bacino minerario di Liegi; introdotto dai Normanni, il suo culto si diffuse anche in Sicilia, testimoniato dalle tante opere d’arte che lo raffigurano, come del resto in tutta Europa. Don Alceste Grandori Don Alceste Grandori, nacque a Viterbo il 19 gennaio 1880, muore a Viterbo nel 1974, all’età di 94 anni, è stata una figura molto importante per la storia dell’insegnamento del catechismo, non solo a Viterbo ma anche in Italia. Entrò in Seminario con l’aiuto di Pietro La Fontaine, nato nel 1860 e morto nel 1935, che fu anche suo insegnante e suo maestro spirituale. Don Alceste Grandori, divenne sacerdote nel 1902, nel 1906 divenne responsabile della Congregazione Mariana, fondata dallo stesso La Fontaine, il cui progetto era l’educazione religiosa dei giovani studenti. Successivamente venne fondato il Circolo Cattolico Studenti, per la cultura religiosa degli studenti universitari. Fondò anche dei reparti scout e fondò l’Associazione di Azione Cattolica San Leonardo. Nel 1925 nasce l’Opera Catechistica poi rinominata Unione Giovanile Cattolica, una scuola quotidiana di catechismo e di esercizi spirituali per la preparazione della Prima Comunione. Don Alceste Grandori stampò anche dei libri di catechismo. Nel 1922 istituì Voce Amica, che erano delle lezioni per gli studenti, e poi scrive e pubblica La Vita di Gesù narrata ai bambini. Don Alceste aveva una sua tipografia nella quale stampò album di catechismo destinati sia ai bambini che agli adulti. Suoerato il tragico periodo della Seconda Guerra Mondiale, la Casa Editrice Cultura Religiosa Popolare rimase attiva fino al 1968. Dopo di che la sua tipografia venne ceduta a privati. Don Alceste Grandori è sepolto nella Basilica di Santa Rosa. Tra le sue attività si deve a lui nel 1907 la costituzione di due squadre sportive il Robur e Viterbium, mise anche in piedi una palestra dove far allenare i giovani e acquistò un terreno per ricavarne un campo sportivo. Nel 1909 acquistò un proiettore che mise in un locate nei pressi della chiesa di San Sisto, dove settimanalmente proiettava dei film. Nel 1913, la sua attività venne coadiuvata da Zafferino Bentivoglio, che gli rimase vicino fino alla sua morte. Nel 1915 fu vicario ed econome presso la chiesa di Santa Maria nuova, e una volta terminata la guerra avvia una scuola di catechismo presso la vicina Chiesa del Gonfalone. Nel 1920 diventa parroco della Chiesa di San Leonardo, e nella vicina Casa di San Giuseppe si svolgevano tutte le attività che aveva fondato, qui vi era una sala giochi per bambini dai 6 ai 10 anni, una scuola di catechismo per la preparazione dei bambini alla Prima Comunione. Nel 1923 fonda il gruppo scoutistico viterbese “Fortitudo” Vt2°, fatto sciogliere dal fascismo nel 1928, ricostituito nel 1944 dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale.Nel 1924 fonda la casa editrice “Crp – Cultura religiosa popolare”, per pubblicare i suoi albi catechistici illustrati, che dal 1925 saranno stampati dalla sua nuova tipografia che prenderà il nome di “San Leonardo”. Nel 1928 fonda l’associazione maschile “Azione Cattolica”, un oratorio per i ragazzi viterbesi. Acquistò anche un’auto per poter meglio trasportare le sue pubblicazioni, una delle prime a Viterbo. Organizzò anche gite per i bambini e i giovani. Dal 1939 fondò un ritrovo chiamato “Guido Negri”, un ritrovo per i militari delle caserme di Viterbo del III° Reggimento Granatieri di Sardegna di piazza della Rocca, e gli avieri dell’aeroporto Tommaso Fabbri. Durante la Seconda Guerra Mondiale la tipografia fu distrutta dai bombardamenti e Don Alceste impossibilitato a provvedere al suo ripristino la vendette. Nel 1952 viene inaugurata La Casa del Catechismo nella quale si svolgevano anche attività creative ed artistiche. Libri e Pubblicazioni di Don Alceste Grandori, Viterbo, questo illuminato e geniale sacerdote, oltre che uomo di fede,pubblicò vari libri, tra questi, “Voce amica”, “La storia sacra” in due volumi, “La vita di Gesù” in due volumi, “Vita di San Benedetto abate”, “Vita di Santa Giacinta Marescotti”, “Vita di Santa Rosa”, “Vita di Santa Teresina del B. Gesù”, “Vita di Donna Maria Benedetta Frey” “Le grandezze di Dio”, “La redenzione”, In viaggio verso l’eternità”, “La legge di Dio e della Chiesa”, e “Storia della Chiesa” in tre volumi. Le “Fonti della Grazia” in sei volumi, con le spiegazioni sul catechismo. Le illustrazioni dei suoi testi si devono ad un pittore romano, Giovanni Battista Conti. Scrive anche “Ai miei amici comunisti. Lettera aperta del sacerdote Alceste Grandori ai viterbesi”.Nel 1948 pubblica il suo manuale di radiestesia “I prodigi del pendolo” che gli procurerà anche delle critiche, da più parti, specialmente negli ambienti cattolici, per aver sconfinato, dalla religione, nel campo del paranormale, dell’esoterico e dello scetticismo scientifico. Insieme al libro era venduto anche il pendolo che, come scritto sulla copertina, “trova, discerne, identifica, anche a grande distanza”. Scrisse anche : “Dalle creature a Dio” due volumi sulla vita degli animali e “I cieli narrano la storia di Dio” che trattava di astronomia. Nel 1972 pubblica il suo ultimo libro di catechesi “Le origini della vita e dell’universo”. (Bibliografia : Silvio Cappelli - Diocesi di Viterbo lavatoio a via delle Monache Lavatoio via delle Monache, Viterbo, a pochi passi da via San Leonardo se ci si incammina a via delle Monache è possibile vedere un bel lavatoio e una fontanella restaurati, è una via ad U. Ben curata con dei proffferli. Chiesa San Pietro del Castagno Chiesa San Pietro del Castagno, Viterbo, è tra piazza San Pietro, via Salicicchia, via Vetralla, si vede di fronte alla porta San Pietro. Un lunga scalinata da accesso alla chiesa, sembra da documenti non accertati, che questa chiesa sia stata costruita per volere del Cardinale Raniero Capocci ed affidata ai cistercensi, ma in realtà un documento del 1268 ci dice che in origine questa chiesa era destinata ai frati saccati, vestiti con un sacco, chiamati anche Fratelli della Penitenza di Gesù, il cui ordine aveva delle regole estremamente rigide. Già nel 1283 i frati Saccati erano andati via da Vitebo e Papa Martino IV affidò il complesso ai Benedettini, che seguivano la regola di Cluny. Nel '400 il convento fu governato da commissari secolari, tra questi, Troiolo Gatti fece costruire nel giardino una fonte. Papa Alessandro VI con una bolla del 1498 assegnò il complesso ai Frati Gerolimini del Beato Pietro da Pisa e nel 1825 vi si stabilirono i Frati della Penitenza, soppressi da Papa Pio XI nel 1933. Nel XVI secolo la chiesa venne interamente rifatta con il sostegno del Cardinale Riario e tra il 1621 e il 1622 il Cardinale Scipione Cobelluzzi fece ricostruire la facciata e la attuale scalinata, togliendo quindi l'impronta romanica che aveva in origine questa chiesa. All'inizio del '900 vennero effettuati altri restauri voluti dal benedettino Luka Linke, il quale ne mantenne la struttura architettonica. Oggi la chiesa è retta dai Padri Giuseppini del Murialdo che qui hanno istituito la sede dello Studentato Internazionale Teologico. La