Chiesa di Sant'Ignazio,Piazza Mario Fani, Via Aurelio Saffi, Viterbo, info Anna Zelli sito ufficiale web www.annazelli.com
Piazza Mario Fani Viterbo |
chiesa sant'ignazio piazza mario fani via aurelio saffi via cavour viterbo centro storico | ||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
CHIESA SANT' IGNAZIO |
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Vedere a piazza Mario Fani
Ex Chiesa San Leonardo
Palazzo Nini
Maidalchini
Archi piazza Plebiscito
Antica sede Magistratura
Archi Casa V. Pagnotta
Terme
del Bacucco Non sono terme:
Ruzzola D'Orlando
San Pellegrino in Fiore
Guida Turistica Viterbo
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La Chiesa di sant’Ignazio, piazza Mario
Fani Viterbo, già della Compagnia di Gesù, i
Gesuiti, La facciata molto severa ha un
bellissimo ingresso di ispirazione
rinascimentale, ha in alto, una grande lunetta.
L'interno è in uno stile barocco molto
sobrio, i pilastri sono ornati da stucchi
colorati In alto si ammira la cupola.
La Chiesa risale al 1662, la sua
edificazione venne terminata nel 1670, e venne
aperta al culto nel 1671, la famiglia Spadensi e
Bussi i quali contribuirono finanziariamente
alla sua costruzione, Girolamo Bussi faceva
parte dei Gesuiti. Sulla facciata della porta di
ingresso c’è lo stemma in marmo della famiglia
Bussi, e vi è una epigrafe”D. O.M. in honorem
D(ivi) Ignatii Societatis Iesu institutoris
familia Bussia templi huius fundatrix d d d anno
domini MDCLXXI”. La chiesa fu sede dei Gesuiti
fino al 1872. I lavori di restauro della
facciata vennero eseguiti nel 1837 su disegno
dell’ingegnere Vincenzo Federici. I lavori
all’interno della chiesa vennero eseguiti nel
1843 da Vincenzo Federici ed altri restauri da
Castore Costantini che li terminò nel 1893.
La facciata è in stile rinascimentale, sul
timpano in alto vi sono dei festoni con frutta e
al centro la scritta “ In ho. S. Ignatii I. sem.
erexit a.D. MDCCCXLIII” Per accedere
all’interno della chiesa vi sono 5 gradini.
Interno chiesa Sant’Ignazio, appena si entra
sulla destra vi è il quadro “Angeli ascendenti”,
la cornice è dorata e in alto sono scolpiti due
cherubini. Vi è una epigrafe risalente al 1709,
voluta dalla famiglia Bussi e dedicata alla
famiglia Spadensi ed è presente lo stemma della
famiglia Spadensi in marmo. Questa epigrafe si
trova presso la porta della Sacrestia, vicino
alla Cappella di San Francesco Borgia risalente
al 1703. L’epigrafe recita : “D.O.M. Donato
Spadentio ex equestri Ordine S. Stephani ob
aureos mille et quingentos huic templo S.
Ignatii supremis tabulis legatos grati animi
monumentum posuit Collegium Viterbiense Societ:
Iesu anno sal: MDCCIX.” Ricorda Donato Spadensi
morto nel 1638, che con il suo lascito contribuì
all’avvio dei lavori di costruzione della
chiesa.Segue un quadro di San Francesco Borgia
in basso vi è una iscrizione “Sacellum hoc S.
Francisci Borgia clientis a terremotus periculis
vindicati ex orna runt / an. 1709.” Questo
altare sembra esistente già nel 1703. Segue la
Cappella di san Francesco Saverio, ricca di
pregiati marmi colorati, con due ordini di
colonne in marmo nero e balaustra. Vi era un bel
quadro, olio su tela, raffigurante la Predica di
san Francesco Saverio La cappella fu fatta
costruire nel 1677 da Domenico Sannelli e
decorata a spese del figlio Ludovico. L’anno
seguente Bartolomeo Malavista dotò l’altare di
un busto, in argento, del Santo.In basso ai
lati, sul fronte delle basi delle colonne, è lo
stemma della famiglia Sannelli, in non comuni
marmi policromi. Sul pavimento, davanti alla
cappella, vi è una lastra di marmo, consumata,
con un’epigrafe dedicata a Domenico Sannelli che
avevano una casa a via dell’Orologio Vecchio.
L’altare era di giuspatronato della famiglia
Bruni Franceschini, il cui stemma è sul lato
destro. Vi sono due ordini di colonne e al
centro il quadro del Cristo Crocefisso che
appare a Sant’Ignazio. Il tabernacolo è in
pregiati marmi policromi e con sullo sportello
il calice con l’ostia in rilievo. Sul lato
destro dell’altare maggiore vi è una lapide
marmorea con l’effige di papa Leone XIII,
commemorativa del 75° anno dalla prima comunione
del pontefice, con la scritta in lettere dorate
“XI Kal. julias an. MDCCCXCVI die anniversario
LXXV ex quo in hac aede Joachim e comit. Pecci
primum angelico pane est recreatus. In alto si
vede il medaglione col profilo del pontefice e
la scritta: “Leo XIII pont. max.”, Papa che qui
nel 1821 ricevette il sacramento della prima
comunione.Sulla parete a sinistra dell’altare
maggiore,si trova una epigrafe paleocristiana,
trovata nelle catacombe di Pretestato, sulla
tomba di una giovane martire e sulla quale vi è
una scritta che meziona Irene Dulcis e scolpì un
cuore trafitto da un dardo con una epigrafe del
1854. Nella cupola si ammirano alcune
decorazioni nelle vele, eseguite da Pietro
Vanni, come riferisce nel 1925 Tommaso Fiore.
Mentre al centro della volta della navata, e
sulla controfacciata, è dipinto lo stemma di
papa Leone XIII. La famiglia Calabresi,
con una donazione, fece erigere la sua cappella
dedicata alla Madonna risalente al 1687. Sopra
l’altare vi è il quadro raffigurante la Madonna
assisa col Bambino in braccio. La cappella si
presenta in due ordini di colonne, con alla
sommità lo Spirito santo, ed è dotata di
balaustra; ai lati in basso è lo stemma in marmo
dei Calabresi: Su una parete vi è una grande
cornice in legno dorato con all’interno la
statua di san Luigi Gonzaga, tra le colonne,
segue, murata sulla parete, l’epigrafe che
ricorda la consacrazione della chiesa da parte
del vescovo Brancaccio, avvenuta il 18 Aprile
1672. Verso l’uscita, sulla parete, tra la prima
e la seconda colonna, è il quadro con
raffigurato il Cristo che appare ad un ammalato.
