Via San Pietro, Viterbo, informazioni turistiche e fotografie a cura di Anna Zelli sito ufficiale web www.annazelli.com
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Chiesa Monastero Visitazione
Chiesa del Gonfalone
Vie di Viterbo centro
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Via San Pietro, Viterbo, centro storico, Viterbo, la via la si può imboccare da via Cardinal Pietro La Fontaine, e da via San Pellegrino, via San Leonardo via delle Fabbriche,e via di Porta Fiorita, che porta al quartiere di Pianoscarano, in fondo c'è la Porta San Pietro, e sulla destra prima di uscire dalla porta. si va nella zona di Pianoscarano. Si può anche iniziare la visita di questa zona entrando da porta San Pietro, a destra si nota una fontanella e in alto sulle mura di cinta lo stemma della città di Viterbo, oltre ad altri. Qui si ammira il Palazzo dell'Abbazia di San Martino, edificato nel 1220, restaurato nel 1482 dal Cardinale Piccolomini. Nel 1647 divenne di proprietà di Donna Olimpia Pamphili ricevuto in dono da Papa Innocenzo X che era suo cognato. La facciata attuale di questo palazzo risale al 1899, dopo che fu ampliato L'Ospizio degli Esposti Umberto I, Proseguendo, sulla destra c'è il Monastero della Visitazione o della Duchessa, fondato nel 1553 da Girolama Orsini Duchessa di Castro, dell'Ordine di San Benedetta. Sulla parte opposta c'è il Palazzo della Famiglia Atti, una famiglia che si estinse nella Casa Ciofi, qui vi è uno stemma gentilizio, che presenta due leoni poggiati su un palmizio. Da vedere anche la Chiesa di Santa Elisabetta, o Chiesa della Visitazione, precedentemente dedicata, intorno al 1142, a San Bartolomeo. All'interno si ammirano i soffitti con dei riquadri azzurri e argentati con definizioni in oro, al centro vi è il dipinto della Trinità con la Madonna e San Benedetto e San Bernardo, attribuiti al pittore viterbese Anton Angelo Falaschi, databile nel 1745, dipinto eseguito dopo il restauro di questa chiesa avvenuto nel 1730. All'interno della chiesa, si ammira a destra il Martirio di San Bartolomeo, della pittrice romana Varchiani, segue La Vergine con il Bambino e San Bernardo del viterbese Bartolomeo Cavarozza. Qui in un'urna, sono conservati i resti di San Crescenziano Martire, che nel 1833 vennero portati qui dal Cimitero di San Callisto di Roma. In una cappella si trova il miracoloso Bambino di cera, che fu regalato da due coniugi romani a Suon Maria Benedetta Frey, rubato, venne ritrovato dopo 16 anni su un tetto.Una lapide testimonia la tomba di Suor Maria Benedetta, monaca professa Cistercense nata nel 1836 e morta nel 1913. La Santa passò 52 anni immobile al letto afflitta da atroci dolori, e nonostante questo, dal suo letto, confortava chiunque si rivolgesse a lei. Le si attribuiscono numerosi miracoli. E' in corso la causa di Beatificazione. A sinistra si trova il quadro della Visitazione di Marta Vergine opera del pittore viterbese Filippo Caparozzi (1588-1644). Segue la raffigurazione della Sacra Famiglia con angeli e Pio IX in preghiera. Da ammirare il movimentato campanile barocco rivestito di intonaco giallo che sovrasta la chiesa. Sempre sulla via San Pietro, di fianco alla chiesa vi sono i resti del Palazzo Capocci, che presenta un grande arco murato e la sagoma di due ampie finestre bifore risalenti al '200, su via della Molinella nelle mura perimetrali del monastero vi sono altre tracce di questo antico palazzo che richiederebbe una importante opera di riqualificazione. Questo palazzo venne fatto edificare all'inizio del XIII secolo dal Cardinale Raniero Capocci, fu qui che dimorò L'Imperatore Federico II. Il palazzo fu danneggiato nel 1247, riparato dallo stesso Raniero, alla sua morte passò al nipote Pandolfo.In fondo alla via si apre la Porta San Pietro, da qui si ammira il palazzo di Donna Olimpia, sulla destra da via Porta Fiorita si va al quartiere Pianoscarano, di fronte alla porta San San Pietro, si ammira la Chiesa di San Pietro del Castagno. Lungo la via San Pietro si ammirano stemmi ed edicole sacre. All'inizio della via San Pietro c'è la sconsacrata e fatiscente chiesa di Sant'Orsola. Ex Chiesa di Sant'Orsola Ex Chiesa di Sant’Orsola, si trova all’inizio di via San Pietro, Viterbo, via ad elle,la si imbocca sia da via San Pellegrino che da via La Fontaine, si vede questa chiesa partendo da via La Fontaine e dirigendosi verso via San Pietro, è accanto ad un arco. La chiesa di Sant’Orsola, nel 1190 si chiamava Chiesa di San Giovanni in Pietra, e per ordine di Papa Innocenzo III dal 1207 fu soggetta all’Abbazia di San Martino al Cimino, e doveva pagare parte delle sue rendite alla Cattedrale di San Lorenzo. Nel 1562 la parrocchia fu ripartita tra le parrocchie di san Leonardo e di san Pellegrino ed i beni furono assegnati alla Chiesa di santa Maria Nova. Poi, nel 1570 la Confraternita di sant’Orsola, proveniente dalla vicina ed oggi scomparsa ex Chiesa di san Pietro dell’Olmo, vi si trasferì, riedificò il tempio, ed impose il titolo di sant’Orsola. La missione di questa Confraternita era sia di dare una dote alle zitelle, che di educare ed assistere le ragazze povere. Attualmente questa chiesa è chiusa al pubblico e versa in un totale stato di abbandono. E pensare che un tempo era una delle 12 Collegiate più importanti di Viterbo. La sua importanza si deve al fatto che si trovava sul percorso obbligato dei pellegrini in visita al pontefice. Questa chiesa aveva di proprietà una casa per la comunità, un mulino ed un orto dove scorreva un piccolo torrente. I nomi delle vicine vie Via della Molinella e piazza del Fosso, testimoniano la presenza in questa zona di molini, una di queste mole, a via dell’Ortaccio, in granito è incastrata tra le pietre del muro. Nel 1562 la chiesa venne soppressa come parrocchia. Ma nonostante nel 1571 fosse stata ceduta alla comunità di Sant’Orsola, non se ne impedì la sua decadenza. Nella seconda metà del 1700 si cercò di restaurarla, ma cadde in rovina lo stesso, nonostante ai giorni nostri l’avesse presa in gestione l’Associazione del Frisigello, passata di nuovo al Comune di Viterbo oggi, (2021), è in uno stato anche di pericolo strutturale. Arco a via San Pietro Arco presso ex Chiesa Sant'Orsola Arco,Torri alla Ex Chiesa di Sant'Orsola, scomparse, via San Pietro, Viterbo centro storico, nel punto in cui finisce via Cardinal La Fontaine ed inizia la via San Pietro, si vede un arco in conci di peperino che poggia su due edifici, confina con la ex Chiesa di Sant'Orsola, in passato chiamata chiesa di San Giovanni in Pietra, qui c'era una torre non più individuabile seguita al numero civico 5 di via San Pietro da un'altra torre. Queste erano ai lati della chiesa, e sono ricordate dal 1212 secondo un rogito con il quale Brunaccio Pediscotti donava a Obizione di Azzone di Mannulo, i cui discendenti poi assumeranno il nome di Monaldeschi, due case con annesse torri. Chiesa Andrea del Castagno Chiesa San Pietro del Castagno, Viterbo, è tra piazza San