facciata della chiesa è a due ordini e sormontata da fiamme in pietra, ha delle lesene in peperino ornate nella parte superiore da figure di angeli. Sopra il portale si ricorda l'unione con la Basilica di San Giovanni in Laterano di Roma, del 1618, al centro sopra il timpano, si apre una grande finestra ed in alto c'è lo stemma di Cobelluzzi, e sopra il portale di ingresso, nella lunetta è una testa d’angelo con le ali. Sulla grande mensola centrale c'è l’iscrizione commemorativa della dedica della chiesa, datata 1622: Ad honorem b. principis apostolorum a. D. MDCXXII. La fiancata sinistra, posta su Via Vetralla, è evidenziata da alcuni contrafforti. Vi sono, inoltre, le tracce delle mura antiche con finestroni del secolo XIII e resti di archi. L'interno, la pianta dell’edificio è rettangolare con l’abside quadrata, il soffitto è a volta, presenta 3 cappelle, ad arco con mostre in peperino collegate tra di loro su ciascun lato da passaggi interni. Il soffitto è a volta, le cui vele sono affrescati da dipinti del XVIII secolo, raffiguranti gli evangelisti. Nella prima cappella vi è una pala d'altare del XVIII secolo nella quale è dipinta l'immagine della Madonna con San Giuseppe, Gesù Bambino, Santa Elisabetta, San Zaccaria, e San Giovanni Battista bambino. Affreschi sono presenti nella terza cappella che decorano la volta, mentre sulle pareti vi è una Crocefissione, la Vergine incoronata dalla Santissima Trinità, la Decollazione di San Giovanni Battista anche queste opere del XVIII secolo. Ci sono inoltre in questa cappella, sopra l'altare in peperino con colonnine e fregi dipinti degli angeli che circondano la Madonna delle Grazie e un affresco in cornice del XVI secolo. Nei transetti di destra, in due grandi pannelli c'è un altorilievo dove sono raffigurati San Benedetto a colloquio con Santa Scolastica, San Mauro, San Benedetto, San Placido, che risalgono al '900. Della fine del XVI secolo è un grande dipinto della crocefissione di San Pietro, che si trova in fondo al presbiterio. A sinistra della cappella centrale vi è una moderna Pala d'Altare di San Leonardo Murialdo con operai e studenti, dipinta da Franco Verri. Nell'ultima cappella c'è un altare del settecento. L'organo presente nella cantoria è opera di Angelo Morettini e risale al 1834. Nella Sacrestia è presente una Pala d'Altare con la Madonna e San Crispino vescovo del XVIII secolo..La cupola è a volta ribassata e sostiene un cupolino, nelle vele sono affrescati gli Evangelisti, opera del XVII secolo, e nella chiave dell’arco in peperino, sopra alla navata, c'è lo stemma di Viterbo che poggia su una mensola caratterizzata da un cherubino, il tutto in peperino. Il campanile è a vela a due fornici sovrapposti con due campane e due archetti più in basso. La chiesa ha una lunga ed ampia scalinata in peperino, protetta da parapetti, che presentano scolpiti gli stemmi del cardinale Cobelluzzi, sovrastati da grandi sfere, sempre in peperino. San Pietro Apostolo San Pietro Apostolo, vita opere storia, a lui è dedicata a Viterbo la chiesa di San Pietro, detta del Castagno, che si trova di fronte alla Porta San Pietro, fuori le mura del centro storico.Simone detto Pietro nacque a Betsaida, nel I secolo a.C. morì a Roma, il 29 giugno 64 o 67 d.C., fu uno dei dodici apostoli di Gesù; la Chiesa cattolica lo considera il primo papa. Nato in Galilea, fu un pescatore ebreo di Cafarnao. Il suo nome originario era Simone, e fu Gesù a chiamarlo Pietro. Divenuto apostolo di Gesù dopo essere stato chiamato presso il lago di Galilea, fece parte di una cerchia ristretta, insieme a Giovanni e Giacomo, dei tre che assistettero alla resurrezione della figlia di Giairo, alla trasfigurazione nel monte Tabor e all'agonia di Gesù nell'orto degli ulivi. Tentò di difendere il Maestro dall'arresto, ferendo uno degli assalitori. Unico, insieme al cosiddetto discepolo prediletto, a seguire Gesù presso la casa del sommo sacerdote Caifa, fu costretto anch'egli alla fuga dopo aver rinnegato tre volte il Maestro, come questi aveva predetto. Prima della crocifissione e anche dopo la successiva resurrezione, Pietro venne nominato dallo stesso Gesù capo dei dodici apostoli e promotore dunque di quel movimento che sarebbe poi divenuto la prima Chiesa cristiana. Instancabile predicatore, fu il primo a battezzare un pagano, il centurione Cornelio. Entrò in disaccordo con Paolo di Tarso su alcune questioni riguardanti giudei e pagani, risolte comunque durante il primo concilio di Gerusalemme discutendo sulle tradizioni ebraiche come la circoncisione. Secondo la tradizione, divenne primo vescovo di Antiochia di Siria per circa 30 anni, dal 34 al 64 d.C., continuò la sua predicazione fino a Roma dove morì fra il 64 e il 67, durante le persecuzioni anticristiane ordinate dall'imperatore romano Nerone. A Roma Pietro e Paolo sono venerati insieme, come colonne fondanti della Chiesa; Pietro è considerato santo da tutte le confessioni cristiane, sebbene alcune neghino il primato petrino e altre il primato papale che ne consegue. A Cesarea di Filippo, Gesù interrogò i suoi apostoli su quel che gli uomini dicevano di lui. Vennero varie risposte. Alla fine il Maestro domandò loro: “Voi chi dite che io sia?”. Fu Simon Pietro che, primo tra i Dodici, disse: “Tu sei il figlio del Dio vivente!” E Gesù dice: “E io ti dico: tu sei Pietro". “A te darò le chiavi del Regno dei cieli e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli”. Il senso di questa immagine, nota alla Bibbia e all'Oriente del tempo, suggerisce l'incarico affidato a un unico personaggio di sorvegliare e amministrare la casa.Pietro è da Gesù nominato "Primo ministro" della sua Chiesa, della quale dovrà governare non solamente la massa dei fedeli, ma gli stessi funzionari. Il potere di legare e di sciogliere implica il perdono dei peccati, è questa una “grazia”, ha indicato il Pontefice Benedetto XVI “che toglie energia alle forze del caos e del male, ed è nel cuore del mistero e del ministero della Chiesa”, la quale “non è una comunità di perfetti, ma di peccatori che si debbono riconoscere bisognosi dell’amore di Dio e di essere purificati attraverso la Croce di Gesù Cristo”. Quando Pietro fu a Roma, venne arrestato a seguito della persecuzione neroniana e secondo antiche tradizioni rinchiuso, con Paolo, all'interno del carcere Mamertino (su cui poi sorse la chiesa di San Pietro in Carcere) dove i due carcerieri, destinati a diventare i santi vedendo i miracoli operati dai due apostoli, chiesero il battesimo. Allora Pietro, con un segno di croce verso la Rupe Tarpea, riuscì a farne scaturire dell'acqua e con essa battezzò i due carcerieri che subito dopo aprirono loro le porte per invitarli alla fuga, venendo però scoperti e giustiziati. La leggenda non sembra però fondata. Fuggito dal carcere, Pietro si diresse verso la via Appia, ferito per la stretta delle catene. Nei pressi delle terme di Caracalla secondo la tradizione avrebbe perso la fascia che gli stringeva una gamba, oggi custodita nella chiesa dei Santi Nereo e Achilleo, detta appunto "in fasciola". Anche in questa versione ricorre