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Isola Tiberina Roma

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Porto Tiberino
Tempio di Esculapio scomparso
Chiesa S. Giovanni Calibita
Chiostro S. Giovanni Calibita
Campanile S. Giovanni Calibita
Ospedale Fatebenefratelli
Cortile ospedale Fatebenefratelli
Fontana cortile Fatebenefratelli
Museo strumenti Medici
Obelisco Isola Tiberina scomparso
Colonna Isola Tiberina scomparsa
Colonna Guglia Jacometti
Tempio di Faunus
Tempio di Veiove
Templi e Sacelli Isola Tiberina
Chiesa San Bartolomeo all'isola
Campanile S. Bartolomeo all'isola
Pozzo S. Bartolomeo all'Isola
Monastero S. Bartolomeo all'Isola
Oratorio Sacconi Rossi
Ospedale Israelitico
Palazzi Castello Pierleoni Caetani
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Testa della Pulzella
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Erme ponte Quattro Capi
Edicola Madonna della Lampada
Lapidi a ponte Cestio
Lapidi a Ponte Fabricio
Lapidi portico S. Bartolomeo
Molini Isola Tiberina
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Isola Tiberina Roma

Isola Tiberina, fa parte del rione Ripa, Roma,  è bassa e allungata come un barcone da carico, lunga 300 metri e larga 80 metri, in età imperiale romana si accentuò il carattere ospedaliero del isola Tiberina, qui venivano a morire gli schiavi ed i malati inguaribili, e l'imperatore Claudio decretò che i sopravvissuti potessero riacquistare la libertà. L'Isola Tiberina vista da ponte Garibaldi ha la forma di una nave con la poppa protesa verso la foce, le storie dell'isola si perdono nella leggenda, una antica tradizione come racconta Tito Livio vuole che nel 229 a.C. qui si sia rifugiato il serpente della medicina dedicato al dio greco Esculapio, da cui la vocazione dell'isola a luogo per gli ammalati, e che qui vi si trovi una nave antica ed un tempio dedicato al dio, l'isola era infatti il luogo di quarantena per le persone malate e per questo fin dall'antichità qui vi era un tempio dedicato ad Esculapio, dio della medicina, rappresentato dal simbolo del serpente attorcigliato attorno ad un bastone, che si intravede ancora oggi nei resti dei blocchi in travertino che hanno la forma simile ad una nave posti sulla punta a valle dell'Isola; mentre un'altra leggenda racconta che l'isola Tiberina sia il risultato del grano del tiranno etrusco Tarquinio il Superbo che i romani, una volta spodestato si rifiutarono di mangiare e che gettato nel fiume abbia dato origine all'isola. Ma in realtà l'isola si è formata nei secoli con depositi alluvionali di sabbia, limo e ghiaia, e fu fin dal XV o XIV secolo a.C. il guado naturale tra una sponda e l'altra del Tevere, lungo quella via commerciale, già presente nella preistoria che collegava a pochi chilometri dal mare l'Etruria meridionale con i popoli latini e con la Campania. Proprio qui di fronte all'isola davanti alla sua sponda sinistra, sorgeva il porto Tiberino, che rimase sempre attivo anche se di minore importanza rispetto al porto dell'Emporium di Testaccio e al porto di Ripa Grande. L'isola si caratterizza per il complesso dell''Ospedale del Fatebenefratelli che rammenta l'antica vocazione di luogo di cura dell'isola Tiberina e che risale al 500; una leggenda racconta che nel 293 a.C. a causa di una grave pestilenza dei saggi salparono da Roma alla volta  di Epidauro in Grecia, per recarsi al tempio di Esculapio e qui consultare l'oracolo, venne dato loro, dai sacerdoti di Epidauro,  un serpente sacro propiziatore di salute, che venne imbarcato sulla triremi, ma il serpente, mentre la nave  risaliva il Tevere, nei pressi del centro di Roma, fuggì per rifugiarsi proprio sull'isola Tiberina, e fu proprio a seguito di questo evento che oltre al tempio dedicato al Dio Esculapio, vennero costruiti edifici adatti ad accogliere le persone malate. Fu nel I secolo a.C. che all'isola venne data la forma di una nave con la prua rivolta a valle. L'Isola Tiberina, aveva quindi la funzione, durante le gravi pestilenze, di luogo di quarantena per gli ammalati, in modo da evitare il contagio al resto della città di Roma, e sembra inoltre, che qui vi fosse una  fonte miracolosa, tutt'oggi ancora esistente in un pozzo nella chiesa di San Bartolomeo, che esiste ancora presso l'altare. Sembra che il luogo del tempio ad Esculapio coincida con il luogo ove oggi sorge la chiesa di San Bartolomeo. Gli ammalati venivano curati essenzialmente con l'acqua. In origine la forma dell'isola in nave triremi, era dovuta alla presenza della prua, della poppa e di un "albero maestro" rappresentato da un obelisco che oggi non c'è più e due frammenti sono conservati nel Museo Nazionale di Napoli, ed un terzo frammento a Monaco. C'era anche una colonna denominata "colonna infame" dove venivano nominate le persone che erano considerate dei banditi e dei miscredenti, questo uso rimase in vigore fino al 1870,  fino a quando la colonna fu spezzata da Bartolomeo Pinelli, un incisore di Trastevere che si adirò perchè