Pietro, via Salicicchia, via Vetralla, si vede di fronte alla porta San Pietro. Un lunga scalinata da accesso alla chiesa, sembra da documenti non accertati, che questa chiesa sia stata costruita per volere del Cardinale Raniero Capocci ed affidata ai cistercensi, ma in realtà un documento del 1268 ci dice che in origine questa chiesa era destinata ai frati saccati, vestiti con un sacco, chiamati anche Fratelli della Penitenza di Gesù, il cui ordine aveva delle regole estremamente rigide. Già nel 1283 i frati Saccati erano andati via da Vitebo e Papa Martino IV affidò il complesso ai Benedettini, che seguivano la regola di Cluny. Nel '400 il convento fu governato da commissari secolari, tra questi, Troiolo Gatti fece costruire nel giardino una fonte. Papa Alessandro VI con una bolla del 1498 assegnò il complesso ai Frati Gerolimini del Beato Pietro da Pisa e nel 1825 vi si stabilirono i Frati della Penitenza, soppressi da Papa Pio XI nel 1933. Nel XVI secolo la chiesa venne interamente rifatta con il sostegno del Cardinale Riario e tra il 1621 e il 1622 il Cardinale Scipione Cobelluzzi fece ricostruire la facciata e la attuale scalinata, togliendo quindi l'impronta romanica che aveva in origine questa chiesa. All'inizio del '900 vennero effettuati altri restauri voluti dal benedettino Luka Linke, il quale ne mantenne la struttura architettonica. Oggi la chiesa è retta dai Padri Giuseppini del Murialdo che qui hanno istituito la sede dello Studentato Internazionale Teologico. La facciata della chiesa è a due ordini e sormontata da fiamme in pietra, ha delle lesene in peperino ornate nella parte superiore da figure di angeli. Sopra il portale si ricorda l'unione con la Basilica di San Giovanni in Laterano di Roma, del 1618, al centro sopra il timpano, si apre una grande finestra ed in alto c'è lo stemma di Cobelluzzi, e sopra il portale di ingresso, nella lunetta è una testa d’angelo con le ali. Sulla grande mensola centrale c'è l’iscrizione commemorativa della dedica della chiesa, datata 1622: Ad honorem b. principis apostolorum a. D. MDCXXII. La fiancata sinistra, posta su Via Vetralla, è evidenziata da alcuni contrafforti. Vi sono, inoltre, le tracce delle mura antiche con finestroni del secolo XIII e resti di archi. L'interno, la pianta dell’edificio è rettangolare con l’abside quadrata, il soffitto è a volta, presenta 3 cappelle, ad arco con mostre in peperino collegate tra di loro su ciascun lato da passaggi interni. Il soffitto è a volta, le cui vele sono affrescati da dipinti del XVIII secolo, raffiguranti gli evangelisti. Nella prima cappella vi è una pala d'altare del XVIII secolo nella quale è dipinta l'immagine della Madonna con San Giuseppe, Gesù Bambino, Santa Elisabetta, San Zaccaria, e San Giovanni Battista bambino. Affreschi sono presenti nella terza cappella che decorano la volta, mentre sulle pareti vi è una Crocefissione, la Vergine incoronata dalla Santissima Trinità, la Decollazione di San Giovanni Battista anche queste opere del XVIII secolo. Ci sono inoltre in questa cappella, sopra l'altare in peperino con colonnine e fregi dipinti degli angeli che circondano la Madonna delle Grazie e un affresco in cornice del XVI secolo. Nei transetti di destra, in due grandi pannelli c'è un altorilievo dove sono raffigurati San Benedetto a colloquio con Santa Scolastica, San Mauro, San Benedetto, San Placido, che risalgono al '900. Della fine del XVI secolo è un grande dipinto della crocefissione di San Pietro, che si trova in fondo al presbiterio. A sinistra della cappella centrale vi è una moderna Pala d'Altare di San Leonardo Murialdo con operai e studenti, dipinta da Franco Verri. Nell'ultima cappella c'è un altare del settecento. L'organo presente nella cantoria è opera di Angelo Morettini e risale al 1834. Nella Sacrestia è presente una Pala d'Altare con la Madonna e San Crispino vescovo del XVIII secolo..La cupola è a volta ribassata e sostiene un cupolino, nelle vele sono affrescati gli Evangelisti, opera del XVII secolo, e nella chiave dell’arco in peperino, sopra alla navata, c'è lo stemma di Viterbo che poggia su una mensola caratterizzata da un cherubino, il tutto in peperino. Il campanile è a vela a due fornici sovrapposti con due campane e due archetti più in basso. La chiesa ha una lunga ed ampia scalinata in peperino, protetta da parapetti, che presentano scolpiti gli stemmi del cardinale Cobelluzzi, sovrastati da grandi sfere, sempre in peperino. San Pietro Apostolo vita opere San Pietro Apostolo, vita opere storia, a lui è dedicata a Viterbo la chiesa di San Pietro, detta del Castagno, che si trova di fronte alla Porta San Pietro, fuori le mura del centro storico.Simone detto Pietro nacque a Betsaida, nel I secolo a.C. morì a Roma, il 29 giugno 64 o 67 d.C., fu uno dei dodici apostoli di Gesù; la Chiesa cattolica lo considera il primo papa. Nato in Galilea, fu un pescatore ebreo di Cafarnao. Il suo nome originario era Simone, e fu Gesù a chiamarlo Pietro. Divenuto apostolo di Gesù dopo essere stato chiamato presso il lago di Galilea, fece parte di una cerchia ristretta, insieme a Giovanni e Giacomo, dei tre che assistettero alla resurrezione della figlia di Giairo, alla trasfigurazione nel monte Tabor e all'agonia di Gesù nell'orto degli ulivi. Tentò di difendere il Maestro dall'arresto, ferendo uno degli assalitori. Unico, insieme al cosiddetto discepolo prediletto, a seguire Gesù presso la casa del sommo sacerdote Caifa, fu costretto anch'egli alla fuga dopo aver rinnegato tre volte il Maestro, come questi aveva predetto. Prima della crocifissione e anche dopo la successiva resurrezione, Pietro venne nominato dallo stesso Gesù capo dei dodici apostoli e promotore dunque di quel movimento che sarebbe poi divenuto la prima Chiesa cristiana. Instancabile predicatore, fu il primo a battezzare un pagano, il centurione Cornelio. Entrò in disaccordo con Paolo di Tarso su alcune questioni riguardanti giudei e pagani, risolte comunque durante il primo concilio di Gerusalemme discutendo sulle tradizioni ebraiche come la circoncisione. Secondo la tradizione, divenne primo vescovo di Antiochia di Siria per circa 30 anni, dal 34 al 64 d.C., continuò la sua predicazione fino a Roma dove morì fra il 64 e il 67, durante le persecuzioni anticristiane ordinate dall'imperatore romano Nerone. A Roma Pietro e Paolo sono venerati insieme, come colonne fondanti della Chiesa; Pietro è considerato santo da tutte le confessioni cristiane, sebbene alcune neghino il primato petrino e altre il primato papale che ne consegue. A Cesarea di Filippo, Gesù interrogò i suoi apostoli su quel che gli uomini dicevano di lui. Vennero varie risposte. Alla fine il Maestro domandò loro: “Voi chi dite che io sia?”