l'episodio relativo all'incontro lungo la via Appia con il Maestro, che lo invitò a tornare a Roma per morirvi martire. Catturato nuovamente dai soldati dell'imperatore venne crocifisso, secondo la tradizione trasmessa da Girolamo, Tertulliano, Eusebio e Origene, a testa in giù per sua stessa richiesta fra il 64, anno dell'incendio di Roma e dell'inizio della persecuzione anti-cristiana di Nerone, e il 67, benché l'autenticità di tale evento sia ancora oggi fonte di grande dibattito fra gli studiosi della Bibbia. In mancanza di testimonianze documentarie certe sulla data della morte di Pietro, la tradizione l'ha fissata al 29 giugno. Si tratta, secondo alcuni studiosi, di uno dei più antichi esempi di trasposizione di una festa pagana in cristiana: in quel giorno infatti si celebrava la festa di Romolo e Remo che i cristiani trasformarono nella solennità dei due apostoli, quali fondatori di una "nuova Roma", quella cristiana appunto. Testimonianze apocrife individuano il luogo della crocifissione di Pietro nei pressi dell'obelisco del circo di Nerone (quello che anticamente si trovava all'esterno dell'attuale sagrestia della basilica e ora è situato al centro di piazza San Pietro). L'apostolo fu sepolto nelle vicinanze dell'obelisco, dove rimase fino al 258 quando, per mettere al sicuro le spoglie durante la persecuzione di Valeriano, fu trasferito nelle catacombe di San Sebastiano, insieme ai resti di Paolo. Un secolo più tardi papa Silvestro I ripristinò le antiche sepolture, e Pietro tornò in Vaticano, nel luogo in cui Costantino fece poi costruire la primitiva basilica.(riassunto da wikipedia) Palazzo Donna Olimpia Palazzo di Donna Olimpia, via San Pietro,Viterbo, in origine questo palazzo era noto come Palazzo dell'Abate, ed apparteneva ai frati Cistercensi di San Martino al Cimino,lo si ricorda anche come palazzo di Donna Olimpia, perchè nel 1654 fu donato a Donna Olimpia Maidalchini Pamphili dal Papa Innocenzo X Pamphlili, alla moglie di suo fratello.Donna Olimpia oltre a diventare proprietaria di questo palazzo acquisì anche la signoria di San Martino al Cimino, con l'investitura ed il titolo di Principessa. Donna Olimpia era nata a Viterbo nel 1594, da una famiglia numerosa, fuggì dal convento nel quale era stata messa, .Dopo la morte del primo marito il viterbese Paolo Nini, sposò in seconde nozze Panfilio Pamphili fratello di Papa Innocenzo X,dal quale ottenne numerosi benefici. La struttura del Palazzo risale al 1200, è merlata, con sovrapposizioni rinascimentali volute dal Cardinale Francesco Piccolomini, divenuto Papa nel 1503 con il nome di Papa Pio III, e che fu anche commendatore dell'Abbazia di San Martino, il quale pose nelle lune gli stemmi di famiglia, le finestre sono riquadrate con mensole e cornici. L'originario fabbricato è affiancato da una costruzione ottocentesca, che fu la sede di un Befotrofio, che su progetto dell'architetto viterbese Enrico Calandrelli , nel 1899, ricreò porte e finestre secondo l'originario modello, che si aprono tra la porta e il suo antemurale. Donna Olimpia La Pimpaccia
Donna Olimpia
Maidalchini La Pimpaccia, Donna Olimpia Maidalchini, Olimpia Maidalchini nacque a Viterbo nel 1591 e appena diciasettenne andò in moglie a Paolo Nini, di una ricchissima famiglia Viterbese. Rimasta vedova, nel 1612 si risposò con Pamphilo Pamphili, esponente della nobiltà romana; si dedicò quindi al sostegno economico, della carriera ecclesiastica del cognato Giovanni Battista fino alla sua ascesa al soglio Pontificio avvenuta nel 1644 col nome di Papa Innocenzo X. Rimasta nuovamente vedova, ricevette dal papa le terre appartenute all’abbazia di San Martino al Cimino. Fu una donna ambiziosa e capace, che s’impose nella aristocrazia romana e divenne la principale ispiratrice della politica del cognato, non era molto amata dal popolo a causa dei suoi intrighi di palazzo, e l’appellativo spregiativo di Pimpaccia derivava dalla protagonista di un libro che narrava le vicende di una donna arrivista. Fu anche oggetto delle Pasquinate, tra queste : ““Chi dice donna, dice danno chi dice femmina, dice malanno chi dice Olimpia Maidalchina, dice donna, danno e rovina”. Morì nel 1657 a San Martino al Cimino colpita dalla peste. Successivamente tale denigrazione dovuta ai suoi contemporanei venne ridimensionata e la sua immagine rivalutata. Ex Chiesa di Sant'Orsola
Ex Chiesa di Sant’Orsola, si trova all’inizio di via San Pietro, Viterbo, via ad elle,la si imbocca sia da via San Pellegrino che da via La Fontaine, si vede questa chiesa partendo da via La Fontaine e dirigendosi verso via San Pietro, è accanto ad un arco. La chiesa di Sant’Orsola, nel 1190 si chiamava Chiesa di San Giovanni in Pietra, e per ordine di Papa Innocenzo III dal 1207 fu soggetta all’Abbazia di San Martino al Cimino, e doveva pagare parte delle sue rendite alla Cattedrale di San Lorenzo. Nel 1562 la parrocchia fu ripartita tra le parrocchie di san Leonardo e di san Pellegrino ed i beni furono assegnati alla Chiesa di santa Maria Nova. Poi, nel 1570 la Confraternita di sant’Orsola, proveniente dalla vicina ed oggi scomparsa ex Chiesa di san Pietro dell’Olmo, vi si trasferì, riedificò il tempio, ed impose il titolo di sant’Orsola. La missione di questa Confraternita era sia di dare una dote alle zitelle, che di educare ed assistere le ragazze povere. Attualmente questa chiesa è chiusa al pubblico e versa in un totale stato di abbandono. E pensare che un tempo era una delle 12 Collegiate più importanti di Viterbo. La sua importanza si deve al fatto che si trovava sul percorso obbligato dei pellegrini in visita al pontefice. Questa chiesa aveva di proprietà una casa per la comunità, un mulino ed un orto dove scorreva un piccolo torrente. I nomi delle vicine vie Via della Molinella e piazza del Fosso, testimoniano la presenza in questa zona di molini, una di queste mole, a via dell’Ortaccio, in granito è incastrata tra le pietre del muro. Nel 1562 la chiesa venne soppressa come parrocchia. Ma nonostante nel 1571 fosse stata ceduta alla comunità di Sant’Orsola, non se ne impedì la sua decadenza. Nella seconda metà del 1700 si cercò di restaurarla, ma cadde in rovina lo stesso, nonostante ai giorni nostri l’avesse presa in gestione l’Associazione del Frisigello, passata di nuovo al Comune di Viterbo oggi, (2021) è in uno stato di abbandono. Continua nel 2023. Porta San Pietro