avevano sbagliato la sua professione indicandolo come miniaturista. La colonna fu poi sostituita da Papa Pio IX nel 1869, e quella attuale che si trova davanti alla chiesa di San Bartolomeo è una Guglia opera di Ignazio Jacometti. Tra i vari nomi dell'Isola Tiberina figura anche quello di "Insula Lycaonia", perchè su ponte Cestio c'era una statua antropomorfa che rappresentava questa regione dove c'era il tempio di Esclulapio. Fu anche chiamata "isola sacra" sempre per la presenza del tempio,  "isola d'Esculapio",  ed anche "Isola di San Bartolomeo", "Isola dei due ponti". Prima della costruzione dei muraglioni e degli argini, per evitare che le piene del Tevere producessero danni, ai lati dell'isola c'erano dei molini posti su delle zattere che macinavano la farina per il pane dei romani, mulini che sfruttavano la corrente del Tevere  L'isola ha avuto un ruolo importante per l'espansione di Roma. Tutti i lati dell'Isola in antico erano rivestiti di travertino, oggi abbiamo solo una vaga idea di come possa essere stata l'isola, purtroppo del rivestimento originale oggi rimangono solo pochi frammenti, mentre non c'è più nulla sull'isola nè del tempio ad Esculapio nè dell'antico obelisco. La presenza dell'Isola Tiberina, a Roma, fu un elemento sostanziale per l'insediamento dei mercati di bestiame sulla riva sinistra del Tevere, in quanto era l'unico punto dopo Cores attuale Passo Corese, per un facile attraversamento del lungo tratto del Tevere, e questo spiega come i primi insediamenti sorsero sul colle Palatino, ed è proprio sull'isola Tiberina che sorsero i primi due ponti lignei per permettere l'attraversamento del Tevere, oggi vediamo l'antico ponte in muratura il ponte Fabricio, oggi chiamato ponte Quattrocapi,  che venne edificato nel 62 a.C. ed il ponte Cestio sicuramente edificato poco dopo. Precedenti ai due ponti in muratura vi erano quindi i due ponti in legno, e il ponte ancora più antico doveva essere il ponte Sublicio sotto il colle Aventino, in origine anche questo in legno. L'isola Tiberina ebbe un ruolo importante al tempo della monarchia Etrusco-Sabina-Latina. Come si formò l'isola ? Un'altra leggenda narra che quando la monarchia di Lucio Tarquinio detto il Superbo, venne spodestata, nel 509 a.C., da Bruto che tra le altre istanze lamentava come i cittadini romani da guerrieri si fossero ridotti ad operai e scalpellini, impiegati per fare i sedili di marmo al Circo Massimo, o ad edificare il Tempio di Giove o a  scavare le fogne della Cloaca Maxima per i Tarquinii, e fu proprio a causa di tali soprusi e di tanti sudori che i romani si convinsero ad abbattere la monarchia, e la leggenda narra che in quell'occasione a Tarquinio vennero sequestrati tutti i beni e si sa che tra questi gli appartenesse anche la vastissima pianura di Marte detta poi di Campo Marzio che teneva seminata a grano e che poi rivendeva ai romani, sembra che in quell'occasione, il popolo infuriato gettasse i covoni a fiume ed insieme ai detriti del Tevere diedero forma all'Isola Tiberina. E' chiaro che l'isola sia li da tempo immemorabile e che la leggenda dei covoni di grano è solo tale, il suolo dell'isola Tiberina è di origine tufacea e vulcanica, come i due vicini colle Palatino e colle Campidoglio, quello che sicuramente si può dire è che l'isola era stata fino ad allora il sicuro granaio dei Tarquini e dei proprietari terrieri di origine etrusca, tantè che sembra che l'isola fino al I secolo a.C. fosse quasi estranea alla città, e la   domanda è : come mai che si parla dell'isola Tiberina solo dalla cacciata dei Tarquini ? Perchè l'isola era da sempre servita agli Etruschi e poi usata come esclusivo e fortificato granaio dai Tarquini (Plutarco la ricorda come "isola sacra" ai Tarquinii), e fu per questa ragione che l'unico ponte ligneo fisso era quello di sinistra verso il Foro Boario, l'attuale Ponte Fabricio, mentre l'altro era levatoio, proprio per questo più a valle si rese poi necessaria la costruzione del ligneo ponte Sublicio per poter collegare le due sponde del Tevere, (questo avvalora la data di quando l'isola venne usata come granaio,ovvero, almeno dalla seconda metà dell'VIII secolo a.C. data in cui fu iniziato il ponte di legno Sublicio). E' probabile che l'isola avesse ancora un suo carattere di uso privato, anche nel 192 a.C. se il console Elio Lepido diede l'avvio alla costruzione di un grandioso ponte in pietra sul Tevere, sempre nei pressi dell'isola Tiberina, il vecchio ponte Emilio, l'attuale ponte Rotto, è probabile che questa costruzione fosse dovuta al fatto che l'isola Tiberina non era ancora a quella data di transito pubblico. Probabilmente sull'Isola Tiberina, oltre al tempio di Esculapio dovevano esserci altri templi dedicati a Giove Licaonio e a Fauno, un'altro dei motivi per cui l'isola fu detta Sacra. L'obelisco che era posto al centro dell'isola aveva la funzione di rappresentare l'albero maestro della nave, mentre i due ponti Cestio e Fabricio avevano la funzione di ormeggi.