. Fu Simon Pietro che, primo tra i Dodici, disse: “Tu sei il figlio del Dio vivente!” E Gesù dice: “E io ti dico: tu sei Pietro". “A te darò le chiavi del Regno dei cieli e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli”. Il senso di questa immagine, nota alla Bibbia e all'Oriente del tempo, suggerisce l'incarico affidato a un unico personaggio di sorvegliare e amministrare la casa.Pietro è da Gesù nominato "Primo ministro" della sua Chiesa, della quale dovrà governare non solamente la massa dei fedeli, ma gli stessi funzionari. Il potere di legare e di sciogliere implica il perdono dei peccati, è questa una “grazia”, ha indicato il Pontefice Benedetto XVI “che toglie energia alle forze del caos e del male, ed è nel cuore del mistero e del ministero della Chiesa”, la quale “non è una comunità di perfetti, ma di peccatori che si debbono riconoscere bisognosi dell’amore di Dio e di essere purificati attraverso la Croce di Gesù Cristo”. Quando Pietro fu a Roma, venne arrestato a seguito della persecuzione neroniana e secondo antiche tradizioni rinchiuso, con Paolo, all'interno del carcere Mamertino (su cui poi sorse la chiesa di San Pietro in Carcere) dove i due carcerieri, destinati a diventare i santi vedendo i miracoli operati dai due apostoli, chiesero il battesimo. Allora Pietro, con un segno di croce verso la Rupe Tarpea, riuscì a farne scaturire dell'acqua e con essa battezzò i due carcerieri che subito dopo aprirono loro le porte per invitarli alla fuga, venendo però scoperti e giustiziati. La leggenda non sembra però fondata. Fuggito dal carcere, Pietro si diresse verso la via Appia, ferito per la stretta delle catene. Nei pressi delle terme di Caracalla secondo la tradizione avrebbe perso la fascia che gli stringeva una gamba, oggi custodita nella chiesa dei Santi Nereo e Achilleo, detta appunto "in fasciola". Anche in questa versione ricorre l'episodio relativo all'incontro lungo la via Appia con il Maestro, che lo invitò a tornare a Roma per morirvi martire. Catturato nuovamente dai soldati dell'imperatore venne crocifisso, secondo la tradizione trasmessa da Girolamo, Tertulliano, Eusebio e Origene, a testa in giù per sua stessa richiesta fra il 64, anno dell'incendio di Roma e dell'inizio della persecuzione anti-cristiana di Nerone, e il 67, benché l'autenticità di tale evento sia ancora oggi fonte di grande dibattito fra gli studiosi della Bibbia. In mancanza di testimonianze documentarie certe sulla data della morte di Pietro, la tradizione l'ha fissata al 29 giugno. Si tratta, secondo alcuni studiosi, di uno dei più antichi esempi di trasposizione di una festa pagana in cristiana: in quel giorno infatti si celebrava la festa di Romolo e Remo che i cristiani trasformarono nella solennità dei due apostoli, quali fondatori di una "nuova Roma", quella cristiana appunto. Testimonianze apocrife individuano il luogo della crocifissione di Pietro nei pressi dell'obelisco del circo di Nerone (quello che anticamente si trovava all'esterno dell'attuale sagrestia della basilica e ora è situato al centro di piazza San Pietro). L'apostolo fu sepolto nelle vicinanze dell'obelisco, dove rimase fino al 258 quando, per mettere al sicuro le spoglie durante la persecuzione di Valeriano, fu trasferito nelle catacombe di San Sebastiano, insieme ai resti di Paolo. Un secolo più tardi papa Silvestro I ripristinò le antiche sepolture, e Pietro tornò in Vaticano, nel luogo in cui Costantino fece poi costruire la primitiva basilica.(riassunto da wikipedia) Ex Chiesa Monastero Visitazione
Chiesa e Monastero della
Chiesa e Monastero di Santa Maria della Visitazione o della Duchessa, via San Pietro, Viterbo centro storico, questa chiesa è nota anche come chiesa della Duchessa o delle Duchesse. Per l’edificazione di questa chiesa venne demolita la precedente chiesa di San Bartolomeo. La ex Chiesa di san Bartolomeo, viene menzionata per la prima volta in una Bolla del 3 Aprile 1142, era soggetta alla Cattedrale di San Lorenzo (1181), in seguito, nel 1236, è detta parrocchia. In questa chiesa si celebrava la Festa di santa Lucia e di sant’Eligio da parte dei protetti, ossia gli argentieri, gli orafi, i calderai ed i fabbri di Viterbo. L’attuale chiesa fu fondata nel 1500 dai Cistercensi. Verso il 1550 la duchessa di Parma e Piacenza Girolama Orsini Farnese, moglie del defunto Pier Luigi Farnese, duca di Castro e di Parma, venne a Viterbo per fondare, su licenza di Papa Paolo IV, un monastero di clausura, al fine di ospitare le monache dell’Ordine di san Benedetto. La duchessa, con il contributo finanziario del Comune di Toscanella, oggi Tuscania, acquistò case ed orti, compresa l’area occupata dall’antico Palazzo del cardinale Raniero Capocci, poi degli Spreca, confinante con la Chiesa di san Bartolomeo. Dell’antico palazzo sono rimaste solo due finestre a bifora, murate, sovrastanti un ampio arco, anch'esso murato. Successivamente alla Duchessa nel 1556 venne venduta l’acqua, già di pertinenza dell’Ospedale di san Sisto, e in quell’occasione fu eseguita una conduttura per l’uso del monastero. Papa Paolo IV, Carafa, il 1° Gennaio 1557 emise un Breve che autorizzava Girolama Orsini Farnese ad istituire il monastero, che prese il nome della Visitazione. Le prime converse che abitarono il cenobio furono venticinque, provenienti dal territorio di Castro, ma le suore Benedettine, per la conduzione del monastero, non si erano rese disponibili, allora vennero chiamate le monache Cistercensi dal Convento di san Donato in Polverosa a nord di Firenze, le quali vi presero sede il 31 Ottobre 1557 e tuttora lo detengono. Questo monastero ospitò fanciulle provenienti da nobili famiglie, pertanto la dotazione degli arredi era assai cospicua. Nel 1557 la Chiesa di san Bartolomeo perse il titolo di parrocchia e venne unita a quella di san Pellegrino ed è del 1558 la citazione del Monastero della Visitazione sotto il titolo di santa Elisabetta. Ma, pochi anni dopo, nel 1562, la duchessa decise di trasferire il monastero, venne allora manifestata una supplica verso la stessa, affinché rinunciasse a tale progetto. Nonostante ciò, il 26 Marzo 1566, per volontà della duchessa, venne chiuso il monastero e fu trasferito a Castro, ove rimase sino all’11 Luglio 1574, dopo di che ritornò a Viterbo nella sede abbandonata. Nello stesso anno il cardinal de Gambara confermò l’unione della Parrocchia di san Bartolomeo a quella di san Pellegrino e concesse, per ampliare lo spazio disponibile, la chiusura del vicolo che passava tra il Monastero e la Chiesa di san Bartolomeo, acquistando anche alcune piccole case. Nel 1575 la chiesa era officiata dalla Confraternita dello Spirito santo e Trinità. Nel 1607 fu posta la prima pietra per la costruzione della attuale chiesa, fu deciso, infatti, di abbattere la vecchia Chiesa di san Bartolomeo per costruirne una più funzionale, la nuova fu dedicata alla Visitazione della beata Vergine Maria, anche il Comune di Viterbo contribuì alle spese. La chiesa fu chiamata anche della Duchessa a ricordo di Girolama Orsini Farnese. La nuova chiesa venne consacrata nel 1614 dal cardinale Tiberio Muti, vescovo di Viterbo. La chiesa, a seguito di altri ed importanti lavori, nel 1730, fu consacrata