Sulla controfacciata, al di sopra del ballatoio
è pitturato lo stemma del vescovo di Viterbo
Eugenio Clari. Sul pavimento, al centro, è la
pietra tombale di un tal Michele, assai
consumata e indecifrabile, vicino ve n’è
un’altra di un certo Leonardo, ma anche questa
illeggibile. In sacrestia vi è un piccolo
dipinto, cinquanta per quaranta centimetri,un
olio su tavola attribuita al grande Michelangelo
Buonarroti, oppure è una copia, raffigurante la:
Crocifissione di nostro Signore con i due
ladroni e la Vergine, san Giovanni e santa Maria
Maddalena ai piedi della croce. Oggi è custodito
nel Museo del Colle del Duomo, precedentemente
era conservato in Vescovato. Il soffitto
è decorato con fregi e fiori classici dell’800.
Il Campanile, visibile da via del
Collegio, presenta due campane, la campana
grande, fu inserita dalla Compagnia del Gesù e
reca la data 1721, mentre La campana più piccola
sembra la più antica, la data che con difficoltà
si legge e che bisognerebbe accertare reca
l’anno del Signore 1280 con iscrizione a
caratteri gotici, difficilmente leggibile. Dal
2013 la chiesa è stata affidata in comodato
gratuito, dalla Diocesi di Viterbo, in comune
accordo tra il vescovo della Diocesi di Viterbo
Lino Fumagalli e Monsignor Siluan, vescovo della
Diocesi Ortodossa Romena d’Italia a padre
Bobita Vasile Stefan, che ne ha fatto il centro
religioso di riferimento per i rumeni ortodossi
San Callinico di Cernica del capoluogo e della
provincia. Interno Chiesa Sant'Ignazio Interno Chiesa Sant’Ignazio di Loyola piazza Mario Fani Viterbo, dal 2021 la chiesa è affidata alla Parrocchia romeno ortodossa di San Callimaco di Cernica. La chiesa affaccia su piazza Mario Fani, e sul lato destro su via del Collegio, e da questa via è possibile vedere il campanile. Oltre all’ingresso principale, cui si accede tramite cinque gradini, mentre l’ingresso secondario su via del collegio è preceduto da un gradino. La chiesa ha un impianto basilicale con transetto e coro absidato.Le navate interne sono separate da tre archi a tutto sesto su pilastri, inquadrati da un ordine di paraste corinzie con trabeazione continua; al di sopra della quale corre un attico scandito da pilastrini. Gli elementi architettonici sono in finto marmo su fondo ad intonaco bianco. L’ambiente della navata centrale è coperto da una volta a botte lunettata, in cui si aprono le tre finestre per lato che illuminano l’ambiente insieme alla finestra in controfacciata. Le navate laterali, scandite trasversalmente da archi, sono invece coperte da volte a botte in direzione perpendicolare a quella della navata centrale, e sono prive di illuminazione. Al termine delle navate si apre il transetto, separato da queste tramite archi a tutto sesto. Qui, in asse con la navata di sinistra, si apre la porta che conduce agli ambienti di servizio retrostanti, raggiungibili anche da una porta nella parete di sinistra del presbiterio. Nelle testate del transetto sono collocati altari secondari, delimitati da balaustre marmoree e sormontati da frontespizi. L’ambiente è coperto da volte a botte lunettate, mentre la crociera è sormontata da una cupola su tamburo finestrato e lanternino. Il coro è rialzato di un gradino e l’area è delimitata da una balaustra marmorea. Sulla parete di fondo si erge l’altare originale, rialzato di tre gradini, e sormontato da un frontespizio con timpano curvo spezzato su quattro colonne corinzie che poggiano su piedistalli. Nella parte anteriore del coro si affacciano in alto, in entrambi i lati, dei coretti a balcone. L’ambiente è coperto da una volta a botte lunettata, che ospita le due finestre laterali, e da una semicalotta nella zona absidale. Impianto strutturale. La pavimentazione è in piastrelle di cotto. Gli elementi decorativi presenti nella chiesa sono le numerose icone ortodosse che arricchiscono tutte le pareti, i tre altari marmorei, e i quattro affreschi localizzati nei pennacchi di raccordo alla cupola. https://www.lacitta.eu/storia/54500-un-viterbese-consulente-di-sant-ignazio-di-loyola-per-la-regola-dei-gesuiti.html Sant'Ignazio di Loyola Sant’Ignazio di Loyola,vita opere storia, il suo vero nome era Íñigo López de Loyola, ma è noto come Ignazio di Loyola, a lui a Viterbo è dedicata la chiesa a piazza Mario Fani. Nacque nel 1491 forse il 23 ottobre e morì a Roma il 31 luglio 1556, è il fondatore della Compagnia di Gesù, i Gesuiti, fu proclamato Santo da Papa Gregorio XV nel 1622.Il padre era stato soldato al servizio di Enrico IV, e dei Re cattolici del tempo e di Giovanni II; al fianco di Ferdinando il Cattolico guidò l'assedio contro le città di Toro, Burgos, Loja, conquistata il 29 maggio 1486 e Vélez-Málaga. Per la sua fedeltà alla corona ricevette la conferma dal re, che lo nominò proprio vassallo e gli concesse la rendita annuale di duemila maravedís dalle ferriere di Barrenola e Aranaz e il diritto di patronato sulla parrocchia di Azpeitia. La madre era figlia di Martín García de Licona, figura di alto lignaggio, cortigiano dei re di Castiglia e consigliere dei Re cattolici, che possedeva il dominio e il maggiorascato della casa di Balda. Il primogenito dei fratelli di Íñigo, Juan Pérez, cadde in battaglia a Napoli, combattendo contro le truppe di Carlo VIII di Francia; degli altri figli oltre ad Ignazio, non possediamo che spurie notizie: la maggior parte di essi sembra essere caduta in battaglia come Beltran, morto durante la guerra di Napoli o Juan Beltrán, imbarcatosi per le Americhe e morto nell'odierna Panama. Uno degli otto maschi, Pero López, nato poco prima di Ignazio, era stato l'unico a intraprendere la carriera ecclesiastica, esercitando il sacerdozio nella parrocchia di Azpeitia, patrocinata dalla sua stessa famiglia. Delle sorelle non conosciamo che i nomi desunti perlopiù dai testamenti dei fratelli: Juaniza, Magdalena, Sancha, Petronila, Maria Beltrán. Ignazio, fu svezzato da una nutrice nel casolare di Eguibar, vicino a Loyola, crebbe