Da vedere all'Isola Tiberina Roma

Tempio di Esculapio, scomparso, era all'isola Tiberina, rione Ripa, Roma, dove oggi sorge la chiesa di San Bartolomeo all'Isola, in questo tempio, accanto alla statua del dio greco della medicina, vi era una fossa nella quale erano custoditi i serpenti sacri alla medicina e che erano curati da sacerdoti. Intorno al tempio vi erano dei portici che offrivano il ricovero ai malati che erano sottoposti alla pratica dell'incubatio, che consisteva nel dormire e digiunare per alcuni giorni per purificarsi e nel raccontare ai sacerdoti i propri sogni che una volta interpretati permettevano ai sacerdoti di formulare una diagnosi e di dare una cura al malato, ed anche di prevedere il decorso della malattia. I portici del tempio che lo circondavano ricordavano l'Asklepieion di Epidauro. Alla fine del X secolo sulle rovine del tempio di Esculapio si insediava la chiesa di San Adalberto divenuta poi chiesa di San Bartolomeo all'Isola. Nel 1118 si instaurava uno xenodochio, annesso alla chiesa di San Giovanni Calibita. Nel 1033 con la bolla di papa Benedetto IX veniva ricordata la chiesa di Santa Maria Canto Fiume poi Santa Maria dell'Isola che si fuse con la chiesa di San Giovanni Calibita.