di nuovo dal vescovo Adriano Sermattei. Altri interventi furono eseguiti negli anni 1867 - 1870 e nel 1877. Dopo l’Unità d’Italia, vi erano nella chiesa, un quadro della Visitazione posto sull’altare maggiore, un quadro con la Trinità, San Benedetto e San Bernardo sul soffitto di Anton Angelo Falaschi, creduti del Cavarozzi. Un altro quadro raffigurante il martirio di San Bartolomeo, della pittrice romana Varchiani. I pericoli di confisca da parte dello Stato Italiano, vennero sospesi finchè fosse in vita Donna Benedetta Frey, la quale si attivò per ricevere elemosine e riscattare il Monastero, tra i donanti anche la Regina Margherita di Savoia, oltre ai viterbesi. Nel 1909 il monastero passò di proprietà alle monache di clausura. La facciata, è molto semplice, quasi priva di decorazioni, caratterizzata da lesene in peperino, termina a cuspide ed è ricca di festoni floreali e di gigli dei Farnese. Interessante è anche il portale d’ingresso in peperino, del secolo XVII, sul quale è un cherubino con la colomba, simbolo dello Spirito santo. In un ovale sull’alto sono, la scritta Visitationi / Virginis / deiparae e una finestra quadrata che si apre sopra ad un semiarco in peperino. L’interno è ad una unica navata con 3 altari, uno per ogni lato, vi sono due piccole cappelle ai lati del presbiterio, un abside ed una volta a botte. Ci sono opere risalenti al 1700, altri dipinti sono all’interno del monastero di clausura. Presenta un soffitto a cassettoni ravvivato dai colori grigio, blu, rosso ed oro, con stucchi e dorature, eseguito tra il 1672 e il 1673 da Giovan Battista Magni di Modena; al centro è un quadro su tela raffigurante la Trinità con san Benedetto e san Bernardo, opera del concittadino Anton Angelo Falaschi, che Andrea Scriattoli data 1745, ma che più propriamente fu eseguita nel 1758. Vi sono anche stemmi di varie famiglie nobili, tra queste dei Chigi, della Rovere, dei Bussi, dei Farnese, degli Orsini, dei Mastai Ferretti (Pio IX), dei Brancaccio. Sopra all’ingresso è la cantoria in legno del ‘600 con gradevoli ornamenti e dorature, e la memoria su pietra della consacrazione della chiesa avvenuta nel 1614 da parte del vescovo Tiberio Muti. A destra, sul primo altare, è la pala con il Martirio di san Bartolomeo, copia dal Guercino eseguita nel 1774 dalla pittrice romana Annunziata Verchiani, la quale aveva qui una sorella suora. Oltre è un altro dipinto sull’Altare dei santi Bernardo e Benedetto con la Madonna ed il Bambino con san Benedetto e san Bernardo opera del 1758 - 1759 di Anton Angelo Falaschi (1701 - 1768), qualcuno lo attribuisce erroneamente al viterbese Bartolomeo Cavarozzi (1585 - 1650). Il Falaschi eseguì le due opere, sopra citate, con la condizione che il compenso, che lo stesso avrebbe dovuto ricevere dalle suore, doveva andare, quale dote, alla figlia Maddalena per il suo ingresso in monastero. Di seguito è l’urna con i resti del corpo di san Crescenziano martire, protettore di Viterbo, insieme a Santa Rosa, donati da papa Gregorio XVI. Dal 2001 si può ammirare la statua circondata tra vari ex voto d’argento appesi alle pareti. Il corpo del Santo giunse a Viterbo il 9 Settembre 1833 e, con una gran festa. L’altare a lui dedicato fu restaurato nel 1863 e in quell’occasione il corpo, fu ricollocato nell’urna. Nella parete di fondo sono due matronei, a destra è la cappella ove è conservato il Bambino di cera, appartenuto a suor Maria Benedetta Frey (1836 - 1913), ivi sepolta, come dice l’epigrafe marmorea murata sopra l’ingresso, in: In quest’edicola / ai piedi del Bambino Gesù / che tanto venerava ed amava / riposa nella pace eterna / donna Maria Benedetta / monaca professa cistercense / al secolo Penelope Frey / che per cinquantadue anni / giacendo inferma / pur fra gli spasimi del corpo dolorante ed inerte / fu esempio ammirabile eroico / di pietà di carità / di rassegnazione cristiana / nacque in Roma il 6 Marzo 1836 / morì in Viterbo / onorata e rimpianta / il 10 Maggio 1913. L’altare di questa cappella conserva la miracolosa immagine del Bambino Gesù, che è una statua in cera, risalente al XVIII secolo, verso la quale la Frey era molto devota. Le fu donata da certi coniugi romani, e si racconta che la statua era stata loro rubata per depredarla dei preziosi che l’ornavano. Miracolo volle che la stessa, dopo addirittura sedici anni, fosse ritrovata sul tetto della casa dove era stata rubata, senza aver subito alcun danno. Più in alto c’è lo stemma del vescovo di Viterbo, cardinale Luigi Serafini (1870 - 1880). Sull’altare maggiore vi è un bel Crocifisso seicentesco. Ancora più in alto è un grande stemma: partito, dorato, al 1° interziato in palo, è lo stemma dei Farnese, ed al 2° partito è, al 1°, lo stemma Orsini ed al 2° un leone rampante. Per la Festa dell’Ascensione nel monastero fu costruita una scala apposita. Subito dopo l’altare maggiore vi è un ingresso con sopra l’epigrafe del 1661 che ricorda Maura Giacinta Bussi, sopra l’epigrafe è lo stemma: semispaccato e partito, con il monte dalle sei cime sormontato da una stella di otto raggi (Chigi) la rovere sradicata con i rami passanti in doppia croce di sant’Andrea (della Rovere) ed infine con gli occhi (Bussi). Sulla parete seguente è sull’altare il bel quadro riproducente la Visitazione di Maria Vergine a santa Elisabetta, opera attribuita al viterbese Filippo Caparozzi. Sull’altare vi è un’ altra tela con la Sacra Famiglia con angeli in gloria e Pio IX con il Bambino, sostenuto da san Giuseppe, e con a sinistra la Madonna, in basso è Papa Pio IX orante. Ai lati 8 piccoli quadri, che rappresentano momenti della vita di san Giuseppe. Sull’altare verso l’ingresso, c’è la statua di santa Teresa del Bambin Gesù. Sopra la porta di ingresso alla chiesa c’è anche un organo con gli stemmi dei Farnese, i gigli, e dei Muti.Il chiostro presenta, infatti delle snelle colonne anteposte a pilastri con pianta quadrata. Sovrasta il tutto un ampio balcone con il parapetto a colonnine in peperino. Nel chiostro del Convento della Visitazione c’è anche una fontana della seconda metà del XVI secolo. La vasca circolare con parapetto assai basso, una ventina di centimetri circa, con largo bordo piatto cordonato nella circonferenza interna, è circondata da un gradino decagonale. Un balaustro centrale sostiene una coppa baccellata da cui fuoriusciva acqua da quattro bocchettoni a forma di stella ad otto raggi. Protetta dal portico è scolpita Benedetta Frey sul letto di morte, opera in peperino del 1913 di Luigi Anselmi. Il monastero non è aperto al pubblico per il vincolo della clausura, in esso è il quadro san Michele arcangelo, santa Sabina e san Lorenzo di Anton Angelo Falaschi (1701 - 1768). Nel refettorio del monastero è un affresco raffigurante l’Ultima cena, opera di Anton Angelo Falaschi. Suor Maria Benedetta Frey