Porta San Pietro Porta San Pietro o Salicicchia, via San Pietro,Viterbo, è una delle porte più antiche della città, risale al XII secolo,deriva il nome dalla Chiesa posta di fronte di San Pietro del Castagno, fondata nel 1240 dal Cardinale Raniero Capocci, già chiamata porta Salicicchia forse come corruzione del termine silices cioè i selci con i quali era pavimentata la strada, o perché conduceva al non distante castello di Salce. Addossato alla porta troviamo il palazzo dell'Abate di San Martino, che deve il suo nome al fatto che appartenne ai monaci cistercensi di San Martino al Cimino e usato nei mesi invernali quando al convento, situato in montagna, faceva troppo freddo, il palazzo è divenuto poi nel ‘600 il palazzo di Donna Olimpia Maidalchini Pamphili. Su questa porta campeggia lo stemma della città di Viterbo, il leone, questa porta è ben conservata e prende il nome dalla vicina chiesa di San Pietro del Castagno. La porta ed il palazzo hanno subito nei secoli vari adattamenti ed utilizzi, fino a diventare il palazzo un Brefotrofio fino alla seconda metà del secolo sorso. Nel 1200 il comune di Viterbo, dopo una sconfitta di Roma dovette cedere a quest’ultima la campana, la catena e la chiave di questa porta. Sotto l’arco si nota un affresco a tema religioso del XVII secolo. Di fronte alla porta sul muro del palazzo si nota la mostra di una antica fontana fatta costruire dal cardinale Francesco Todeschini Piccolomini, che divenne pontefice con il nome di papa Pio III e che regnò solo 26 giorni dal 22 settembre al 18 ottobre del 1503. Una modesta fontana a vasca rettangolare è all’esterno alla destra della porta di San Pietro. La porta è bassa e stretta e conserva la sua forma primitiva, è sovrastata da intatte merlature, dotate di feritoie per la difesa dagli attacchi nemici, sul lato esterno a via San Pietro si ammira il bassorilievo che raffigura il Leone di Viterbo con la picca al posto della palma, simbolo di Ferento, assunta la palma dopo la distruzione di Ferento da parte dei viterbesi nel 1172. Nel XII secolo la porta venne più volte chiusa per impedire l'accesso agli invasori romani che volevano impadronirsi della città, e per via della peste. Nel 1630 venne murata. Nel 1714 su riaperta per volere dei frati di San Pietro del Castagno. Subito dopo la porta c'è la fontana voluta nel 1463 dal Cardinale Francesco Todeschini Piccolomini, divenuto Papa con il nome di Pio III. A sinistra c' un angelo con un cartiglio "Civitatem protege Tuam" Porta San Leonardo Porta San Leonardo o Vallia, via delle Fortezze, Viterbo, da alcuni erroneamente chiamata porta Vallia, fu una porta importante per Viterbo finché sotto di essa passò la strada che portava a Roma seguendo l’antico tracciato della via etrusco romana. Modificato il suo tracciato, la porta perse di importanza e, nel corso del XV secolo, venne chiusa; a ridosso venne costruito ai primi del XVI il convento della chiesa di Santa Maria delle Fortezze, della cui chiesa dopo i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale rimane la parte absidata in parte affrescata. Dopo la guerra, la parte posteriore del complesso della chiesa non è più stato ricostruito e nel 2010 l'antica porta è stata riaperta per il solo passaggio pedonale. Il nome della porta prendeva il nome dalla vicina chiesa di San Leonardo, oltre a Porta San Leonardo, fu anche chiamata porta del Crocefisso, perché nella lunetta interna ci sono i resti di un affresco che rappresenta una Crocefissione con ai lati la Vergine, San Giovanni e San Giacomo Maggiore, l’apostolo venerato in Portogallo a Compostela, con un netto riferimento alla antica via Francigena. Da qui i pellegrini uscivano dalla città e si dirigevano verso Roma, Questa porta collegava nel Medioevo il centro di Viterbo con la strada Cimina, strada che passava sotto la Torre San Biele, posta al di fuori delle mura del centro storico di Viterbo. Porta Fiorita Porta Fiorita,via dei Giardini, Pianoscarano, Viterbo, dava l’accesso al quartiere omonimo, la porta Fiorita, fu rinvenuta nel 1970, grazie a lavori di restauro e si trova in una rientranza delle mura, vicino a porta San Pietro, è una delle porte più antiche della città. Fu chiusa nel XV secolo, ed è stata restaurata e riaperta nel 1985. Con questa porta terminava la prima cinta di mura eretta nel 1095, l’aspetto è intatto anche se per accedere a questa porta occorre salire una scalinata, è stata riaperta come passaggio pedonale nel 1985 per raggiungere il quartiere di Pianoscarano, dopo secoli di chiusura dal 1490. Al suo posto fu aperta la porta San Pietro. L’arco che sovrasta la vicina via è quanto resta di un acquedotto medioevale per il rifornimento idrico di Pianoscarano, all’interno si può vedere un suo primo uso nella fontana cosi detta del Capone. Palazzo San Fortunato Palazzo di San Fortunato, via San Leonardo, nei pressi della omonima porta, che appartenne ai Cavalieri Gerosolimitani, alle monache di Santa Maria del Paradiso e, nel ‘500, a Monsignor Giulio Nobilio, cameriere di Papa Pio IV.. Su un muro verso il giardino, campeggia la scritta Casa di San Giuseppe. L’edificio, e lo si vede ad occhio nudo, è pericolante, ma non c’è nessun sostegno a proteggere le persone da un eventuale futuro pericolo o crollo. Il Palazzo San Fortunato sembra che risalga ai 1565, quando un certo Giulio Nobilio volendo edificare una casa acquistò il fabbricato che originariamente era dei Cavalieri Gerosolimitani era chiamato San Fortunato per la presenza nei pressi di una chiesa oggi scomparsa, risalente al XIII secolo. Sembra che Giulio Nobilio fosse un monsignore addetto alla famiglia pontificia che accompagnava Pio IV nei suoi viaggi, era sia cameriere che persona di fiducia del papa, venne a Viterbo chiamato da Giacomo Sacchi protomedico apostolico, ed amico di Papa Pio IV. Gli fu concessa inizialmente la possibilità a costruire se avesse mantenuto la porta e l’accesso alla Chiesa di Santa Maria delle Fortezze. Dopo una riunione del consiglio comunale gli diedero in affitto la piazza antistante il palazzo. La porta poi venne chiusa e il Nobilio chiese se poteva edificare nella piazza un giardino per il suo palazzo. La porta doveva rimanere chiusa, e infatti così fu, e dal 1364 non venne riaperta. Ex Chiesa Santa Maria delle Fortezze
Ex Chiesa S. M. Fortezze Ex chiesa Santa Maria delle Fortezze, detta anche della Santissima Annunziata, è via delle Fortezze, subito fuori le mura, all’altezza di Porta San Leonardo, Viterbo centro storico, è il primo monumento che si incontra una volta arrivati a Viterbo da sud. Oppure la si vede, quando si esce dalla stazione di Porta romana per poi dirigersi verso il centro. La chiesa risale al XVI secolo. Il progetto della chiesa è stato attribuito al Bramante e al Vignola, anche se l’ipotesi più accreditata sembra convergere su Battista Di Giuliano da Cortona. L’edificazione appartiene al Maestro Ambrogio di Bartolomeo da Milano. I ruderi giunti fino a noi mostrano solo l'ultima campata, contenente l'altare centrale e i due laterali, ma da un disegno topografico francese del XVI si evince che la chiesa doveva avere pianta pressochè quadrata, con un tetto a capanna emergente dalle mura. Lo storico Scriattoli, nel suo libro “Viterbo nei suoi monumenti”, racconta che la costruzione della chiesa fu iniziata nel giugno 1514: sul luogo dove già sorgeva un'antica chiesetta, a sua volta costruita sui resti di una preesistente fortezza fatta erigere da Enrico IV. Quindi proprio da tale fortezza deriva il nome ereditato dalla chiesetta e poi dalla fabbrica cinquecentesca di Santa Maria, detta appunto delle Fortezze. Le volte erano sorrette da alti pilastri di ordine dorico, ricoperti da grandi lastre di peperino, visibili, ancora oggi, gli affreschi dell’Incoronazione della Vergine, dell’Annunciazione e della Natività. L’Eterno