Chiesa di San Giovanni Calibita, isola Tiberina, rione Ripa, Roma,  la facciata della chiesa è inglobata ed annessa all'ospedale Fatebenefratelli, si trova di fronte alla torre Caetani detta anche torre della Pulzella, La prima notizia della chiesa si ha in una bolla del 1018 emanata da papa Benedetto VIII, nel 1281 Martino IV la eresse a parrocchia e Giacomo Molay, Gran Maestro dei Templari la affidò nel 1259 ad una badessa. Nel 1366 papa Urbano V trasferiva nella adiacente chiesa di Santa Maria Cantu Fluminis le suore Santucce che fusero le due chiesein una unica chiesa dedicata a San Giovanni Calibita. Poichè l'aera era continuamente minacciata dalle inondazioni, papa Gregorio XIII trasferì nel 1573 le monache alla chiesa di Sant'Anna de Funari, Due anni dopo la chiesa veniva rilevata dalla Confraternita dei Bolognesi del cui passaggio rimangono iscrizioni nella cripta. La chiesa venne poi ceduta nel 1584 all'Arciconfraternita di San Giovanni di Dio, morto nel 1550, dedita alla cura dei poveri, qui venne trasferito l'ospedale che in precedenza si trovava a piazza di Pietra. La chiesa nel frattempo ricevette anche le reliquie di San Giovanni Calibita, santo, vissuto nel V secolo, infatti a lui è dedicata la chiesa. San Giovanni vissuto nel V secolo, da giovane abbandonò la ricca e nobile casa paterna per andare a vivere come eremita in una umile capanna, dal greco kalybe, da cui l'appellativo della chiesa, facendosi riconoscere dalla madre solo poco prima di morire. Nel 1259, Giacomo di Molay, gran maestro dell'ordine dei templari, che era una potente istituzione di monaci combattenti, che reggeva la chiesa di San Giovanni Calibita, la cedettero ad una badessa, in quanto il Molay, aveva avuto il sentore che l'ordine dei templari stava per essere soppresso con la strage di tutti i suoi confratelli, strage che fu ordita da Filippo il Bello e dal pontefice di Roma. Nel 1584 la chiesa venne assegnata ai Fatebenefratelli che la ristrutturarono. La facciata della chiesa risale al 1711, ed è opera di Romano Carapecchia, e il campanile ha una foggia settecentesca che le fu restituita nel 1934. La facciata per la scansione della superficie dovuta al percorso delle paraste e le eleganti volute raccordate con il timpano ricorda lo stile di Domenico Fontana. Sulla sinistra vi è un dipinto ad affresco, che è copia di uno più antico conservato all'interno della chiesa, si tratta della cosi detta "Madonna della Lampada" che fu protagonista di eventi miracolosi, tra questi, quando finì sommersa come tutta l'Isola Tiberina dalla piena del Tevere del 1557, sembra che la lampada non si spense ma riemerse ancora accesa, un altro miracolo avvenne nel 1796 quando gli occhi della Madonna si riempirono di lacrime durante l'occupazione di Roma da parte delle truppe francesi di Napoleone. La madonna era detta anche della Mola per la vicinanza ai molini attraccati all'isola. L'interno della chiesa è ad una unica navata e nel soffitto è dipinta la Gloria di San Giovanni di Dio opera di Giaquinto nato nel 1703 e morto nel 1765. Al primo altare di destra si trova il dipinto della "Madonna della Lampada" dove la Madonna è accompagnata da due angeli opera del Cavalier d'Arpino nato nel 1568 e morto nel 1640. Sull'altro altare vi è la raffigurazione della "Morte di San Giovanni Calibita" e nel presbiterio opera di Giaquinto vi è il "Martirio dei Santissimi Porto, Ippolito, Ercolano e Taurino". Sull'altare maggiore vi è il prezioso paliotto del Settecento in madreperla e marmi policromi. Al di sopra una tela raffigurante la "Madonna con il Bambino Gesù" e "San Giovanni di Dio" opera di Gennaroli. Sempre del Giaquinto è l'opera che racconta "il Transito di Sant'Antonio Abate" che fu uno dei primi eremiti. Nella sacrestia vi è un armadio del Settecento ornato di specchi. Da vedere anche il chiostro della chiesa di San Giovanni Calibita. La chiesa è annessa all'Ospedale del Fatebenefratelli. Alcuni scavi intrapresi alla metà dell'Ottocento sotto la chiesa hanno portato alla luce reperti di un antico tempio romano.

Chiostro della chiesa di San Giovanni Calibita, rione Ripa, vi si accede da una porta all'interno della chiesa, che si trova all'Isola Tiberina, Roma, è decorato con le pitture che raccontano le "Storie della vita di San Giovanni Calibita", qui vi è una sala detta dell'Assunta affrescata da G.P. Schor nato nel 1615 e morto nel 1674, qui sull'altare maggiore c'è una "Flagellazione di Gesù" opera di M. Preti del 1640.

Campanile chiesa San Giovanni Calibita, Isola Tiberina, rione Ripa, Roma, restaurato tra il 1930 e il 1934 è in stile Settecentesco.

Ospedale Fatebenefratelli, isola Tiberina, rione Ripa, Roma, occupa gran parte dell'isola, ad esso è annessa la chiesa di San Giovanni Calibita, fu istituito nel 1549 allargandosi sul vecchio convento della chiesa di San Giovanni Calibita e sulle case adiacenti. Fu restaurato dal Carapecchia nel Settecento e completamente rifatto tra il 1930 e il 1934 da Bazzani, solo sul lato verso piazza San Bartolomeo all'isola ha conservato il suo antico aspetto settecentesco. Qui si apre anche la Farmacia che conserva una bella collezione di vasi antichi. Nel giardino si trovano alcuni reperti archeologici e tra questi una base con una dedica a Giove Dolicheno. Il nome dell'opedale deriva dalle invocazioni dei frati dell'ordine di Joao Cidate, noto come San Giovanni di Dio, che esortavano le persone al grido di "fate bene fratelli!". San Giovanni di Dio ebbe una determinante esperienza di fede durante la sua degenza in un ospedale di Granada, da questa conversione sviluppò anche una particolare sensibilità verso le sofferenze dei malati ricoverati in ospedale, che a quell'epoca erano stipati in 5 messi di traverso su un enorme letto, le cui lenuola venivano cambiate 3 volte l'anno, e per i quali il cibo e le visite mediche erano riservati solo a chi potevano permetterseli. Per cui i frati dell'ordine di San Giovanni di Dio, furono determinanti per cambiare la situazione del malati, restituendo loro la dignità necessaria. I loro degenti ebbero ognuno un proprio letto, ognuno una mensola dove poter mettere i propri oggetti personali, ebbero una visita medica quotidiana, in quanto molti frati erano anche medici, ebbero la loro cartella clinica e pasti giornalieri.  Tra i medici, si ricorda il frate medico dentista Giambattista Orsenigo che operò tra il 1867 e il 1903 il quale estraeva i denti con le dita e in un baleno senza dolore per i pazienti, tra i suoi pazienti si ricordano Carducci, Garibaldi, Menotti e Pietro Cossa e perfino Papa Leone XIII, il frate aveva l'abitudine di conservare i denti estratti e alla sua morte furono rinvenute tre cassapanche piene.