Suor Maria Benedetta Frey (1836 - 1913), sepolta nella chiesa della Visitazione, via San Pietro, Viterbo, come dice l’epigrafe marmorea murata sopra l’ingresso, in: In quest’edicola / ai piedi del Bambino Gesù / che tanto venerava ed amava / riposa nella pace eterna / donna Maria Benedetta / monaca professa cistercense / al secolo Penelope Frey / che per cinquantadue anni / giacendo inferma / pur fra gli spasimi del corpo dolorante ed inerte / fu esempio ammirabile eroico / di pietà di carità / di rassegnazione cristiana / nacque in Roma il 6 Marzo 1836 / morì in Viterbo / onorata e rimpianta / il 10 Maggio 1913 Suor Maria Benedetta Frey, fu una monaca cistercense, appartenente al Monastero della Visitazione via San Pietro, a Viterbo, nacque a Roma il 6 marzo 1836, dai coniugi Luigi Frey e Maria Giannotti; fu battezzata con il nome di Penelope. Aveva appena due anni quando la mamma morì di parto per la nascita del fratello. Il padre non si rassegnò alla perdita della moglie e partì per un luogo lontano, affidando le due figlie Ernesta la più grande e Penelope, alle cure della nonna Geltrude e della zia Margherita Ridolfi. Benedetta fin dalla prima infanzia dimostrò di avere una intelligenza sviluppata ed una spiccata inclinazione alla pietà e alla virtù; di carattere allegro e vivace. Già da bambina pensava di farsi monaca, ma la chiamata di Dio si è fatta più chiara dagli 11 ai 17 anni. Penelope trascorse 6 anni in un istituto dove, perfezionò la sua vita spirituale, progredì nello studio e diventò espertissima in ogni genere di lavoro femminile; si specializzò nella confezione di fiori artificiali. Lo studio prediletto fu la musica. All’età di 20 anni decise di farsi monaca. Superò la difficoltà consistente nella dote richiesta dalle costituzioni dell’ordine religioso, chiedendo la dispensa della Santa Sede. Indossò l’abito religioso il 21 luglio 1857, all’età di 21 anni, e prese come nome religioso Maria Benedetta Giuseppa. La professione religiosa fu celebrata il 12 luglio 1858. Dopo una lunga malattia e una vita santa, morì a Viterbo il 10 maggio 1913. Visse 52 anni di apostolato nel martirio, Suor Benedetta è vissuta a Viterbo, immobilizzata da una lunga malattia, per ben 52 anni. È stata infatti una paralisi a costringerla ad una lunga degenza a letto luogo ininterrotto della sua unione con Dio e del suo apostolato vissuto nel martirio.Ha sofferto di acuti dolori al capo che le impedivano di poterlo appoggiare sui guanciali e non potendolo neppure tenere eretto a causa della paralisi alla spina dorsale, tendeva a cadere in avanti e a raggomitolarsi sul petto. Il letto era un’accozzaglia di guanciali. A questa malattia si aggiungevano poi altri fattori, che la tormentavano periodicamente: frequenti raffreddori; tosse tormentosa, che diventava spasmodica per le scosse che procurava a tutto il corpo bisognoso d’immobilità; dolori acutissimi alla spina dorsale; nausea e dolori viscerali. Frequenti bronchiti e polmoniti l’hanno ridotta più volte in fin di vita; all’inizio della sua malattia è stata tormentata anche dal “mal della lupa” (una fame canina, che non si saziava mai). Negli ultimi anni della sua vita ha sofferto a causa di un tumore viscerale. Al di là delle sofferenze fisiche ha sofferto il suo stato d’animo come rivelano alcune lettere dei suoi accompagnanti spirituali: privazione delle pratiche di pietà; tentazioni e suggestioni diaboliche: dubbi di fede sulla misericordia di Dio, sull’inutilità delle sue sofferenze, scrupoli sulla vita passata; timori di illusioni. Nella copertina del suo libretto di preghiera, ha scritto: “Signore vi offro tutto ciò che farò in questo giorno, ma specialmente tutte le pene e i dolori che soffrirò. Voi però donatemi una pazienza invitta e una rassegnazione costante. E qualora possa essere per la maggior santificazione dell’anima mia e per vantaggio del mio monastero, vi prego, per intercessione di Maria SS. Sotto il titolo di “Salute degli infermi”, di restituirmi la sanità. Maria, madre mia, pregate per me. Gesù mio, fatemi santa e datemi la vostra grazia per diventarlo. Maria, madre di Salute, pregate per me, per la mia sanità, se è nel volere di Dio. “Ella attirava anime a Dio soltanto con la sua preghiera, ma più ancora col suo prolungato martirio sofferto nella più perfetta rassegnazione” .Ha accolto la sua malattia come una missione da compiere e “diceva che il Signore l’aveva destinata per questa missione, e perciò le aveva lasciata libera la mano destra, la parola e gli occhi” . Ai funerali partecipò una folla immensa. Tra le lettere di condoglianze pervenute al monastero c’è anche una dal nostro Fondatore scritta da Tortona: “Nei passati giorni, pensando alla morte di questa umile Serva di Dio, sentivo in me un grande desiderio di trovarmici e di accompagnare il corpo che con tanta pazienza servì nei dolori della lunga malattia il Suo e Nostro Signore… poiché non mi è stato possibile, di qui l’accompagno le ho applicato la Messa, benché intimamente vi confesso che già la credo nella gloria delle sante Vergini. E confido proprio di avere in Paradiso una nuova Protettrice che pregherà per me e per tutti i miei figlioli e per questa piccola Opera della Provvidenza che è piaciuto a Nostro Signore di tenere su, malgrado i miei peccati”. (L’Osservatore Romano lunedì – martedì 16 – 17 maggio 1994 p. 4). La monaca è stata sepolta nel cimitero di Viterbo, posteriormente è stata esumata e il suo corpo trovato incorrotto; è stato trasportato nella cappella dove si venera l’immagine di Gesù Bambino, la stessa che prima della sua morte era venerata nella camera, che ormai era divenuta una cappella. Don Orione ha avuto l’occasione di recarsi in visita alla Frey e si è mantenuto in relazione epistolare con Lei instaurando un rapporto di fiducia e comprensione reciproca. La prima visita al monastero di Viterbo, di cui Don Orione parla, avvenne verso gli inizi di aprile del 1912. “Sono stato a Messina al tempo del terremoto, Al ritorno ero mortificato e stanco; e andai a trovare quella santa monaca, Suor Benedetta Frey, che appena mi vide, mi disse: ‘Non ci vuole mica della malinconia. Bisogna essere degli stracci nelle mani di Dio”. Don Orione stava pensando ad una nuova famiglia di suore, le chiese un consiglio in merito. La Serva di Dio si fece dare uno straccio e avutolo lo strapazzò un poco tra le mani e disse a Don Orione di essere come uno straccio nelle mani del Signore e di lasciarsi condurre dalla Divina Provvidenza. Aggiunse ancora: “quando Lei fonderà una Congregazione di religiose, dica loro che dovranno essere come stracci”. Don Orione dice che da quel giorno è stato perseguitato dall’idea di fondare una congregazione femminile (Don Orione alle Piccole Suore Missionarie della Carità, p. 24). “Debbono essere umili come stracci, debbono essere come il pannolino che terge le lacrime dei poveri, dei diseredati, degli afflitti” (ibidem).In quella stessa occasione sollecitò Don Orione affinché facesse conoscere a Sua Santità Papa Pio X, che nell’aprile de 1913 si trovava ammalato, che Lei aveva offerto la sua per ottenere il prolungamento