sotto le attenzioni del fratello Martín e della cognata Magdalena Araoz. Ígnazio rimasto orfano dei genitori, nel 1506 venne mandato nella città di Arévalo, alla corte del ministro delle finanze del re Fernando il Cattolico, Giovanni Velázquez de Cuéllar per ricevere un'educazione cavalleresca e religiosa. Si mise in evidenza per la sua abilità nel suonare la vihuela, per il coraggio mostrato nei tornei e la sua maestria nel danzare. Ignazio de Loyola ebbe modo di conoscere i grandi dell’epoca, rimase in casa di Velázquez per undici anni, fino al 1517 trascorrendo una vita agiata, dedita ai banchetti, alla musica, alla lettura di romanzi cavallereschi e alla composizione poetica. Con la morte del re Fernando la situazione della famiglia Velazquez precipitò in breve tempo. La regina Germana sollecitò il nuovo re, Carlo I, a concederle le cittadine di Arévalo e Olmedo, proprietà del ministro delle finanze Velázquez il quale, ritenendo tale decisione un sopruso e una violazione dei suoi diritti, si ribellò inutilmente al re perdendo ogni suo possesso per cui, rattristato anche per la morte del primogenito Gutierre si ritirò a Madrid dove morì qualche mese dopo, il 12 agosto 1517, mentre la moglie Maria passò al servizio dell'ormai reclusa Giovanna la Pazza. Ignazio, a 26 anni, abbandonò la famiglia Velazquez, ormai caduta in disgrazia, fatto che peraltro lo turbò notevolmente dato l'affetto che lo legava, raggiunse il palazzo a Pamplona di Antonio Manrique de Lara, duca di Najera e viceré di Navarra, per rimanere per tre anni come cavaliere armato al suo servizio durante il quale assisté allo sbarco della nave che conduceva in Spagna il nuovo re Carlo I, il futuro imperatore Carlo V d'Asburgo, allora appena diciassettenne. Alla partenza di questi per la Germania, dove lo attendeva la corona dell'impero, si diffusero moti di ribellione per le città ispaniche, irritate dalla preferenza che il re aveva dato al trono germanico a scapito di quello spagnolo, lasciandovi come suoi rappresentanti alti funzionari fiamminghi, invisi al popolo e alla nobiltà. Antonio Manrique, fedele al re, fu uno dei condottieri che diedero battaglia ai rivoltosi a fianco dei propri figli e dello stesso Ignazio che con questi partecipò e vinse l'assedio alla città ribelle di Najera.Don Manrique incaricò il fedele Ignazio della missione speciale di pacificare la provincia di Guipúzcoa. Compito che egli risolse nel migliore dei modi. Ma un incarico ben più arduo lo attendeva: la fortezza di Pamplona era in pericolo e presto sarebbe crollata. Non solo i nemici di don Manrique minacciavano la cittadina ma lo stesso re francese Francesco I, il quale, approfittando della situazione, aveva progettato un attacco contro la Navarra. La fortezza era priva di forze militari perché il duca se n'era privato per soccorrere il suo sovrano. Enrico d'Albret, pretendente al trono di Navarra, appoggiato da Francesco I, piombava sulla fortezza sotto il comando di Andres de Foix con ben dodicimila soldati di fanteria, ottocento lancieri e ventinove pezzi di artiglieria. A Pamplona non era rimasto che un piccolo esercito di un migliaio di soldati, sotto gli ordini di don Pedro de Beamonte, celermente sostenuto dall'arrivo inaspettato delle milizie comandate da Ignazio e da suo fratello Martin. La situazione si aggravò per un contrasto sorto tra gli stessi condottieri: Martin, che voleva il comando delle truppe, di fronte al rifiuto del Beamonte, decise di ritirarsi col grosso del suo esercito, lasciando in tal modo il fratello con pochi soldati. Il 19 maggio la città cadde in mano al nemico, mentre Ignazio e i suoi rimasero a difendere l'ultimo baluardo di Pamplona, rifiutando le condizioni poste da Andres de Foix per la loro resa. Il giorno dopo fu messa in campo l'artiglieria pesante e durante i bombardamenti un tiro colpì in pieno la gamba destra di Ignazio rompendogliela in più parti. Il comandante e i suoi soldati si arresero dopo sei ore di assedio. I francesi, e particolarmente il generale nemico, che aveva già precedentemente manifestato stima nei confronti dell'avversario, gli risparmiò la vita e ordinò che se ne prendessero cura, come Ignazio stesso raccontò in seguito nella sua autobiografia. Dopo quindici giorni di degenza a Pamplona Ignazio venne trasportato in barella alla casa paterna. Il suo stato era grave e più volte si temette per la sua vita. Solo dopo dolorosissime operazioni, stoicamente sopportate, e sofferenze egli poté ristabilirsi pur non potendosi reggere bene sulla gamba, a causa della quale rimase zoppicante per il resto della vita. Nei giorni in cui fu costretto a un'esasperante immobilità, rimase a letto leggendo. Gli vennero dati la Vita Christi, del certosino Landolfo di Sassonia e il Flos sanctorum, le celebri vite dei santi composte dal domenicano Jacopo da Varazze. In lui cominciava il processo di conversione religiosa, perché era ormai deluso, dalla sua un'ambiziosa carriera militare. Durante il periodo di degenza cominciò pian piano a dedicarsi alla preghiera, alla lettura di testi sacri, alla meditazione, scrivendo alcuni appunti che in seguito avrebbero dato vita ai suoi Esercizi spirituali. Sognava di partire pellegrino per Gerusalemme e per realizzare tale desiderio, una volta ristabilito, si decise di partire per i santuari mariani della Spagna, con una particolare sosta presso il celebre santuario di Montserrat dove, durante una vera e propria veglia militare dedicata alla Madonna, come un antico cavaliere appese i suoi paramenti militari davanti a un'immagine della Vergine Maria e da lì, il 25 marzo 1522, entrò nel monastero di Manresa, in Catalogna. Dopo la "veglia d'armi" assunse il nuovo nome di Ignazio probabilmente per la sua speciale devozione verso sant'Ignazio di Antiochia, oppure perché pensava che fosse una variante del suo nome: in realtà, Íñigo era la forma basca del nome Innico o Enecone, che gli era stato imposto