Cortile Ospedale Fatebenefratelli, isola Tiberina rione Ripa, Roma, è un cortile seicentesco al cui centro si trova una bella fontana.

Fontana cortile ospedale Fatebenefratelli, isola Tiberina, rione Ripa, Roma, la fontana quadrilobata è all'interno del cortile dell'ospedale Fatebenefratelli è ornata da quattro tartarughe.

Museo degli strumenti medici e chirurgici, si trova all'interno dell'Ospedale Fatebenefratelli, all'Isola Tiberina di Roma rione Ripa, .

Obelisco dell'Isola Tiberina, scomparso, rione Ripa, Roma, era sulla attuale piazza San Bartolomeo all'Isola Tiberina, era un obelisco di età romana, che rappresentava idealmente l'albero maestro della nave del'isola, durante il medioevo l'obelisco cadde e si ruppe in 3 pezzi, due frammenti furono ceduti a Parigi, dei quali poi uno fu ceduto a Monaco ed il terzo frammento si trova a Napoli. Al suo posto venne collocata una colonna ma si frantumò anche questa ed oggi c'è la Guglia Jacometti, una colonna a forma di guglia con una croce.

Colonna dell'Isola Tiberina, scomparsa, era sull'attuale piazza San Bartolomeo all'isola Tiberina, rione Ripa, Roma, detta "colonna infame", era sulla attuale piazza San Bartolomeo, e collocata al posto dell'obelisco che era crollato a terra,  la colonna era famosa, perchè qui il 24 Agosto,  festa di San Bartolomeo, venivano affissi per il pubblico ludibrio i nomi di quei cittadini romani che non avevano preso la comunione durante la Santa Pasqua, tra i nomi nel 1834 comparve anche quello dell'incisore Bartolomeo Pinelli il quale si offese perchè era stato indicato come miniatore e se ne lamentò con il prete della chiesa di San Bartolomeo. Questa colonna nel 1867 urtata da un carro si frantumò, al suo posto oggi si trova una guglia.

Colonna Guglia Jacometti dell'Isola Tiberina, si trova all'Isola Tiberina a piazza San Bartolomeo all'Isola, rione Ripa, Roma, è una sorta di monumento edicola a quattro facce sorreggente sulla guglia una Croce e ornato nel dado di base dalle statue dei santi Bartolomeo, San Francesco d'Assisi, San Paolino da Nola e San Giovanni di Dio, è opera di Jacometti del 1869 a ricordo del Concilio Vaticano in cui papa Pio IX affermò l'infallibilità papale alla vigilia della presa di Roma. In origine qui vi era un obelisco che rappresentava l'albero maestro dell'isola a forma di nave, il quale rimase qui fino al Cinquecento.

Tempio di Faunus, scomparso, era all'isola Tiberina, rione Ripa, Roma, ed era il luogo sacro di protezione per le partorienti. Edificato nel 194 a.C. si trovava sulla punta nord dell'isola, fu dedicato a Fauno da Domitio Enobarbo

Tempio di Veiove, scomparso, era all'isola Tiberina, rione Ripa, Roma,  era il tempio sacro ai giuramenti fu edificato insieme al tempio di Fauno.

Templi e sacelli all'Isola Tiberina, scomparsi, rione Ripa, Roma, un mosaico con una iscrizione sotto la chiesa di San Giovanni Calibita ricorda il luogo di un sacello dedicato a Iuppiter Iurarius, altre iscrizioni ricordano il culto di Semo Sancus che era una divinità sabina del colle Quirinale, e un altro sacello dedicato a Bellona Insulensis. Sempre sull'isola probabilmente vi era un sacello dedicato al dio Tiberino del quel però non si conoscono nè la cronologia nè l'ubicazione.