della vita del Pontefice. Il Papa veramente si è ristabilito presto e Maria Benedetta, dopo pochi giorni si è aggravata improvvisamente e la sera del 10 maggio 1913 ha lasciato la vita terrena, subito dopo uno sguardo rivolto verso l’alto ha chiuso gli occhi, ha emesso un lievissimo gemito, è spirata con un dolce sorriso. Lei aveva predetto più volte che sarebbe morta all’età di 77 anni, e così è avvenuto. Bambino Gesù miracoloso Chiesa e monastero Visitazione Immagine miracolosa di Gesù bambino e Don Orione, Don Orione come ebbe notizia di tante prodigiose conversioni, che si stavano operando per mezzo di un quadretto raffigurante il Bambino Gesù e appartenente alla Benedetta Frey chiese e ottenne di poterlo avere a sua disposizione, almeno per qualche mese, per farla pervenire in quelle case, ove si desiderava qualche conversione. Don Orione non poteva, sin dall’inizio della sua Opera, non avvertire la mancanza di questa presenza, caldamente materna, santamente amorosa della donna; fu mosso, anche da segni non ordinari, a provvedere di suore le proprie case. Egli tardò nella sua decisione perché volle attendere l’ora di Dio, la chiara manifestazione della sua santa volontà: nulla intendeva fare di affrettato, di arbitrario, di impulsivo. Soltanto nel 1912 – 13, dopo l’incontro con la Frey, Don Orione dirà: “Da quel giorno fui perseguitato dall’idea di fondare una congregazione femminile” e ancora: “sono stato a Messina al tempo del terremoto, e, vedere ironia delle cose!, mi avevano messo a fare da Vicario generale; al ritorno da Roma a Messina ero mortificato e stanco; e andai a Viterbo a trovare quella santa monaca, Suor Benedetta Frey, che, appena mi vide me disse: - non ci vuol mica della malinconia: bisogna essere degli stracci nelle mani di Dio!” “Don Orione, dal punto di vista dello “straccio” vede il delinearsi e definirsi della vita religiosa della sua Congregazione, ne indica le condizioni e le garanzie e lo spirito per appartenervi e operarvi” (Spiritualità della suora orionina nel contesto della parola “straccio”, p. 33). Lui, ha scelto questa parola ed anche il termine “straccione” per esprimere tutto quello che egli intendeva fossero i Figli della Divina Provvidenza e le Piccole Suore Missionarie della Carità in ogni circostanza e occasione; tante volte con il significato di “abbandono nelle mani del Signore come ‘stracci’” (L 6-12-1914). “nelle mani della Divina Provvidenza (L 18-11-1920); … stracci della Santa Chiesa, del Papa e dei Vescovi (L II 8) essere e stare come stracci, piccoli, umili, fedeli e abbandonati nelle mani e ai piedi del Papa e dei Vescovi (L II 195). La spiritualità dello “straccio” significa imparare dal Servo Sofferente e dalla Schiava del signore tutte le virtù che sono chiamati ad avere una religiosa o un sacerdote o meglio un figlio / a del Beato Luigi Orione; questa riunisce in sé ogni virtù cristiana: dall’accettazione con gioia alla carità, ed anche la fraternità, l’umiltà, la sincerità, l’apertura agli altri, la serenità d’animo e di volto e avanti in Domino! (Cfr. L I 349). Nella vita della serva di Dio, Benedetta Frey, occupa un posto particolare un’immagine in cera di Gesù Bambino in fasce, con il corpicino ricoperto da un drappo di seta adornato di preziosi gioielli; che le era stata donata da una coppia di nobili romani, al momento del suo ingresso in convento. L’immagine di Gesù Bambino era venerata nella piccola cappella di casa di due nobili coniugi romani; un giorno è stata rubata e spogliata di tutti i gioielli e lasciata sul tetto della casa, dove è rimasta circa 16 anni, esposta a tutte le intemperie, fino a quando dei muratori mentre stavano riparando il tetto, la trovarono e la consegnarono ai padroni. Questa è stata trovata in stato di perfetta conservazione, e ciò si è considerato come un fatto prodigioso. I proprietari del Bambino Gesù di età avanzata, non avendo eredi, hanno lasciato l’immagine alla Frey, la quale l’ha portata con sé, come l’oggetto più prezioso, quando entrò nel monastero della Visitazione a Viterbo per farsi monaca Cistercense. Questa sacra immagine fu oggetto di grande venerazione da parte di tutti coloro che hanno conosciuto Suor Benedetta Frey; lei rivolgeva sempre al Bambino fervide suppliche perché concedesse le grazie che la gente continuamente le domandava. Tante furono le preghiere esaudite, ma quando qualcuno voleva attribuire il merito di una grazia ricevuta a Suor Benedetta, lei rispondeva sempre di ringraziare il Santo Bambino. Benedetta era convinta che tali grazie si sarebbero moltiplicate se l’immagine avesse potuto peregrinare nelle case di tutti coloro che avevano bisogno di aiuto, ma non potendo mandare in giro quell’immagine, che era di dimensioni notevoli ed era custodita in una teca di vetro, decise allora di “servirsi” di un’altra, stampata su carta alta circa 20 cm, rappresentava Gesù come Buon Pastore con una pecorella sulle spalle, ed era racchiusa in un armadietto di legno intagliato. Subito iniziò a peregrinare: dapprima a Viterbo e nelle zone vicine, e poi per varie città d’Italia. Don Orione, che aveva conosciuto Suor Maria Benedetta e a lei aveva chiesto consiglio per la fondazione di Suore; venuto a conoscenza delle tante prodigiose conversioni attribuite a quell’immagine, chiese ed ottenne di poterla avere a disposizione per qualche mese. Il 16 giugno del 1913, Don Orione scriveva da Tortona alla Badessa del convento della Duchessa: “Io sottoscritto… dichiaro che il quadretto datomi da D.na Maria Benedetta il 20 aprile 1913, perché lo portassi in giro a rubare e conquistare anime, non è mia proprietà, ma esso appartiene e apparterrà sempre al monastero della Duchess e mi ritenni disposto a restituirlo ogni volta che mi verrà richiesto dalle Rev.da monache. Il bambino ora si trova a Roma, ma poi comincerà a viaggiare con me, e verrà in Sicilia, in Calabria, e poi forse anche in alta Italia. Ora è presso un ammalato”. A quest’immagine Suor Maria Benedetta diede il nome “Girandolone”, per il suo continuo peregrinare; così continuò a chiamarlo Don Orione e così lo chiamano ancora i Figli della Divina Provvidenza. Suor Benedetta morì cinque giorni dopo aver consegnato l’immagine a Don Orione, il quale continuò a servirsene, facendola appunto “girare” continuamente. (Bibl: Don Flavio Peloso https://messaggidonorione.it/articolo.asp?ID=1378) Palazzo Donna Olimpia Palazzo di Donna Olimpia, via San Pietro,Viterbo, in origine questo palazzo era noto come Palazzo dell'Abate, ed apparteneva ai frati Cistercensi di San Martino al Cimino,lo si ricorda anche come palazzo di Donna Olimpia, perchè nel 1654 fu donato a Donna Olimpia Maidalchini Pamphili dal Papa Innocenzo X Pamphlili, alla moglie di suo fratello.Donna Olimpia oltre a diventare proprietaria di questo palazzo acquisì anche la signoria di San Martino al Cimino, con l'investitura ed il titolo di Principessa. Donna Olimpia era nata a Viterbo nel 1594, da una famiglia numerosa, fuggì dal convento nel quale era stata messa, .Dopo la morte del primo marito il viterbese Paolo Nini, sposò in seconde nozze Panfilio Pamphili fratello di Papa Innocenzo X,dal quale ottenne numerosi benefici. La struttura del Palazzo risale al 1200, è merlata, con sovrapposizioni rinascimentali volute dal Cardinale Francesco Piccolomini, divenuto Papa nel 1503 con il nome di Papa Pio III, e che fu anche commendatore dell'Abbazia di San Martino, il quale pose nelle lune gli stemmi di famiglia, le finestre sono riquadrate con mensole e cornici. L'originario fabbricato è affiancato da una costruzione ottocentesca, che fu la sede di un Befotrofio, che su progetto dell'architetto viterbese Enrico Calandrelli , nel 1899, ricreò porte e finestre secondo l'originario modello, che si aprono tra la porta e il suo antemurale. Donna Olimpia La Pimpaccia