in omaggio a sant'Enecone, abate benedettino di Oña, il cui culto era particolarmente sentito nella sua terra. A Manresa Ignazio praticò un severo ascetismo che causò un indebolimento del suo fisico e dello spirito tanto da pensare al suicidio. In questo periodo di penitenze, digiuni e rimorsi per la vita passata, Ignazio ricevette una "grande illuminazione" presso il fiume Cardoner: camminando così assorto nelle sue devozioni, si sedette un momento, rivolto verso l’acqua che scorreva in basso, e, stando lì seduto, cominciarono ad aprirglisi gli occhi dell'intelletto. Non già che avesse una visione, ma capì e conobbe molte cose della vita spirituale, della fede e delle lettere, con una tale luce che tutte le cose gli apparvero nuove. Nel 1523 raggiunse Venezia e si imbarcò per Gerusalemme, dove visitò i luoghi santi. Dovette però abbandonare il progetto di stabilirsi in Palestina e di operare la conversione degli infedeli in Oriente per il divieto di soggiorno impostogli dai frati francescani dalla Custodia di Terra Santa.Tornato in Spagna con il desiderio di abbracciare il sacerdozio, riprese gli studi a Barcellona, poi presso l'Università di Alcalá dove, per il suo misticismo, fu sospettato di essere un alumbrado e fu tenuto in carcere dall'Inquisizione per quarantadue giorni. Si trasferì quindi a Salamanca e poi, per completare la sua formazione, a Parigi, dove arrivò il 2 febbraio 1528.S'iscrisse all'Università di Parigi, dove rimase sette anni, ampliando la sua cultura letteraria e teologica, e cercando di interessare gli altri studenti ai suoi Esercizi spirituali. In questo periodo progettò di fondare un nuovo ordine religioso che non si dedicasse, come gli altri alla preghiera e alla santificazione dei suoi componenti, ma, libero da ogni impaccio di regole claustrali, esercitasse praticamente il cristianesimo, servendo ai grandi scopi della Chiesa. Compagnia di Gesù Gesuiti
compagnia di Gesù Ordine dei Gesuiti La fondazione della Compagnia di Gesù, il 3 settembre 1539 Paolo III approvò oralmente la Formula instituti di Ignazio. Il 15 agosto del 1534, Ignazio e altri sei studenti Pierre Favre (francese), Francesco Saverio, Diego Laínez, Alfonso Salmerón, Nicolás Bobadilla (spagnoli), e Simão Rodrigues (portoghese) si incontrarono a Montmartre, vicino a Parigi, legandosi reciprocamente con un voto di povertà, castità e obbedienza e fondando un ordine a carattere internazionale chiamato con un termine d'origine militare la Compagnia di Gesù, allo scopo di eseguire lavoro missionario e di ospitalità a Gerusalemme o andare incondizionatamente in qualsiasi luogo il Papa avesse ordinato loro. Compare in quest'occasione, sia pure marginalmente, un quarto voto che si aggiunge ai soliti tre monacali: quello della assoluta obbedienza al papa che richiama il valore militare della disciplina. Nel 1537 Ignazio e i suoi seguaci si recarono in Italia per ottenere l'approvazione papale per il loro ordine religioso. Papa Paolo III li lodò e consentì loro di ricevere l'ordinazione sacerdotale che ottennero a Venezia dal vescovo di Arbe (ora Rab, in Croazia) il 24 giugno. Si dedicarono alla preghiera e ai lavori di carità in Italia, anche perché il nuovo conflitto tra l'imperatore, Venezia, il Papa e l'Impero Ottomano rendeva impossibile qualsiasi viaggio a Gerusalemme. Con Faber e Lainez, Ignazio si diresse a Roma nell'ottobre del 1538, per far approvare dal Papa la costituzione del nuovo ordine che ricorda in ogni sua linea il passato militare del suo fondatore, tanto che si può caratterizzarla come una gerarchia di ufficiali retta da un generale con poteri illimitati. Una congregazione di cardinali si dimostrò favorevole al testo preparato da Ignazio e papa Paolo III confermò l'ordine con la bolla papale Regimini militantis ecclesiae (27 settembre 1540), ma limitò il numero dei suoi membri a sessanta. Una limitazione che venne rimossa con una successiva bolla, la Iniunctum nobis, del 14 marzo 1543. L'ultima e definitiva approvazione della Compagnia di Gesù fu data nel 1550 con la bolla Exposcit debitum di papa Giulio III. Superiore Generale dei Gesuiti, L'emblema dell'ordine è un disco raggiante e fiammeggiante caricato dalle lettere IHS, il monogramma di Gesù. La lettera H è sormontata da una croce; in punta, i tre chiodi della Passione. Ignazio, eletto come primo generale della Compagnia di Gesù, inviò i suoi compagni come missionari in giro per tutto il mondo per creare scuole, istituti, collegi e seminari, penetrando attraverso la predica, la confessione e l'istruzione in tutti gli strati sociali. Spesso i sovrani dell'epoca ebbero come confessori e padri spirituali i padri gesuiti che ebbero modo così di influire sulle condotte politiche dei governi. Nel 1548 vennero stampati per la prima volta gli Esercizi spirituali, per i quali venne condotto davanti al tribunale dell'Inquisizione, per poi essere rilasciato. Sempre nel 1548, Ignazio fondò a Messina il primo Collegio dei Gesuiti al mondo, il famoso Primum ac Prototypum Collegium ovvero Messanense Collegium Prototypum Societatis, prototipo di tutti gli altri collegi di insegnamento che i gesuiti fonderanno con successo nel mondo facendo dell'insegnamento la marca distintiva dell'ordine. Ignazio scrisse le Costituzioni gesuite, adottate nel 1554, che creavano un'organizzazione monarchica e spingevano per un'abnegazione e un'obbedienza assoluta al Papa e ai superiori. La regola di Ignazio diventò il motto non ufficiale dei gesuiti: Ad Maiorem Dei Gloriam. I gesuiti hanno dato un apporto determinante al successo della Controriforma, i Gesuiti, diverranno i custodi della dottrina. Tra il 1553 e il 1555, Ignazio dettò al suo segretario, padre Gonçalves da Câmara, la storia della sua vita. Questa autobiografia, essenziale per la comprensione dei suoi Esercizi spirituali, rimase però segreta per oltre 150 anni negli archivi dell'ordine, fino a che il testo non venne pubblicato negli Acta