Chiesa di San Bartolomeo all'Isola, Isola Tiberina, rione Ripa, Roma, venne edificata dall'imperatore Ottone III sul luogo ove sorgeva il tempio di Esculapio, fu dedicata inizialmente a San Adalberto martire a Danzica nel 998, vescovo di Praga, le cui reliquie vennero portate a Roma dalla cattedrale di Griesen, insieme alle reliquie dei martiri San Paolo, Sant'Esuberanzio, San Marcello, San Sabino e san Bartolomeo Apostolo al quale la chiesa venne poi definitivamente consacrata. La prima memoria della chiesa risale al 1029, venne anche chiamata Chiesa di San Bartolomeo a Domo Ioanni Cayetani per la presenza dell'adiacente fortilizio. Nel 1113 sotto papa Pasquale II furono compiuti cospicui interventi che sono ricordati da una iscrizione sulla porta principale, altri restauri a seguito di una inondazione vennero effettuati nel 1180, la facciata venne adornata di mosaici, mentre nel 1284 venne fatto il pavimento in stile cosmatesco e venne anche collocato un ciborio sorretto da quattro colonne in porfido. Nel 1517 papa Leone X la elevava a titolo cardinalizio. La piena del 1557 trascinò con se l'ala destra della chiesa insieme ai mosaici e al ciborio, l'unico frammento superstite del Salvatore benedicente si conserva nella parte superiore della facciata, a causa di questo evento le reliquie per sicurezza vennero trasportate in Vaticano e la chiesa fu abbandonata fino ai restauri del 1583 voluti dal cardinale Santorio. Nel 1624 la chiesa venne rinnovata , altri restauri vennero attuati nel settecento. Durante il periodo Napoleonico, 1798 - 1799, la chiesa fu soggetta a manomissioni, nel 1829, vennero portate in Vaticano, nella Galleria degli Arazzi, le quattro colonne di porfido che sorreggevano il baldacchino dell'altare maggiore. L'interno della chiesa è stato restaurato nel 1852 da Papa Pio IX.  Oggi il complesso è un monastero francescano.  Come già detto, nei secoli la chiesa ha subito numerosi restauri. Si ricorda un crollo che la chiesa di San Bartolomeo all'Isola subì nel 1557 per una terribile piena del Tevere che trascinò con se anche l'antico ciborio medioevale, e fu in questa occasione che il papa decise di trasferire oltre alle colonne del ciborio anche le reliquie dei santi. La facciata è in stile barocco romano, con arcate, nicchie, paraste, volute e finestre nella parte superiore. Nel portico della chiesa vi sono varie lapidi. L'interno della chiesa è di tipo basilicale a tre navate divise da antiche colonne probabilmente dello scomparso Tempio di Esculapio,  il transetto e l'abside sono rialzati, in origine il pavimento era in stile cosmatesco e venne nel 1739 sostituito e rifatto così come lo vediamo oggi. Il soffitto è ligneo e a cassettoni e vi trova "l'Assunata, San Francesco che riceve le stimmate, San Bartolomeo che rifiuta di adorare le divinità dei pagani". Il soffitto venne inaugurato nel 1624 e restaurato nel 1865 sotto il pontificato di papa Pio IX. Nella prima cappella vi dono degli affreschi che raffigurano gli episodi della vita di "Santa Francesca Romana". La seconda cappella è ornata da pitture di Antonio Carracci, nato nel 1583 e morto nel 1618, che rappresentano "la vita di San Carlo Borromeo". Sia Santa Francesca Romana che San Carlo Borromeo dedicarono la loro vita alla assistenza dei malati con un evidente riferimento alla tradizione ospedaliera dell'isola. Nella terza cappella vi sono affreschi dedicati alla "vita di San Francesco d'Assisi", sull'altare vi è una tela  che rappresenta San Francesco insieme a San Bonaventura, entrambi francescani  che reggono la chiesa. Davanti ai gradini del transetto possiamo ammirare un puteale che è una delle massime testimonianze storiche e artistiche della chiesa, ricavato da una sezione del fusto di una antica colonna dell'XI secolo, presenta una serie di edicole divise da colonnine tortitli che rappresentano "l'Assunzione in cielo". Nelle edicole sono scolpiti a rilievo "San Bartolomeo e San Paolino da Nola, Gesù e l'imperatore Ottone III", imperatore che sul colle Aventino aveva eretto la propria dimora. Sulla pietra del puteale vi è una antica iscrizione che dice "lasciate venire alla fonte chi ha sete e trarvi un sorso di salute". Sulla bocca dello stesso puteale vi sono i segni della catena che veniva usata per far scendere il secchio all'interno del pozzo per prendervi l'acqua. Si crede che il puteale si trovi ne punto esatto ove un tempo sorgeva il tempio di Esculapio, e che fosse la fonte sacra al dio, ritenuta acqua miracolosa. Alla destra del transetto si apre la cappella degli Orsini ornata da due leoni e dagli affreschi di Martino Longhi con "Scene della vita della Madonna", nella parete di sinistra vi è conservata una palla di cannone considerata miracolosa in quanto non ferì i fedeli che era presenti in preghiera all'interno della chiesa, che fu sparata durante l'assedio dell'Isola da parte delle truppe francesi nel 1849. L'altare di questa cappella è detto del Sacramento e conserva le reliquie di Santa Teodora. L'altare maggiore venne donato alla chiesa da Pio IX in sostituzione del precedente danneggiato da una alluvione. Al di sotto si trova una fontana in porfido rosso. In questa chiesa sono conservate le reliquie di San Bartolomeo uno dei 12 apostoli morto martire, scorticato e decapitato, che è il santo dei conciatori di pelli. A destra dell'altre ci sono le tombe dei santi Adalberto e Paolino da Nola. L'abside della chiesa è ornato da affreschi  con le storie dell'ordine francescano e sulla tribuna è raffigurato il Martirio di San Bartolomeo opera di Manno del 1800. Nel catino absidale  vi raffigurato Gesù con i quattro Santi, alle pareti tele con Gesù tra i discepoli e la Predicazione di San Bartolomeo. A sinistra del transetto c'è la cappella di San Paolino le cui reliquie sono state riportate a Nola nel 1909 per volere di papa Pio X. La cappella appartiene alla congregazioni dei mugnai, nella volta è dipinta la Gloria di San Paolino.  Qui si trova anche una tela raffigurante la Madonna assunta con i Santi Paolino, Adalberto, Esuberanzio e Marcello. Nella navata di sinistra vi sono gli affreschi con la raffigurazione della Passione di Gesù opera di Antonio Carracci. La chiesa godeva del privilegio di immunità.