Donna Olimpia
Maidalchini La Pimpaccia, Donna Olimpia Maidalchini, Olimpia Maidalchini nacque a Viterbo nel 1591 e appena diciasettenne andò in moglie a Paolo Nini, di una ricchissima famiglia Viterbese. Rimasta vedova, nel 1612 si risposò con Pamphilo Pamphili, esponente della nobiltà romana; si dedicò quindi al sostegno economico, della carriera ecclesiastica del cognato Giovanni Battista fino alla sua ascesa al soglio Pontificio avvenuta nel 1644 col nome di Papa Innocenzo X. Rimasta nuovamente vedova, ricevette dal papa le terre appartenute all’abbazia di San Martino al Cimino. Fu una donna ambiziosa e capace, che s’impose nella aristocrazia romana e divenne la principale ispiratrice della politica del cognato, non era molto amata dal popolo a causa dei suoi intrighi di palazzo, e l’appellativo spregiativo di Pimpaccia derivava dalla protagonista di un libro che narrava le vicende di una donna arrivista. Fu anche oggetto delle Pasquinate, tra queste : ““Chi dice donna, dice danno chi dice femmina, dice malanno chi dice Olimpia Maidalchina, dice donna, danno e rovina”. Morì nel 1657 a San Martino al Cimino colpita dalla peste. Successivamente tale denigrazione dovuta ai suoi contemporanei venne ridimensionata e la sua immagine rivalutata. Fontana Card. Piccolomini Fontana del Cardinale Piccolomini, via San Pietro Viterbo, addossata al muro dell'ex brefotrofio, oggi versa in uno stato di totale abbandono, anno 2021. La testata è suddivisa in tre parti sovrapposte qui c'era un bocchetone con sopra tre lune, simpolo della famiglia PiccolominiIni, in origine c'era una vasca rettangolar, che oggi non esiste più. Questa fontana venne fatta costruire nel 1463 dal Cardinale Francesco Todeschini Piccolomini, che fu Papa con il nome di Pio III, il quale restaurò il Palazzo dell'Abate risalente al XIII secolo, edificato dai frati Cistercensi di San Martino al Cimino. Nel XVII secolo, il palazzo divenne di proprietà di Donna Olimpia Maidalchini. Dal 1899 fu la sede dell'Amministrazione del Befotrofio. Francesco Bandini Piccolomini
Bandini Piccolomini, Francesco,
fu Vescovo (Siena, sec. XVI – Ivi, 1588) a
Giovanni Piccolomini si riferiscono gli stemmi
della famiglia Piccolomini al palazzo di Donna
Olimpia a via San Pietro Viterbo, Figlio di
Sallustio (che era un nobile senese) e nipote
del cardinale Giovanni Piccolomini, arcivescovo
di Siena e pronipote di Pio III, era stato
creato Arcivescovo di Siena nel 1529; nel 1556
era stato Governatore di Roma, nel 1559
Governatore della Provincia del Patrimonio di
San Pietro in Tuscia (Il Bussi lo qualifica
come Vicelegato ma i bandi dell’Archivio
comunale di Viterbo lo chiamano sempre
Governatore). Fu Vice Camerario nel 1560. Morì
nel 1588. Cardinale Piccolomini
Cardinale
Piccolomini Giovanni, a lui si riferiscono
gli stemmi al palazzo di Donna Olimpia a via San
Pietro Viterbo, era figlio di Andrea di Nanni
Piccolomini Todeschini e di Agnese di Gabriele
Francesco Farnese, cugina di papa Paolo III,
nacque a Siena il 9 ottobre 1475. Il padre era
nipote di Pio II, Enea Silvio Piccolomini,
essendo figlio di Laudomia Piccolomini e di
Nanni Todeschini. Andrea ebbe tre fratelli:
Francesco, arcivescovo di Siena e poi papa Pio
III, Antonio, primo duca d’Amalfi, e Giacomo,
signore di Montemarciano e Camporsevoli in
Valdichiana. Per volontà di Pio II anche Andrea
fu, limitatamente al tempo della sua vita,
signore di Camporsevoli. Andrea ricevette anche
da Ferdinando d’Aragona la signoria ereditaria
dell’isola del Giglio e di Castiglione della
Pescaia lungo la costa meridionale toscana, a
seguito dell’infeudazione del Regno di Napoli
concessagli da papa Piccolomini. La generazione
di Andrea e degli altri fratelli Piccolomini
Todeschini visse uno dei momenti più importanti
dell’affermazione della famiglia su scala
nazionale, soprattutto attraverso la conclusione
di importanti alleanze matrimoniali: Andrea legò
i Piccolomini ai Farnese, Giacomo ai Colonna
sposando Cristofora, mentre Antonio duca di
Amalfi, capostipite della linea dei Piccolomini
d’Aragona, si unì in prime nozze a Maria, figlia
naturale di re Ferrante. Giovanni Piccolomini,
fu il primogenito di quattro fratelli,
Alessandro, Pier Francesco e, secondo la
genealogia di Giulio di Francesco Piccolomini da
Modanella, Bernardino, vescovo di Teramo e di
Sessa ed ebbe anche tre sorelle: Montanina,
Vittoria e Caterina, protagoniste di importanti
matrimoni all’interno dell’oligarchia senese. La
giovinezza e la formazione di Giovanni restano
nell’ombra per un periodo piuttosto lungo,
almeno fino al settembre del 1501, quando,
secondo Giovanni Antonio Pecci (Storia del
vescovado della città di Siena, 1758, p. 347),
era arcivescovo della sua città natale, anche se
per altre fonti lo sarebbe diventato solo dal
1503 (Eubel - van Gulik, 1923, III, p. 297;
Ughelli, 1718, III, col. Nel 1503 fu eletto
arcivescovo di Siena. Partecipò al Concilio
Lateranense V (1512-1517). Il 1º luglio 1517 fu
creato cardinale da papa Leone X e il 6 luglio
dello stesso anno ricevette il titolo di Santa
Sabina. Il 7 gennaio 1521 divenne Camerlengo del
Sacro Collegio, carica che tenne fino al 6
febbraio 1523. L'11 giugno 1521 optò per il
titolo di Santa Balbina. Fu amministratore
apostolico della diocesi dell'Aquila dal 1523 al
1525 e lo sarà ancora dal 1532 alla morte. Il 24
luglio 1524 optò per l'ordine dei
cardinali-vescovi ed ebbe la sede suburbicaria
di Albano. Fu amministratore apostolico della
diocesi di Umbriatico dal 1524 al 1531. Subì
affronti dalle truppe imperiali durante il sacco
di Roma (1527). Il 7 aprile 1529 si dimise da
arcivescovo di Siena. Il 22 settembre 1531 ebbe
la sede suburbicaria di Palestrina, da dove il
26 settembre 1533 fu trasferito alla sede
suburbicaria di Porto e Santa Rufina, sede
propria del vicedecano del Sacro Collegio, morì
a Roma nel novembre del 1537 a 62 anni, senza
aver fatto testamento e lasciando incerta la
trasmissione del patrimonio, che comprendeva
anche le signorie di Castiglione della Pescaia e
dell’isola del Giglio, appartenute al fratello
Pier Francesco. Queste per mancanza di eredi
diretti passarono al duca di Amalfi, esponente