Sanctorum. Ignazio che soffriva di una acuta colecistopatia, la sera del 30 luglio del 1556 sentì prossima la morte e chiese i conforti religiosi e la benedizione del Papa ma il suo segretario rimandò la soddisfazione del suo desiderio al mattino dopo, e quindi, Ignazio morì senza ricevere i sacramenti, morì il 31 luglio 1556, all’età di 65 anni. Venne sepolto il 1º agosto nella chiesa di Santa Maria della Strada a Roma. Venne canonizzato il 12 marzo 1622. Il 23 luglio 1637 il suo corpo fu collocato in un'urna di bronzo dorato, nella Cappella di Sant'Ignazio della Chiesa del Gesù in Roma. La statua del Santo, in argento, realizzata da Pierre Legros. La festa religiosa viene celebrata il 31 luglio, giorno della sua morte. Costituzioni dell'ordine Gesuita, completate appena prima della sua morte, Ignazio descrive la Ratio atque institutio studiorum, che rimarrà invariata fino ai giorni d'oggi. In questo testo vengono descritti i principi fondamentali dell'organizzazione delle scuole, delle classi, dei contenuti e della didattica. Grazie a questa organizzazione, la crescente importanza politica e l'altissima qualità della preparazione culturale portò i collegi gesuiti al successo, tanto da ospitare intellettuali dello stampo di Cartesio e Voltaire. Le scuole, chiuse nel 1773 dal papa Clemente XIV, verranno poi riaperte durante l'età della Restaurazione quando, dotate di una nuova "Ratio", ritorneranno in auge. Gli esercizi spirituali di Ignazio di Loyola, lo stesso Ignazio scrive nell'introduzione dell'opera quale sia il fine degli esercizi spirituali: con Esercizi spirituali si intende ogni modo di esaminare la coscienza, meditare, contemplare, pregare vocalmente e mentalmente e altre operazioni spirituali. Come, infatti, il camminare e il correre sono esercizi corporali, così si chiamano esercizi spirituali tutti i modi di disporre l'anima a liberarsi di tutti gli affetti disordinati e, una volta eliminati, a cercare e trovare la volontà divina nell'organizzazione della propria vita per la salvezza dell'anima. Gli Esercizi spirituali non sono «un libro scritto per essere letto» - scrive Federico Rossi di Marignano nella sua biografia di Carlo Borromeo, ma appartengono a quel genere di cose che si possono capire solo sperimentandole.Nei primi giorni di distacco dalle cose del mondo, necessario per ritrovare se stessi, gli Esercizi invitano l'esercitante a cercare di capire per quale fine abbia ricevuto esistenza e vita dal Creatore, in altri termini che cosa Dio si aspetta ch'egli faccia di buono nella vita. Una volta presa coscienza del perché della sua nascita, all'esercitante verrà spontaneo mettersi avanti agli occhi stesa e spiegata la sua vit scorrendola tutta. Scoprirà allora tutte le deviazioni che, aderendo consapevolmente o inconsapevolmente ai moti ingannevoli dell'anima.A quel punto dovrà superare l'ostacolo più difficile tra quelli che una persona è chiamata a superare durante la vita: cambiare, mutare, rinnovarsi. Nessun uomo tuttavia può riuscire a conquistare la pace interiore e affrontare il difficile cammino della vita inventandosi ogni cosa da solo. Ogni uomo solitamente progredisce o regredisce imitando l'esempio positivo o negativo di altri uomini.(tratto da wikipedia) Simbolo Compagnia di Gesù Simbolo della Compagnia di Gesù ordine dei Gesuiti: L'emblema dell'ordine: un disco raggiante e fiammeggiante caricato dalle lettere IHS, il monogramma di Gesù. La lettera H è sormontata da una croce; in punta, i tre chiodi della Passione. Papa Paolo III e il suo pontificato Papa Paolo III e l’ordine dei Gesuiti, a Viterbo, Chiesa Sant’Ignazio a piazza Mario Fani. Alessandro Farnese nacque a Canino 1468 e morì a Roma 1549. Fu eletto Papa dal 1534, il suo pontificato fu segnato soprattutto dal contrasto verso il protestantesimo. Approvò l'ordine dei gesuiti, costituì la Congregazione del Sant'uffizio, Inquisizione romana, 1542 e infine, nel dicembre 1545, convocò il concilio di Trento. Fu inoltre grande mecenate e incline al nepotismo. Da principio pensava di avviarsi alla carriera diplomatica e andò a Firenze per istruirsi nella corte del Magnifico, ma per volere della madre abbracciò invece la carriera ecclesiastica e fu successivamente protonotario apostolico (1491), tesoriere generale (1492), cardinal diacono (1493), legato del Patrimonio (1494), vescovo di Corneto e Montefiascone (1499), legato nella Marca d'Ancona (1502), vescovo di Parma (1509), di Tuscolo (1513), di Benevento (1514), di Ostia (1524); papa dal 1534. Fu un uomo molto colto, e la sua cultura si formo nella Firenze del Rinascimento, la sua elezione a Papa fu favorita dalla sua indipendenza rispetto alle due potenze imperiali che allora si contendevano il predominio, Francia e Impero, ed una volta eletto come pontefice cercò di conciliare; ai suoi seri sforzi di riforma fin dal vescovado di Parma, alla grande influenza goduta durante il pontificato di Clemente VII. Il primo frutto della sua politica di neutralità tra Francia e Impero fu la conclusione della tregua di Nizza (1538); opera sua, benché fosse escluso dalla conclusione, fu la successiva pace di Crépy (1544). I rapporti con gli altri stati europei e italiani furono in funzione della politica generale di pacificazione e neutralità e dell'indirizzo di riforma e di reazione contro il protestantesimo impresso al pontificato. Per la politica nepotistica (in favore dei quattro figli: Costanza, Pier Luigi, Paolo, Ranuccio, avuti prima dell'imposizione degli ordini sacri), fu in contrasto con i Della Rovere per Camerino e compì la famosa infeudazione a Pier Luigi di Parma e Piacenza, oltre le nomine a cardinali dei giovanissimi nipoti, Alessandro e Ranuccio Farnese, e Guido Ascanio Sforza. Per molto tempo l'essere stato il papa forse più gravemente incline al nepotismo mise in ombra le sue qualità politiche, di mecenate, di iniziatore della Controriforma alla quale dedicò gran parte della sua