Campanile della chiesa di San Bartolomeo all'Isola, Isola Tiberina, rione Ripa, Roma, si trova sulla omonima piazza, la chiesa ha subito nel corso dei secoli vari rifacimenti. La torre campanaria risale al 1113 in stile romanico risalente al tempo di papa Pasquale II, caratterizzata da bifore e trifore.

Pozzo della chiesa di San Bartolomeo all'Isola, isola Tiberina, rione Ripa, Roma, si trova davanti ai gradini del transetto, dove possiamo ammirare un puteale che è una delle massime testimonianze storiche e artistiche della chiesa, ricavato da una sezione del fusto di una antica colonna dell'XI secolo, presenta una serie di edicole divise da colonnine tortitli che rappresentano "l'Assunzione in cielo". Nelle edicole sono scolpiti a rilievo "San Bartolomeo e San Paolino da Nola, Gesù e l'imperatore Ottone III", imperatore che sul colle Aventino aveva eretto la propria dimora. Sulla pietra del puteale vi è una antica iscrizione che dice "lasciate venire alla fonte chi ha sete e trarvi un sorso di salute". Sulla bocca dello stesso puteale vi sono i segni della catena che veniva usata per far scendere il secchio all'interno del pozzo per prendervi l'acqua. Si crede che il puteale si trovi ne punto esatto ove un tempo sorgeva il tempio di Esculapio, e che vi fosse la fonte sacra al dio, ritenuta acqua miracolosa.

Oratorio dei Sacconi Rossi, Isola Tiberina, Rione Ripa, Roma, è alla sinistra della chiesa di San Bartolomeo all'Isola e consiste in una cappella oratorio sotterranea è della confraternita che pregava per gli affogati nel Tevere e curava le loro esequie. Visibile attraverso le grate, se c'è un pò di luce, vi si intravede un ossario. La confraternita era famosa per le sacre rappresentazioni che gli adepti tenevano indossando dei camicioni rossi durante le cerimonie solenni.

Monastero San Bartolomeo all'Isola, Isola Tiberina, rione Ripa, Roma, all'interno del monastero vi è un giardino che contiene alcune sculture moderne opera di padre Andrea Martini, frate francescano, il monastero che era annesso alla chiesa di San Bartolomeo all'Isola venne trasformato in ospizio per gli ebrei vecchi, invalidi e poveri, che vivevano nel vicino ghetto ebraico di Roma, un'ala del convento aspetta di essere trasformata in museo dell'Isola Tiberina.