di un diverso ramo dei Piccolomini che aveva
sposato Silvia Piccolomini, una figlia di Pier
Francesco. Porta San Pietro Porta San Pietro o Salicicchia, via San Pietro,Viterbo, è una delle porte più antiche della città, risale al XII secolo,deriva il nome dalla Chiesa posta di fronte di San Pietro del Castagno, fondata nel 1240 dal Cardinale Raniero Capocci, già chiamata porta Salicicchia forse come corruzione del termine silices cioè i selci con i quali era pavimentata la strada, o perché conduceva al non distante castello di Salce. Addossato alla porta troviamo il palazzo dell'Abate di San Martino, che deve il suo nome al fatto che appartenne ai monaci cistercensi di San Martino al Cimino e usato nei mesi invernali quando al convento, situato in montagna, faceva troppo freddo, il palazzo è divenuto poi nel ‘600 il palazzo di Donna Olimpia Maidalchini Pamphili. Su questa porta campeggia lo stemma della città di Viterbo, il leone, questa porta è ben conservata e prende il nome dalla vicina chiesa di San Pietro del Castagno. La porta ed il palazzo hanno subito nei secoli vari adattamenti ed utilizzi, fino a diventare il palazzo un Brefotrofio fino alla seconda metà del secolo sorso. Nel 1200 il comune di Viterbo, dopo una sconfitta di Roma dovette cedere a quest’ultima la campana, la catena e la chiave di questa porta. Sotto l’arco si nota un affresco a tema religioso del XVII secolo. Di fronte alla porta sul muro del palazzo si nota la mostra di una antica fontana fatta costruire dal cardinale Francesco Todeschini Piccolomini, che divenne pontefice con il nome di papa Pio III e che regnò solo 26 giorni dal 22 settembre al 18 ottobre del 1503. Stemma Leone Porta San Pietro Stemma del leone a porta San Pietro Stemma del Leone a Porta San Pietro, via San Pietro, Viterbo, sul lato esterno campeggia sulle mura della porta il simbolo di Viterbo. Affresco rovinato arco Porta S. Pietro
Affresco alla porta San Pietro,Viterbo, prende il nome dalla vicina chiesa San Pietro del Castagno fondata per volontà del cardinale Raniero Capocci nel 1240. Venne chiamata anche Porta Salicicchia, probabilmente perchè nei pressi di essa sorgeva il Castel di Salce. Oggi la porta, sovrastata da merlature dotate di feritoie, conserva il suo stato originario caratterizzato dalla presenza dello stemma di Viterbo scolpito a bassorilievo e raffigurante il leone e la palma. La porta era in origine decorata da un affresco, ora conservato presso il Museo Civico di Viterbo, in cui era rappresentata la Madonna con il Bambino e, a sinistra, un angelo che regge il cartiglio Civitatem protege Tuam Fontana a porta San Pietro Una modesta fontana a vasca rettangolare è all’esterno alla destra della porta di San Pietro. La porta è bassa e stretta e conserva la sua forma primitiva, è sovrastata da intatte merlature, dotate di feritoie per la difesa dagli attacchi nemici, sul lato esterno a via San Pietro si ammira il bassorilievo che raffigura il Leone di Viterbo con la picca al posto della palma, simbolo di Ferento, assunta la palma dopo la distruzione di Ferento da parte dei viterbesi nel 1172. Nel XII secolo la porta venne più volte chiusa per impedire l'accesso agli invasori romani che volevano impadronirsi della città, e per via della peste. Nel 1630 venne murata. Nel 1714 su riaperta per volere dei frati di San Pietro del Castagno. Subito dopo la porta c'è la fontana voluta nel 1463 dal Cardinale Francesco Todeschini Piccolomini, divenuto Papa con il nome di Pio III. A sinistra c' un angelo con un cartiglio "Civitatem protege Tuam". Madonnina a Porta San Pietro Madonnina a Porta San Pietro Viterbo, guardando in alto la porta sul lato destro in una nicchie vi è una piccola statua bianca che sembrerebbe essere la Madonna. Profferlo a via San Pietro Profferlo a via San Pietro, lungo la via c'è un solo profferlo, una abitazione privata ristrutturata e si trova nei pressi della ex chiesa di Sant'Orsola. Come arrivare a via San Pietro Viterbo centro storico
Mappa San Pellegrino - Mappa Pianoscarano - Mappa San Sisto
Fotografie di Via San Pietro Viterbo centro storico Viterbo. centro storico Viterbo. centro storico, la via è sempre transennata (2023) Viterbo. centro storico, la via è sempre transennata (2023)Arco presso Ex Chiesa Sant'Orsona, qui vi erano Torri scomparse da tempo Arco presso ex Chiesa Sant'Orsola, via San Pietro, Viterbo - Archi di Viterbo centro Porta San Pietro via San Pietro Viterbo Porta San Pietro - Via San Pietro Viterbo centro storicoPalazzo di Donna Olimpia via San Pietro Viterbo Palazzo di Donna Olimpia Via San Pietro Viterbo centro storico, in stato pietoso anno 2023 Chiesa e Monastero della Visitazione via San Pietro Viterbo Chiesa e Monastero della Visitazione Via San Pietro Viterbo centro storico Profferlo restaurato a via San Pietro Viterbo Profferlo a Porta San Pietro - Via San Pietro Viterbo centro storicoNasone a via San Pietro Viterbo Nasone a Via San Pietro Viterbo centro storico Madonnina a Porta San Pietro via San Pietro Viterbo Madonnina a Porta San Pietro - Via San Pietro Viterbo centro storicoEdicola Sacra a via San Pietro 68 Viterbo centro Edicola Sacra Via San Pietro 68 Viterbo centro storico Immagine del Cristo a via San Pietro 66 Viterbo centro storico Edicola Sacra Via San Pietro 66 Viterbo centro storico Due immagini sacre a via San Pietro Viterbo centro Due immagini sacre a Via San Pietro Viterbo centro storico Immagine di Sant'Orsola via San Pietro 71 Viterbo Immagine Sant'Orsola Via San Pietro 71 Viterbo centro storico Immagine di Sant'Orsola via San Pietro 53 Viterbo Immagine Sant'Orsola Via San Pietro 53 Viterbo centro storico - Stemmi a Viterbo Simbolo San Bernardino via San Pietro 66 Viterbo centro storico Simbolo San Bernardino Via San Pietro Viterbo Stemmi a Viterbo - Stemmi San Bernardino Simbolo San Bernardino via San Pietro 66 Viterbo centro storico simbolo San Bernardino Via San Pietro 20 Viterbo - Stemmi a Viterbo - Stemmi San Bernardino Simbolo via San Pietro 20 Viterbo centro simbolo Via San Pietro 20 Viterbo - Stemmi a Viterbo Simbolo via San Pietro 51 Viterbo centro storico simbolo Via San Pietro 51 Viterbo - Stemmi a Viterbo Simbolo via San Pietro 52 Viterbo centro storico simbolo Via San Pietro 52 Viterbo - Stemmi a Viterbo Stemma Ex Chiesa della Visitazione via San Pietro Viterbo centro stemma e iscrizione Chiesa e Monastero Visitazione Via San Pietro Viterbo - Stemmi a Viterbo Stemma a via San Pietro Viterbo centro stemma e iscrizione Via San Pietro Viterbo - Stemmi a Viterbo Stemma via San Pietro 81 Viterbo centro stemma e iscrizione Via San Pietro 81 Viterbo - Stemmi a Viterbo Stemma via San Pietro 79 Viterbo centro stemma e iscrizione Via San Pietro 79 Viterbo - Stemmi a Viterbo Stemma via San Pietro 72 Viterbo centro storico stemma e iscrizione Via San Pietro 72 Viterbo - Stemmi a Viterbo Da vedere a via San Pietro Viterbo centro storico
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