attività. Fin dai primi giorni del pontificato risolse di convocare un concilio generale (1534), che però fu rimandato per la difficile situazione in Germania e in Italia; fu poi convocato a Mantova per il maggio 1537, quindi a Vicenza (dapprima per il novembre 1537, poi per il maggio 1538, quindi per la Pasqua del 1539 e da ultimo sospeso) e infine, dopo i tentativi di accordo fra cattolici e protestanti attraverso i «colloqui» di Worms (1540-41) e di Ratisbona (1541), tutti falliti nonostante le grandi speranze, a Trento per il novembre 1542; di nuovo sospeso e riconvocato per il marzo 1545, fu finalmente aperto il 13 dicembre di quell'anno in quest'ultima città, ormai con carattere non più conciliativo, ma di aperta azione antiprotestante. Questa azione fu accompagnata dall'organizzazione dell'Inquisizione romana, rafforzata e resa indipendente dalle autorità locali tanto laiche quanto ecclesiastiche, con la bolla Licet ab initio (1542), che segna l'inizio della Controriforma. Degno di menzione è, inoltre, il riconoscimento d'un nuovo ordine religioso, quale fu quello dei gesuiti (27 settembre 1540). Di pari passo con il concilio doveva procedere la riforma interna della Chiesa, che Paolo III agevolò creando cardinali a essa favorevoli, come G. Contarini, G. P. Carafa, R. Pole, G. Morone, I. Sadoleto. Dal 1534 aveva nominato due commissioni triunvirali, poi una quadrunvirale per la riforma generale e una duodecinvirale per la riforma degli uffici, i cui progetti e i cui studi servirono di base alle riforme ulteriori. Fu gran mecenate, dette grandioso impulso all'edilizia di Roma, e protesse eruditi e letterati; a lui si deve la nomina di P. Bembo a cardinale. Tratto da : https://www.treccani.it/enciclopedia/paolo-iii-papa/ Mario Fani Mario Fani , fondatore della Gioventù Cattolica, nasce a Viterbo il 23 ottobre 1845 muore a Livorno, il 4 ottobre 1869 a soli 24 anni, è stato un politico italiano, protagonista del movimento cattolico nazionale. La famiglia nobile viterbese, lo fa studiare a Roma presso i Benedettini della Basilica di San Paolo fuori le mura. Qui maturò il progetto di fondare una associazione di giovani cattolici, il 23 giugno 1867 si incontra con Giovanni Acquaderni per fissare il programma della Società della Gioventù Cattolica. Nel 1868 fonda a Viterbo uno dei primi circoli: il “Santa Rosa” insieme al fratello Fabio, ad Alessandro Medichini, a Roberto Gradari e Scipione Lucchesi, il 6 marzo, ci sarà la prima adunanza del Circolo Santa Rosa, dedicato alla patrona di Viterbo. Il Circolo intitolato alla patrona di Viterbo fu il primo in Italia ad ottenere la “patente”, cioè il riconoscimento di Società della Gioventù Cattolica Italiana; ciò avvenne nel maggio del 1868, le prime riunioni si tennero in casa di Mario Fani. Tra le iniziative di quei giovani ricordiamo: la pubblicazione dell’opuscolo intitolato “La Rosa. Strenna viterbese“, in cui si illustravano le antiche gesta della città accanto a vicende attuali, racconti morali, preghiere, festività, racconti sui santi; la raccolta dell’obolo di S.Pietro, i pellegrinaggi, la gestione di una biblioteca circolante (presso il palazzo Chigi), le scuole serali (la prima in seminario). Per iniziativa del Circolo sorsero la Società per gli interessi cattolici e la Società cattolica operaia (1872) . Nel 1887 si tenne un’Accademia per celebrare il giubileo sacerdotale di Leone XIII e da allora sorse una sezione filodrammatica. Dal 1891 fu creato un comitato per la distribuzione ai poveri dei corredi usati. Sulla spinta della Rerum Novarum nel 1893 il Circolo inaugurò una sezione operaia (con la collaborazione di Pietro La Fontaine futuro Patriarca di Venezia), uno dei santi sacerdoti Viterbesi di quegli anni. Nel 1898 fu istituito il Segretariato del popolo per aiutare i poveri in ogni atto della vita morale, civile e sociale: raccogliere le richieste e trovare collegialmente una soluzione a questioni legali e pratiche assistenziali: un centro di ascolto ante litteram. Tornando alla vita di Mario Fani e alle sue iniziative, Papa Pio IX, il 2 maggio 1868 indirizza ai diletti figli il conte Giovanni Acquaderni ed al Superiore Consiglio della Società della Gioventù Cattolica, il Breve Dum Filii Belial e ne ufficializza la costituzione. Se fino ad allora i cattolici erano impegnati nelle opere di misericordia materiale, occorreva da allora in poi coinvolgerli in quelle di misericordia spirituale. Che proseguisse l’attività delle Società di San Vincenzo (la più antica aggregazione di laici nella Chiesa) ma che si costituissero anche delle altre Società per contrastare le povertà di natura culturale. Questo il nocciolo dell’ispirazione di Mario Fani. Luoghi di incontro per meditare, per condividere il servizio, per crescere nel dono di sé a Dio e agli altri. “Preghiera, azione, sacrificio”: questo il motto che colorirà l’esperienza di Gioventù Cattolica Il periodo storico in cui visse Mario Fani tra il 1845 ed il 1869 era pieno di incognite e di nuovi fermenti. Anticlericalismo e massoneria erano diffusi in tutta Europa, in Italia lo spirito del Risorgimento mise in crisi non solo la certezza storica dello Stato della Chiesa ma anche la coscienza religiosa di molti cattolici divisi tra Patria e Fede. Mario Fani reagì cercando l’essenziale della propria fede e forme concrete per alimentarla, per condividerla, per testimoniarla e per questo, aggregò sulle sue idee altri giovani. Nel gennaio del 1867 i garibaldini conquistano Viterbo e Mario Fani, per difenderla, si unì agli Zuavi pontifici. Un mese dopo il padre decise di mandarlo a Bologna, da una zia, per finire gli studi e qui Mario Fani stringe rapporti con Giovanni Acquaderni ed un gruppo di amici. Un mese dopo Mario Fani si recò a Bologna da una zia e in questa occasione stringe amicizia con Giovanni Acquaderni e il suo gruppo. Insieme a loro, tra il febbraio e il giugno 1867, elaborò la carta fondante della Società della