benedicente e una sequenza ovale di cherubini. Ci sono pure le Sibille Cumana ed Eritrea. Ai lati di uno dei due absidi, gli stemmi della famiglia Colonna. Nell’abside destro stucchi anneriti dal fumo di un fuoco. I resti arrivati ad oggi, lasciano supporre un'ampia aula di forma basilicale, rettangolare ma con poca differenza tra i lati, divisa all'interno in tre navate la cui diversa altezza non era visibile all'esterno, essendo coperta da un unico tetto a due falde. Le volte erano sorrette da alti e poderosi pilastri di ordine dorico, ricoperti da larghe lastre di peperino. La trabeazione era costituita da un fregio, racchiuso in una sobria cornice, recante una scritta sacra che doveva svolgersi lungo tutto il perimetro interno. Quanto descritto può essere ancora in parte rilevato da quanto resta della chiesa, mentre nulla rimane a testimonianza di come doveva essere la facciata. Scriattoli riporta che la realizzazione dell'esterno della fabbrica non seguì il progetto originale che, rimasto parzialmente incompiuto, fu modificato intorno al 1570, quando l'accesso principale fu spostato dalla facciata est, in corrispondenza del quale passava la strada che collegava Viterbo con Roma, dopo aver attraversato la Torre di San Biele. Questa affermazione trova conferma nella chiusura di Porta San Leonardo, avvenuta nello stesso periodo, che probabilmente ha causato la modifica della facciata. La realizzazione del nuovo accesso, la cui immagine è giunta fino a noi grazie ad alcune foto antecedenti la Seconda Guerra Mondiale, nelle quali si vedeva la facciata ricoperta di lastre di peperino come i pilastri all'interno, mentre il portone era incorniciato da un importante portale composto da due semicolonne di ordine dorico, poste a sorreggere una trabeazione che vedeva l'alternarsi di triglifi e metope, (La mètopa è un elemento architettonico del fregio dell'ordine dorico dell'architettura greca e romana. Consiste in una formella in pietra, scolpita a rilievo, a seconda dei casi altorilievo o bassorilievo, posta in alternanza con i triglifi, Il triglifo di origine greca da treis (tre) e glyphè (scanalatura) è un elemento architettonico del fregio dell'ordine dorico, decorativo quadrangolare, sporgente, è un insieme di elementi architettonici sovrapposti si appoggia sui capitelli delle colonne e ha la funzione strutturale di sostenere le parti sovrastanti) sulle quali erano riportate uno scudo, un'anfora, un bucraino (motivo ornamentale architettonico, consistente in un teschio di bue che si alterna a festoni, di antico gusto classico romano, deriva dall'uso di appendere i crani degli animali sacrificati attorno all'ara o sull'alto dei templi) ed un mascherone di gusto classico romano. Il timpano, archivolto, conteneva lo stemma della famiglia Farnese, essendo in quel periodo legato pontificio a Viterbo il cardinal Alessandro Farnese, divenuto poi papa col nome di Paolo III. Da un'altra antica foto, si vede il rosone sopra il portale, decorato con una pregevole cornice in peperino a foggia di ghirlanda, con un grazioso intreccio di foglie e frutti, molto simile ai due rosoni più piccoli posti a dare luce alle navate laterali e fortunatamente giunti fino a noi. Molti degli affreschi all'interno della Chiesa sono andati quasi completamente perduti. Oggi, nel 2021, l’intera area è in stato di totale abbandono, dopo i bombardamenti del 1944, si era pensato ad una trasformazioni in teatro all’aperto, vennero edificate le gradinate di fronte, ma poi non se ne è fatto niente. In mezzo passa la via delle Fortezze e c’è un parcheggio , per il resto questa antica chiesa è preda dei vandali, e dei bacarozzi, ne ho visti numerosi, e di orribili graffiti, ovunque, erbacce, e nessuna targa turistica che la ricordi. Sono rimasti solo degli affreschi sbiaditi che andrebbero tolti, salvati e conservati in un museo. Convento, presso ex Chiesa Santa Maria delle Fortezze, Viterbo, via delle Fortezze,accanto alla Chiesa sorgeva un convento che fu concesso a partire dal 1577 ai frati Minimi di San Francesco di Paola, che vi rimasero per quasi trecento anni. Il Bussi, nella sua “Istoria della città di Viterbo” (1742) relativamente alla chiesa e al convento racconta: “è una chiesa molto frequentata da questo popolo, particolarmente nel Venerdi di tutto l'anno per la divozione del suddetto S. Francesco, ove altresì si fa faesta nel giorno della Santissima Annunziata con fiera, e gran concorso di gente. Nel di lei Convento vi sono per ordinario 10 Religiosi”. Ciò testimonia la vitalità del complesso ancora nel corso del Settecento, mentre è riportato nelle cronache del tempo che nel 1861 chiesa e convento passarono dai Frati Minimi di S. Francesco di Paola all'Amministrazione del Seminario diocesano. Testimonianze raccontano della chiesa in buono stato di conservazione, consacrata ed in uso fino al 1940, chiamandola però col nome di Santissima Annunziata proprio per la fiera che si svolgeva sul suo sagrato. Porta Romana Porta Romana o San Sisto, via Garibaldi, piazza San Sisto, Viterbo, l’attuale porta, è sorta a fianco di una più antica denominata porta di San Sisto che derivava il nome dal nome della vicina chiesa di San Sisto, questa porta venne inaugurata nel 1653 e fu inizialmente chiamata porta Innocenziana dal nome del pontefice Innocenzo X in onore della visita a Viterbo di questo Papa che la passò nel mese di ottobre del 1653, lo si può dedurre dalla lapide posta sulla facciata, ma tale nome non durò molto, infatti quasi subito i Viterbesi la chiamarono porta Romana dal momento che questa porta immetteva sulla antica via Cassia che porta a Roma. Sono presenti delle decorazioni barocche che la ornano e che appaiono scheggiate in più punti, sono la conseguenza dei cannoneggiamenti ad opera delle truppe Francesi del generale Kellermann nel dicembre 1798. La facciata della porta è ornata da numerosi stemmi e sulla sommità è posta una statua di Santa Rosa, protettrice e patrona della città di Viterbo. In alto la porta è coronata da merli ghibellini, e dagli stemmi di papa Clemente XI, papa Innocenzo X Pamphili. Porta Romana è nei pressi della stazione ferroviaria Viterbo-Roma, fermata a Viterbo Porta Romana, da questa porta si accede a piazza San Sisto e a via Garibaldi. Da questa porta accanto alla Chiesa di San Sisto, il 3 settembre di ogni anno, la sera, parte la macchina di Santa Rosa trasportata a spalla dai facchini. Chiesa San Sisto Chiesa di San Sisto, piazza San Sisto, detta chiesa di Porta Romana, Viterbo centro storico, è una delle più antiche chiese di Viterbo, sorta sul luogo ove è attestata una chiesa già nel IX secolo, menzionata per la prima volta nel 1068, come filiale della diocesi di Tuscania, da cui dipendeva, non esistendo ancora la diocesi di Viterbo. Sorge su una delle zone più antiche della città, detta Pieve del Vico Quinzano, le parti più antiche sono il piccolo campanile dai tipici caratteri lombardeschi, e le tre navate. Per dotare la chiesa di un campanile più importante fu utilizzata una delle torri della cinta muraria. Nel corso dei secoli successivi riceve diversi