Stemmi palazzo Nini Maildalchini, via
Annio, Viterbo, si notano al di sopra di due
portoni, uno stemma
è riferibile alla famiglia
Nini, come si evince dalle scritte sul
portale, ma del'altro non so a quale famiglia
appartenga.
Palazzi Nini Maidalchini,
Viterbo,tra via Cardinal La Fontaine
e via Annio,
dimora viterbese di Donna Olimpia Maidalchini,
il primo palazzo di stile rinascimentale, a
sinistra di via Annio venendo da via la Fontaine
oggi è di proprietà privata, l’androne presenta
degli affreschi con grottesche ed anche la
facciata presenta dei dipinti che per incuria si
stanno rovinando. Anche il palazzo di fronte
sempre Nini che fa angolo con la via La Fontaine
presenta sulla facciata dei dipinti, anche
questi, purtroppo, lasciati andare per
indifferenza, lasciano intravedere delle
figurazioni simboliche dei cinque sensi e delle
virtù cardinali. Nel palazzo nel 1653 fu
ospitato Papa Innocenzo che venne a Viterbo in
occasione della inaugurazione di
Porta Romana.
Nella fascia sotto il primo piano vi è una
iscrizione “Nino Nini vescovo di Potenza, questa
sua casa paterna, aggiungendovi abitazioni
vicine, ampliò e decorò l’anno 1543”.In uno dei
due palazzi campeggiano delle
rose dipinte
simbolo araldico della
famiglia inserite in grandi medaglioni,
oltre alle immagini allegoriche delle virtù
cardinali e dei cinque sensi. Le virtù cardinali
sono rappresentate da leggiadre figure
femminili, mentre tra quelle dei cinque sensi,
l’odorato è rappresentato da un cane, la forza
dalla solidità di una colonna. Sono come già
detto, purtroppo in uno stato di degrado, molto
sbiaditi, ed è un vero peccato. I due palazzi
testimoniano il benessere e l’influenza della
famiglia Nini, la tecnica pittorica si basa su
uno sfondo scuro sul quale è stesa una tinta più
chiara, e poi con un graphium, stilo, si asporta
il colore chiaro facendo riaffiorare il colore
scuro del fondo e in questo contrasto i graffiti
acquistano un senso di leggerezza. Questo è un
esempio raffinato di una tecnica diffusa nel
Rinascimento che oggi ritroviamo limitata alle
decorazioni delle pareti interne. Sarebbe un
bene per la città provvedere al restauro e ad
una protezione dalle intemperie di queste
bellissime pitture.
Famiglia Maidalchini,
Famiglia Viterbese, risalente al XVI e XVIII
secolo, il casato fu reso famoso da Donna
olimpia, il casato era originiario di Perugia e
di Gubbio, si stabilirono ad
Acquapendente
nel 1500. Fu una famiglia di notai, la loro
tomba è nella chiesa
del Santo Sepolcro. Si stabilirono a
Viterbo,
quando Olimpia, la figlia del Marchese Giulio
Maidalchini, che era il favorito del Cardinal
Alessandro Sforza, e che fu il castellano della
Rocca di Viterbo, si sposò in seconde nozze con
il Capitano Sforza, il quale fu commissario dei
grani nel 1593, dopo che Viterbo passò una grave
carestia. Nel 1595 ebbe l’appalto delle carni
per la Provincia del Territorio, e nel 1561
acquistò la cittadinanza di Viterbo. Per nove
anni ebbe l’appalto della gabella sulla carne.
Morì nel 1623 e fu sepolto nella
Chiesa di Santa
Maria in Gradi. Olimpia Maidalchini detta
anche la “Pimpaccia”, ebbe tre figli, Andrea,
Ortensia che fu badessa della
chiesa di San
Domenico, e Margherita monaca di San
Domenico. Olimpia ereditò dal primo marito Paolo
Nini il due palazzi Nini a
Via Annio
angolo via Cardinal
La Fontaine. Con il figlio Andrea, i
Maidalchini divennero Marchesi di Ripa Alta, e
possedevano i castelli a Corbara e Prodo che
erano nel territorio di Orvieto. Un figlio di
Andrea, Francesco Maria, divenne vescovo di
Aquino e successivamente di San Severino Marche,
divenne Cardinale, fu governatore di Capranica e
fu sepolto nella Chiesa di Santa Maria in Gradi.
Nella linea maschile i Maidalchini si estinsero
e proseguirono in quella femminile diventanto
Marchesi Ottieri, e poi di nuovo estinti
proseguirono nel casato Della Ciaja Agazzari di
Siena. Un ramo rimase ad Acquapendente e si
estinse nel XVIII secolo.
La Pimpaccia, Donna Olimpia
Maidalchini,
Olimpia Maidalchini nacque a Viterbo nel 1591 e
appena diciasettenne andò in moglie a Paolo Nini,
di una ricchissima famiglia Viterbese. Rimasta
vedova, nel 1612 si risposò con Pamphilo
Pamphili, esponente della nobiltà romana; si
dedicò quindi al sostegno economico, della
carriera ecclesiastica del cognato Giovanni
Battista fino alla sua ascesa al soglio
Pontificio avvenuta nel 1644 col nome di Papa
Innocenzo X. Rimasta nuovamente vedova,
ricevette dal papa le terre appartenute
all’abbazia di San Martino al Cimino. Fu una
donna ambiziosa e capace, che s’impose nella
aristocrazia romana e divenne la principale
ispiratrice della politica del cognato, non era
molto amata dal popolo a causa dei suoi intrighi
di palazzo, e l’appellativo spregiativo di
Pimpaccia derivava dalla protagonista di un
libro che narrava le vicende di una donna
arrivista. Fu anche oggetto delle Pasquinate,
tra queste : ““Chi dice donna, dice danno chi
dice femmina, dice malanno chi dice Olimpia
Maidalchina, dice donna, danno e rovina”. Morì
nel 1657 a San Martino al Cimino colpita dalla
peste. Successivamente tale denigrazione dovuta
ai suoi contemporanei venne ridimensionata e la
sua immagine rivalutata.