Gioventù Cattolica; il 18 settembre di quello stesso anno la proposta poteva diffondersi su scala nazionale e dar vita ad un organismo di collegamento che nel volgere di un paio d’anni poté rappresentare i circoli diffusi in varie città della Lombardia, dell’Emilia, della Toscana, della Liguria. Fu proprio Mario Fani a insistere perché la Società si concepisse “italiana”, e con una sua accalorata lettera raccomandò che questo aggettivo comparisse nella denominazione ufficiale. Insieme tra il febbraio ed il giugno 1867 elaborano la carta fondante della Società della Gioventù Cattolica, a tale scopo dichiarò : “Alla carità dei poveri pensano le conferenze del gran santo De’ Paoli; noi dobbiamo pensare alla carità verso i giovani, che dalle audacie della rivoluzione si trovano impediti perfino di mostrarsi cristiani: oppure vengono illusi da essa, addormentati, e poi tratti a perdizione da quell’empia setta della massoneria. Con l’aiuto della Madonna Santa; tentiamo di mettere insieme una società della Gioventù Cattolica d’Italia“.Il 18 settembre di quello stesso anno la proposta si diffonde su scala nazionale e dà vita ad un organismo di collegamento, il Consiglio Superiore, con sede a Bologna; Mario Fani insistette affinchè la società fosse concepita “Italiana”. Dopo un anno si formarono 12 circoli; nel 1874 se ne contavano 72 sparsi in tutta Italia. L’idea che i cattolici si impegnassero non solo nelle opere di misericordia materiale, ma anche in quelle spirituali per contrastare le povertà di natura culturale viene chiarita nel programma e nello statuto della Società della Gioventù Cattolica, e si compendia nel motto Preghiera, Azione e Sacrificio, che colorirà l’esperienza della Gioventù Cattolica. La sostanza dell’ispirazione di Fani è: luoghi di incontro per meditare, per condividere il servizio, per crescere nel dono di sé a Dio ed agli altri. In poco tempo sorgono circoli in tutta la Penisola e Mario si prodiga per accrescerli. Egli dà la massima importanza alla stampa ed insiste presso il Consiglio Superiore perché si adotti un giornale come organo della società. Acquaderni gli comunica la scelta del periodico: “L’eco della gioventù.” Altro punto fermo di Fani è l’amore al Papa. Il lavoro diventa sempre maggiore e la salute non troppo stabile. Nel luglio del 1869 si reca con la famiglia a Livorno per ritemprare le forze, ma un atto di estremo altruismo e generosità gli sarà fatale. Un giorno, vedendo un giovane in procinto di annegare, si getta in suo aiuto e lo salva ma la sua salute ne risentì talmente che il 3 agosto dovette ricoverarsi in ospedale ed in poco tempo per complicazioni polmonari morì serenamente il 4 ottobre 1869 a soli 24 anni non ancora compiuti. Gli restò la preghiera e la parola per esprimere il rammarico di “non poter fare tanto, tanto per la Chiesa” ma anche per affidare il testimone a chi gli stava intorno “Bisogna agire!“. Per suo volere è sepolto a Viterbo. La salma il 1 dicembre 1869 venne inizialmente tumulata nella cappella di famiglia nella Chiesa di S. Teresa dei Carmelitani, in piazza Fontana Grande. Alcuni anni dopo quando la Chiesa fu sconsacrata per essere adibita a Corte d’Appello, il feretro venne traslato nella cappella Fani al cimitero cittadino di San Lazzaro. Nel 1952 il centro Diocesano di Viterbo della Gioventù Italiana di Azione Cattolica (GIAC) decise di collocare i resti di Fani nella Chiesa di Santa Rosa, dove egli era solito pregare e da dove, dopo una notte di preghiera, uscì con il proposito “bisogna agire” ed ebbe l’ispirazione della Società della Gioventù Cattolica Italiana. La collocazione della salma di Mario Fani è nella navata destra della Basilica, ed avvenne il 6 settembre 1952 in coincidenza con le celebrazioni del VII centenario della morte di Santa Rosa. Tenne la Commemorazione l’Onorevole Raffaele Jervolino, già Presidente Centrale GIAC. Il giorno seguente ci fu un convegno interregionale della GIAC. I giovani si raccolsero in Piazza del Comune dove parlarono il prof. Luigi Gedda, Presidente Generale dell’ACI ed il prof. Carlo Carretto Presidente Centrale GIAC. Il 2 maggio 1953, nell’ottantacinquesimo anno dell’Associazione, sulla tomba di Fani fu posta una lapide con la sua effige in bronzo e la frase di Pio XII: vi si legge : “Nel lontano 1968 in una notte di preghiera nella Chiesa di Santa Rosa a Viterbo spuntò dal cuore di Mario Fani il primo fra i rami che oggi potrebbero meglio chiamarsi la prima radice del robusto tronco dell’Azione Cattolica unitaria“.Nella Basilica di Santa Rosa ci sono altre lapidi che ricordano il 25°, il 50°,ed il 75° dell’Azione Cattolica Italiana.Il 7 marzo 2008, in occasione delle celebrazioni nazionali per 140° anniversario dell’Associazione, é stata aggiunta un’altra lapide ricordo. A Roma gli è stata dedicata una via vicino alla Camilluccia, nota per essere stata teatro, il 16 marzo 1978, del sequestro di Aldo Moro e del massacro della sua scorta. Famiglia Fani Famiglia Fani, originaria di Tuscania secoli XVI e XX, Presente a Tuscania dalla metà del sec. XVI, ebbe tra i suoi esponenti Sebastiano e Paolo Vittorio, che alla metà del secolo fu nominato nel consiglio cittadino. La famiglia acquisì vaste tenute destinate a grano nei pressi di Corneto, e successivamente effettuò diversi investimenti immobiliari, sia a Tuscania che a Viterbo e a Roma. In questa città erano già presenti e affermati nel corso del XVI secolo dato che i Fani erano imparentati con alcune delle più importanti famiglie dell’aristocrazia romana e Mario aveva acquistato una serie di edifici all’Aracoeli che farà ristrutturare da Giacomo Della Porta e che saranno venduti poi a Bartolomeo Ruspoli nel 1632. A metà Cinquecento Sebastiano e Paolo Vittorio Fani erano stati ascritti all’Ordine del Giglio, aristocratica compagnia che sosteneva i Farnese. A Viterbo i Fani erano parte del patriziato viterbese fin dal 1540 e in quegli anni Sebastiano, in seconde nozze, aveva