privilegi e benefici, tanto da diventare la più importante e la più ricca chiesa della città, in particolare con la sua erezione prima a parrocchia e poi a collegiata (ossia sede di un collegio di presbiteri), e per la presenza dello ius fontis baptismalis, ossia il diritto di amministrare il sacramento del battesimo, diritto concesso a poche chiese viterbesi. Ricostruita e rimaneggiata diverse volte nel corso dei secoli, in particolare tra il XII ed il XIII secolo, subì un ulteriore e definitivo restauro dopo i bombardamenti alleati sulla città del 1944, restauri che portarono alla cancellazione di ogni traccia architettonica successiva al XIV secolo e al ripristino delle primitive strutture. È in questa chiesa che i facchini di santa Rosa la sera del 3 settembre ricevono la benedizione in articulo mortis, prima di iniziare la processione con la macchina di Santa Rosa. L'attuale facciata risale ai rifacimenti post-bellici, mentre il campanile romanico è ciò che resta esternamente della primitiva costruzione. Un altro campanile a ridosso delle mura è frutto dei rifacimenti del XII-XIII secolo, che trasformarono una torre della cinta muraria in campanile. L'abside della chiesa è parte integrante delle mura cittadine. Sul fianco destro dell'edificio esisteva, fino all'ultima guerra, una "quarta navata" (risalente al XIII secolo), che in tempi recenti era però utilizzata come magazzino. All'interno la chiesa si presenta a tre navate, suddivise da due file di colonne, raccordate da archi a doppia ghiera, con presbiterio molto rialzato per la presenza di una sottostante cripta, e coperture a vela. Notevoli sono le colonne al termine dei filari, quella sinistra a quattro elementi avvolti in una unica spirale e quelle di destra composta da quattro colonne affiancate. La zona del presbiterio, in stile cistercense, è rialzata grazie ad una imponente gradinata e testimonia una fase successiva a quella del primo impianto. Camminando oltre la navata sinistra si scendono 5 gradini e si accede alla cripta, dove un giro di pietre testimonia la presenza di un antico abside. A causa dei danni provocati dai bombardamenti del 1944, essa conserva poche opere d'arte. Sono da ricordare: un'ara di epoca romana, utilizzata in passato come fonte battesimale; l'altare maggiore composto da frammenti di sculture del tardo impero romano; la sola pala esistente in chiesa, opera del pittore fiorentino Neri di Bicci e raffigurante una Madonna con Bambino e Santi (1457); dello stesso pittore esisteva in chiesa una Crocifissione del 1459 andata perduta; un tabernacolo per la conservazione dell'olio consacrato, risalente al XV secolo; nella cripta vi sono resti di affreschi di epoche diverse.L'interno della chiesa è stato ricostruito è a tre navate con 8 colonne con capitelli diversi sui quali si alternano archi a tutto sesto, il tetto, nella parte inferiore è a capriate lignee mentre nella parte superiore è a volte a botte. A destra dell'ingresso vi è un'ara romana di marmo cilindrica risalente al I secolo d.C. scolpita a bassorilievo con tralci utilizzata in passato come fonte battesimale. Alla base del grande arco trionfale vi sono due pulpiti gotici del XII secolo, in stile cisterciense di San Martino al Cimino. Quello a destra in peperino, quello a sinistra in marmo. Appartiene al XII secolo il tabernacolo. All'interno vi è anche un organo su tribuna moderna in peperino sostenuto da colonne. Palazzo Gatti via Cardinal la Fontaine
Palazzo Gatti,
via Cardinal La Fontaine, Viterbo,fu edificato
nel 1266 da Raniero Gatti, capitano del popolo e
capostipite della famiglia, in origine occupava
l’area in cui vennero edificati la
Chiesa ed il
Convento dei Carmelitani Scalzi, dove
oggi ci sono gli uffici Comunali ed in
precedenza il palazzo di Giustizia, e dove in
antico c’erano il
borgo e la Chiesa di San Pietro dell’Olmo.Un
tempo questo palazzo era una prestigiosa dimora,
i Gatti erano una delle famiglie più potenti
della città di Viterbo. Era una vera fortezza,
circondata da
mura e torri
possenti, andava da
via delle Fabbriche fino
a via Annio e
a piazza fontana
Grande.
La attuale
costruzione è solo una piccola parte dell'antica
dimora
Gatti e si trova in via La
Fontaine dal civico 104 al civico 110, e si
trova nel luogo ove un tempo c'era la
chiesa di San Pietro dell’Olmo.del
tutto scomparsa. I Gatti, per poter edificare il
loro palazzo acquistarono alcune case della
contrada di San Pietro
dell’Olmo, gli stemmi che oggi si notano
sulla facciata sono gli stemmi della famiglia
degli Anguillara e dei Gatti, o meglio dei
Brettoni dal
momento che manca il gatto sulla cima dello
stemma. Gli stessi stemmi si trovano anche alla
fontana di piazza San
Carluccio. Il conte Pandolfo degli
Anguillara fu podestà tra il 1274 e il 1275,
mentre Pietro Alessandri, è nominato
nell’iscrizione relativa alla costruzione del
palazzo ma non c’è lo stemma di questa famiglia.
Il Palazzo Gatti nel 1367, fu la dimora del
Cardinale di san Marco, nel 1375 di Giovanni IV
Sciarra di Vico e solo intorno ai primi del XV
secolo passò alla famiglia Gatti. Princivalle
Gatti ampliò il palazzo la cui costruzione
arrivava fino alla attuale
piazza Fontana Grande. Nel 1452
Princivalle Gatti ospitò, nel palazzo,
l’imperatore Federico III e la moglie, i quali
visitaro il Bullicame, e poi si recarono a Roma
perche Federico III doveva essere incoronato
imperatore. Il palazzo nel 1496 era nella
disposizione di Giovanni di Princivalle, il
quale fu rimproverato da papa Alessandro VI, per
l’occupazione di Celleno, del quale era podestà
e, per ritorsione Papa Alessando VI, gli
confiscò i beni, ma poi a causa della sua
insistente ribellione, Giovanni da Princivalle
proprio a Celleno, venne ucciso. Il Palazzo
Gatti, a seguito di questo episodio, divenne
sede di malviventi, ed allora Papa Alessandro VI
né ordinò nel 1496 la demolizione- L'area venne
ceduta al Comune affinchè fosse edificata una
piazza dove si aprissero delle botteghe da
affittare ed i cui proventi sarebbero andati
alla Camera Apostolica. Il grande palazzo era a
tre piani con un’ampia scala di accesso e la
sala più importante si affacciava dove oggi c’è
la piazza Fontana Grande. Per questa ragione la
antica piazza nel 1517 era detta “plateam de
gattensibus”.La parte di questo immenso palazzo,
sovrastato anche da torri, che è sopravvissuta e
che si trova a via La Fontaine venne risparmiata
dalla demolizione in quanto a quell'epoca,
qui vi risiedeva un altro ramo della famiglia
Gatti, considerato bastardo. Successivamente
alcune confraternite di Viterbo, per impellenti
necessità, portarono nel palazzo gli infermi
ricoverati presso santo Spirito, ma questa
destinazione fu di breve durata. Dopo il 1608 il
palazzo venne ceduto alla famiglia Montani di
Barbarano e da questa passò ai
Padri Carmelitani Scalzi
che, nel 1633, vi edificarono la
Chiesa e il Convento dei
santi Teresa e Giuseppe. Nel 1684, quando
i Carmelitani Scalzi
demolirono una parte del palazzo Gatti per
costruire il presbiterio della loro chiesa,
furono tolte dal palazzo due lapidi del 1275, e
portate inizialmente nel Palazzo dei Priori.
Queste lapidi una era in memoria di Pandolfo
degli Anguillara,quale ricordo della costruzione
del palazzo e l’altra era come
testimonianza della rappacificazione tra le
fazioni della città, oggi sono conservate al
loggiato del Museo Civico.
In seguito il palazzo ebbe vari proprietari,
oggi è della famiglia
Cordelli che lo ha acquistato nel 1973
apportando importanti restauri. Infatti, è stato
riportato allo stato originale togliendo il
tetto a capanna e liberando così i soli due
merli guelfi superstiti. Le finestre a bifora,
hanno una certa affinità con quelle del
Palazzo Papale,
infatti, sono a pieno centro con archi trilobi e
tre rosoni. Gli ingressi a piano terreno
sono ad archi acuti, sul fianco destro c'è la
scala o profferlo
che conduce al primo piano. Questo grande
palazzo, che raggiungeva la Piazza del Sepale
(oggi Fontana Grande), aveva cinque torri, da
quanto si può rilevare dalla Pianta di Viterbo
del 1596 di Tarquinio Ligustri, ma tutte andate
distrutte.Del
palazzo oggi si vede solo una delle originarie
sei torri. La parte superstite recentemente
ristrutturata dall’attuale proprietario, la
famiglia Cordelli,
si articola su due livelli che sulla sommità
terminano in un terrazzo giardino, che ha
eliminato l’originario tetto a capanna. Sui due
lati a livello stradale, i fornici sono ad archi
acuti, mentre sui due piani superiori le bifore
sono a tutto sesto con archi trilobati. Tre
rosoni si allineano su aggettanti cornicioni
marcapiano. Visivamente sono legati da una
elegante fascia che prosegue oltre la finestra,
chiudendosi a riccio. Non si vedono più gli
stemmi che un tempo ornavano il palazzo, alcune
tracce fanno intravedere la croce degli
Alessandri, con la quale i Gatti erano
imparentati e le anguille della famiglia
Anguillara
Chiesa della Visitazione Chiesa Monastero della Visitazione Chiesa e Monastero di Santa Maria della Visitazione o della Duchessa, via San Pietro, Viterbo centro storico, questa chiesa è nota anche come chiesa della Duchessa o delle Duchesse. Per l’edificazione di questa chiesa venne demolita la precedente chiesa di San Bartolomeo. La ex Chiesa di san Bartolomeo, viene menzionata per la prima volta in una Bolla del 3 Aprile 1142, era soggetta alla Cattedrale di San Lorenzo (1181), in seguito, nel 1236, è detta parrocchia. In questa chiesa si celebrava la Festa di santa Lucia e di sant’Eligio da parte dei protetti, ossia gli argentieri, gli orafi, i calderai ed i fabbri di Viterbo. L’attuale chiesa fu fondata nel 1500 dai Cistercensi. Verso il 1550 la duchessa di Parma e Piacenza Girolama Orsini Farnese, moglie del defunto Pier Luigi Farnese, duca di Castro e di Parma, venne a Viterbo per fondare, su licenza di Papa Paolo IV, un monastero di clausura, al fine di ospitare le monache dell’Ordine di san Benedetto. La duchessa, con il contributo finanziario del Comune di Toscanella, oggi Tuscania, acquistò case ed orti, compresa l’area occupata dall’antico Palazzo del cardinale Raniero Capocci, poi degli Spreca, confinante con la Chiesa di san Bartolomeo. Dell’antico palazzo sono rimaste solo due finestre a bifora, murate, sovrastanti un ampio arco, anch'esso murato. Successivamente alla Duchessa nel 1556 venne venduta l’acqua, già di pertinenza dell’Ospedale di san Sisto, e in quell’occasione fu eseguita una conduttura per l’uso del monastero. Papa Paolo IV, Carafa, il 1° Gennaio 1557 emise un Breve che autorizzava Girolama Orsini Farnese ad istituire il monastero, che prese il nome della Visitazione. Le prime converse che abitarono il cenobio furono venticinque, provenienti dal territorio di Castro, ma le suore Benedettine, per la conduzione del monastero, non si erano rese disponibili, allora vennero chiamate le monache Cistercensi dal Convento di san Donato in Polverosa a nord di Firenze, le quali vi presero sede il 31 Ottobre 1557 e tuttora lo detengono. Questo monastero ospitò fanciulle provenienti da nobili famiglie, pertanto la dotazione degli arredi era assai cospicua. Nel 1557 la Chiesa di san Bartolomeo perse il titolo di parrocchia e venne unita a quella di san Pellegrino ed è del 1558 la citazione del Monastero della Visitazione sotto il titolo di santa Elisabetta. Ma, pochi anni dopo, nel 1562, la duchessa decise di trasferire il monastero, venne allora manifestata una supplica verso la stessa, affinché rinunciasse a tale progetto. Nonostante ciò, il 26 Marzo 1566, per volontà della duchessa, venne chiuso il monastero e fu trasferito a Castro, ove rimase sino all’11 Luglio 1574, dopo di che ritornò a Viterbo nella sede abbandonata. Nello stesso anno il cardinal de Gambara confermò l’unione della Parrocchia di san Bartolomeo a quella di san Pellegrino e concesse, per ampliare lo spazio disponibile, la chiusura del vicolo che passava tra il Monastero e la Chiesa di san Bartolomeo, acquistando anche alcune piccole case. Nel 1575 la chiesa era officiata dalla Confraternita dello Spirito santo e Trinità. Nel 1607 fu posta la prima pietra per la costruzione della attuale chiesa, fu deciso, infatti, di abbattere la vecchia Chiesa di san Bartolomeo per costruirne una più funzionale, la nuova fu dedicata alla Visitazione della beata Vergine Maria, anche il Comune di Viterbo contribuì alle spese. La chiesa fu chiamata anche della Duchessa a ricordo di Girolama Orsini Farnese. La nuova chiesa venne consacrata nel 1614 dal cardinale Tiberio Muti, vescovo di Viterbo. La chiesa, a seguito di altri ed importanti lavori, nel 1730, fu consacrata di nuovo dal vescovo Adriano Sermattei. Altri interventi furono eseguiti negli anni 1867 - 1870 e nel 1877. Dopo l’Unità d’Italia, vi erano nella chiesa, un quadro della Visitazione posto sull’altare maggiore, un quadro con la Trinità, San Benedetto e San Bernardo sul soffitto di Anton Angelo Falaschi, creduti del Cavarozzi. Un altro quadro raffigurante il martirio di San Bartolomeo, della pittrice romana Varchiani. I pericoli di confisca da parte dello Stato Italiano, vennero sospesi finchè fosse in vita Donna Benedetta Frey, la quale si attivò per ricevere elemosine e riscattare il Monastero, tra i donanti anche la Regina Margherita di Savoia, oltre ai viterbesi. Nel 1909 il monastero passò di proprietà alle monache di clausura. La facciata, è molto semplice, quasi