sposato Diana Loddi di Viterbo. Il figlio Paolo Vittorio, dopo la metà del secolo, aveva acquistato diverse tenute nel territorio tra Tuscania e Montalto ed era divenuto membro del consiglio della Comunità. Nel 1564 era avvenuta una divisione dei beni tra i fratelli Girolamo, Paolo Vittorio e Mario, questi già attivo sulla piazza di Roma. Dall’inizio del 1600 gli interessi della famiglia si concentrano ancora di più su Viterbo: nel 1606 i Fani hanno l’appalto della panetteria, l’anno prima, nel 1605, avevano ottenuto l’affitto di diverse tenute della Diocesi di Viterbo anche nel territorio di Tuscania, nel 1622 uno dei Fani era tra i Conservatori di Viterbo, così pure nel 1683 e nel 1687. Paolo Vittorio, figlio di Gabriele e di Girolama Spandesi, aveva ottenuto in donazione da Adriana de Antiquis, sua parente, il palazzo Especo y Vera, a via Cavour a Viterbo, che le era stato lasciato dal figlio nel 1638. Un Vincenzo era entrato tra i Domenicani e diventato influente presso la corte di Alessandro VII che lo incarica della revisione dell’Indice di libri proibiti e lo nomina Segretario della Congregazione dell’Indice. Il ramo dei Fani rimasto a Tuscania continuava ad esercitare ruoli importanti nella vita della città anche in relazione al fatto d’essere grandi proprietari terrieri e produttori di grano che serviva sia a Tuscania che a Viterbo che a Roma. A Tuscania troviamo i Fani munifici donatori nei confronti delle locali istituzioni ecclesiastiche e poi gonfalonieri della Comunità nel 1639, nel 1644 e nel 1648. Un Vincenzo, reintegrato nella nobiltà viterbese tra fine Seicento e Settecento, nel 1709 era amministratore dell’Ospedale Grande degli Infermi a Viterbo e conservatore nel governo della Città come il figlio Tommaso che fu ripetutamente magistrato del Comune mentre un altro figlio Vincenzo si dedicò agli studi ecclesiastici divenendo abate e cappellano di un altare di giuspatronato nella chiesa cattedrale di Tuscania.Nel XVIII secolo, al momento della redazione del catasto rustico voluto da Pio VI, il ramo dei Fani di Tuscania era il maggior latifondista laico della città possedendo oltre 1000 rubbia di terreno (contro i 1900 della Comunità e i 1450 della Mensa vescovile). Un secolo più tardi, passati indenni dopo gli sconvolgimenti del periodo francese e le prime riforme agrarie, i Fani a Tuscania erano tra i maggiori latifondisti insieme con i Bruschi-Falgari-Quaglia di Tarquinia, il principe Boncompagni, il marchese Lavaggi e il marchese Ssacchetti. Nel primo Ottocento un Tommaso di Tobia fu gentiluomo di Camera di Carlo Alberto di Sardegna e sposò la principessa Eleonora Spada che divenne in seguito dama di compagnia della regina Maria Cristina. Un figlio di Tommaso, Vincenzo, si laureò in diritto canonico e civile e fu uomo colto e di profonda fede cristiana; sposò Elmira Misciatelli avendone tre figli tra i quali Mario Fani fondatore del Circolo Santa Rosa da Viterbo che dette origine alla Società della Gioventù Cattolica Italiana. Un nipote di Mario fu Vincenzo che fu cavaliere di Malta, Cameriere segreto di Spada e Cappa e aderì all’Associazione Nazionalista Italiana e successivamente al movimento futurista pubblicando diverse opere. La famiglia è ancora presente a Viterbo nel Palazzo di Via Garibaldi. Stemma : Arme: d’azzurro alla fascia accompagnata in capo da un giglio e in punta da un tronco di colonna, il tutto d’argento. Tratto dalla Scheda di Simona Sperindei – Ibimus; integrazione di Luciano Osbat-Cersa https://www.gentedituscia.it/fani-famiglia/ Chiesa di Sant'Ignazio Fotografie piazza Mario Fani Viterbo centro storico Chiesa di Sant'Ignazio, Piazza Mario Fani,Via Aurelio Saffi, Viterbo Stemma Chiesa di Sant'Ignazio piazza Mario Fani Viterbo centro storico Stemma Chiesa di Sant'Ignazio, Piazza Mario Fani,Via Aurelio Saffi, Viterbo Stemma Chiesa Sant'Ignazio piazza Mario Fani Viterbo Stemma Chiesa Sant'Ignazio - via Saffi, - Chiese di Viterbo centro, Viterbo Scalinata Chiesa di Sant'Ignazio piazza Mario Fani Viterbo centro storico Scalinata Chiesa di Sant'Ignazio, Piazza Mario Fani,Via Aurelio Saffi, Scalinata Chiesa di Sant'Ignazio, Piazza Mario Fani,Via Aurelio Saffi, Viterbo Porta laterale via del Collegio Chiesa Sant'Ignazio piazza Mario Fani Viterbo Porta laterale via del Collegio Chiesa Sant'Ignazio piazza Mario Fani - Chiese di Viterbo centro Scritta Chiesa Sant'Ignazio piazza Mario Fani Viterbo Scritta Chiesa di Sant'Ignazio, Piazza Mario Fani,Via Aurelio Saffi, Viterbo - Stemmi a Viterbo Scritta al frontone della Chiesa di Sant'Ignazio piazza Mario Fani Viterbo Scritta frontone chiesa Sant'Ignazio Viterbo - Stemmi a Viterbo Campanile Chiesa Sant'Ignazio piazza Mario Fani Viterbo centro storico Campanile Chiesa di Sant'Ignazio, Piazza Mario Fani,Via Aurelio Saffi, Viterbo Sant'Ignazio di Loyola vita opere storia Sant'Ignazio dI Loyola, vita opere e storia - Santi vita opere storia Interno Chiesa Sant'Ignazio piazza Mario Fani Viterbo Interno chiesa di Sant'Ignazio, Piazza Mario Fani, Viterbo - Chiese di Viterbo centro Interno chiesa di Sant'Ignazio, Piazza Mario Fani, Viterbo - Chiese di Viterbo centro Interno chiesa di Sant'Ignazio, Piazza Mario Fani, Viterbo - Chiese di Viterbo centro Interno chiesa di Sant'Ignazio, Piazza Mario Fani, Viterbo - Chiese di Viterbo centro Interno chiesa di Sant'Ignazio, Piazza Mario Fani, Viterbo - Chiese di Viterbo centro Interno chiesa di Sant'Ignazio, Piazza Mario Fani, Viterbo - Chiese di Viterbo centro Interno chiesa di Sant'Ignazio, Piazza Mario Fani, Viterbo - Chiese di Viterbo centro Interno chiesa di Sant'Ignazio, Piazza Mario Fani, Viterbo - Chiese di Viterbo centro Interno chiesa di Sant'Ignazio, Piazza Mario Fani, Viterbo - Chiese di Viterbo centro Interno chiesa di Sant'Ignazio, Piazza Mario Fani, Viterbo - Chiese di Viterbo centro Piazza Mario Fani - Via Saffi Da vedere a via Saffi Viterbo
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