priva di decorazioni, caratterizzata da lesene in peperino, termina a cuspide ed è ricca di festoni floreali e di gigli dei Farnese. Interessante è anche il portale d’ingresso in peperino, del secolo XVII, sul quale è un cherubino con la colomba, simbolo dello Spirito santo. In un ovale sull’alto sono, la scritta Visitationi / Virginis / deiparae e una finestra quadrata che si apre sopra ad un semiarco in peperino. L’interno è ad una unica navata con 3 altari, uno per ogni lato, vi sono due piccole cappelle ai lati del presbiterio, un abside ed una volta a botte. Ci sono opere risalenti al 1700, altri dipinti sono all’interno del monastero di clausura. Presenta un soffitto a cassettoni ravvivato dai colori grigio, blu, rosso ed oro, con stucchi e dorature, eseguito tra il 1672 e il 1673 da Giovan Battista Magni di Modena; al centro è un quadro su tela raffigurante la Trinità con san Benedetto e san Bernardo, opera del concittadino Anton Angelo Falaschi, che Andrea Scriattoli data 1745, ma che più propriamente fu eseguita nel 1758. Vi sono anche stemmi di varie famiglie nobili, tra queste dei Chigi, della Rovere, dei Bussi, dei Farnese, degli Orsini, dei Mastai Ferretti (Pio IX), dei Brancaccio. Sopra all’ingresso è la cantoria in legno del ‘600 con gradevoli ornamenti e dorature, e la memoria su pietra della consacrazione della chiesa avvenuta nel 1614 da parte del vescovo Tiberio Muti. A destra, sul primo altare, è la pala con il Martirio di san Bartolomeo, copia dal Guercino eseguita nel 1774 dalla pittrice romana Annunziata Verchiani, la quale aveva qui una sorella suora. Oltre è un altro dipinto sull’Altare dei santi Bernardo e Benedetto con la Madonna ed il Bambino con san Benedetto e san Bernardo opera del 1758 - 1759 di Anton Angelo Falaschi (1701 - 1768), qualcuno lo attribuisce erroneamente al viterbese Bartolomeo Cavarozzi (1585 - 1650). Il Falaschi eseguì le due opere, sopra citate, con la condizione che il compenso, che lo stesso avrebbe dovuto ricevere dalle suore, doveva andare, quale dote, alla figlia Maddalena per il suo ingresso in monastero. Di seguito è l’urna con i resti del corpo di san Crescenziano martire, protettore di Viterbo, insieme a Santa Rosa, donati da papa Gregorio XVI. Dal 2001 si può ammirare la statua circondata tra vari ex voto d’argento appesi alle pareti. Il corpo del Santo giunse a Viterbo il 9 Settembre 1833 e, con una gran festa. L’altare a lui dedicato fu restaurato nel 1863 e in quell’occasione il corpo, fu ricollocato nell’urna. Nella parete di fondo sono due matronei, a destra è la cappella ove è conservato il Bambino di cera, appartenuto a suor Maria Benedetta Frey (1836 - 1913), ivi sepolta, come dice l’epigrafe marmorea murata sopra l’ingresso, in: In quest’edicola / ai piedi del Bambino Gesù / che tanto venerava ed amava / riposa nella pace eterna / donna Maria Benedetta / monaca professa cistercense / al secolo Penelope Frey / che per cinquantadue anni / giacendo inferma / pur fra gli spasimi del corpo dolorante ed inerte / fu esempio ammirabile eroico / di pietà di carità / di rassegnazione cristiana / nacque in Roma il 6 Marzo 1836 / morì in Viterbo / onorata e rimpianta / il 10 Maggio 1913. L’altare di questa cappella conserva la miracolosa immagine del Bambino Gesù, che è una statua in cera, risalente al XVIII secolo, verso la quale la Frey era molto devota. Le fu donata da certi coniugi romani, e si racconta che la statua era stata loro rubata per depredarla dei preziosi che l’ornavano. Miracolo volle che la stessa, dopo addirittura sedici anni, fosse ritrovata sul tetto della casa dove era stata rubata, senza aver subito alcun danno. Più in alto c’è lo stemma del vescovo di Viterbo, cardinale Luigi Serafini (1870 - 1880). Sull’altare maggiore vi è un bel Crocifisso seicentesco. Ancora più in alto è un grande stemma: partito, dorato, al 1° interziato in palo, è lo stemma dei Farnese, ed al 2° partito è, al 1°, lo stemma Orsini ed al 2° un leone rampante. Per la Festa dell’Ascensione nel monastero fu costruita una scala apposita. Subito dopo l’altare maggiore vi è un ingresso con sopra l’epigrafe del 1661 che ricorda Maura Giacinta Bussi, sopra l’epigrafe è lo stemma: semispaccato e partito, con il monte dalle sei cime sormontato da una stella di otto raggi (Chigi) la rovere sradicata con i rami passanti in doppia croce di sant’Andrea (della Rovere) ed infine con gli occhi (Bussi). Sulla parete seguente è sull’altare il bel quadro riproducente la Visitazione di Maria Vergine a santa Elisabetta, opera attribuita al viterbese Filippo Caparozzi. Sull’altare vi è un’ altra tela con la Sacra Famiglia con angeli in gloria e Pio IX con il Bambino, sostenuto da san Giuseppe, e con a sinistra la Madonna, in basso è Papa Pio IX orante. Ai lati 8 piccoli quadri, che rappresentano momenti della vita di san Giuseppe. Sull’altare verso l’ingresso, c’è la statua di santa Teresa del Bambin Gesù. Sopra la porta di ingresso alla chiesa c’è anche un organo con gli stemmi dei Farnese, i gigli, e dei Muti.Il chiostro presenta, infatti delle snelle colonne anteposte a pilastri con pianta quadrata. Sovrasta il tutto un ampio balcone con il parapetto a colonnine in peperino. Nel chiostro del Convento della Visitazione c’è anche una fontana della seconda metà del XVI secolo. La vasca circolare con parapetto assai basso, una ventina di centimetri circa, con largo bordo piatto cordonato nella circonferenza interna, è circondata da un gradino decagonale. Un balaustro centrale sostiene una coppa baccellata da cui fuoriusciva acqua da quattro bocchettoni a forma di stella ad otto raggi. Protetta dal portico è scolpita Benedetta Frey sul letto di morte, opera in peperino del 1913 di Luigi Anselmi. Il monastero non è aperto al pubblico per il vincolo della clausura, in esso è il quadro san Michele arcangelo, santa Sabina e san Lorenzo di Anton Angelo Falaschi (1701 - 1768). Nel refettorio del monastero è un affresco raffigurante l’Ultima cena, opera di Anton Angelo Falaschi. Come arrivare e Via a San Leonardo Viterbo centro storico e vie nei dintorni Porta San Pietro - Porta Romana - Porta San Leonardo Mappa San Pellegrino - Mappa Pianoscarano - Mappa San Sisto
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