Ospedale Israelitico, Isola Tiberina, rione Ripa, Roma : le testimonianze delle prime presenze del popolo ebraico a Roma si fanno risalire al II secolo a.C., l'arrivo in massa degli ebrei a Roma è legato alle deportazioni di decine di migliaia di loro come schiavi ad opera  di Tito dopo la distruzione di Gerusalemme nel 70 d.C. La loro condizione si modificò nel tempo fino a permettere agli ebrei l'organizzazione di comunità libere ed indipendenti, sempre caratterizzate da un senso forte di identità e di distinzione dal resto della popolazione romana. La comunità ebraica romana si stanziò a ridosso del Tevere utilizzando il fiume come fonte primaria di attività economiche e commerciali: le zone principali degli insediamenti furono dapprima Trastevere, intorno a piazza in Piscinula,  e successivamente anche sulla riva sinistra, al Portico d'Ottavia dove sarebbe sorto il ghetto, proprio in fronte al Ponte Fabricio, noto per questo anche come Pons Judeorum. In Trastevere è tuttora presente in vicolo dell'Atleta, nel sotterraneo di un ristorante, quella che si ritiene la più antica sinagoga, risalente al XIII secolo da alcuni identificata come quella di Nathan ben Jechiel (1035-1106). Alla fine dell’Ottocento, grazie  alla generosità di alcuni ebrei benestanti, furono avviate nuove istituzioni assistenziali che ebbero il merito di facilitare l’inserimento dei più poveri nella città, ormai capitale del Regno d’Italia, dopo oltre duecento anni di clausura nel ghetto ormai fatiscente e destinato ad essere demolito. In tale ambito Angelo Tagliacozzo, uno degli esponenti più in vista della comunità ebraica, riuscì ad ottenere in concessione dal sindaco di Roma Luigi Pianciani l’ala sinistra dell’ex convento Francescano di San Bartolomeo all’Isola, di proprietà comunale. In tale sede fu subito trasferita (1882) l’Associazione di Via della Fiumara, che mutò il nome in “Ospedale israelitico Bet Aholim” (in ebraico “Casa degli infermi”), in cui confluirono le rimanenti confraternite assistenziali e a cui la “Deputazione centrale israelitica di carità” affidò tutte le attività sanitarie relative alla comunità ebraica. Nello stesso fabbricato fu alloggiato, nel 1887, anche il “Ricovero per israeliti poveri e invalidi”, erede della tradizione di assistenza agli anziani già rappresentata dalla confraternita “Mosclav Zechenim” (Asilo dei vecchi).  La distruzione del ghetto, avvenuta in pochi mesi, creò il problema sia economico che sociale del trasferimento in nuovi alloggi: molti ebrei, aiutati dal “Comitato per il decentramento degli Israeliti poveri di Roma”, creato nel 1884, si stabilirono in Trastevere, vicino al vecchio quartiere e al nuovo ospedale che, sempre più attrezzato, divenne un punto di riferimento come istituzione sanitaria. Nel 1911 l’Ospedale fu riconosciuto come opera pia con lo scopo di: “curare gratuitamente gli ammalati poveri israeliti aventi il domicilio di soccorso in Roma, affetti da malattie acute o croniche non contagiose né diffusive”, e ne fu approvato lo Statuto con Regio Decreto. Il regolamento consentiva di ospitare occasionalmente ebrei non bisognosi, anche se di passaggio da altre città, ma a pagamento e senza inficiare l'assistenza ai poveri. La tradizione dei medici-rabbini, tra cui vanno ricordati il primo medico dell’ospedale Samuele Toscano e il direttore Benedetto Zevi, continuava quindi nel nuovo ospedale. L’Ospedale disponeva allora di 17 letti più altri 8, separati e collocati in un’ala dell’adiacente convento di S.Bartolomeo, destinati ai malati cronici. L’attività dell’Ospedale fu supportata economicamente da un sussidio garantito prima dal Ghemilud Chasadim (Opera di beneficenza) e poi dalla “Deputazione centrale israelitica di carità”, nonché da lasciti di singoli benefattori tra cui merita di essere ricordato per la sua generosità Mosè Levi. L’Ospedale israelitico è attualmente integrato nel sistema sanitario della Regione Lazio essendo ormai aperto a tutti i cittadini e organizzato per la cura di ogni patologia. E’ tuttavia particolarmente qualificato per la chirurgia della mano e come struttura geriatria: ciò coerentemente con la sua tradizione di  vicinanza alla casa di riposo per anziani, il già citato Ricovero per Israeliti Poveri Invalidi. Nel 1975 l’Ospedale Israelitico ebbe la classificazione di “Ospedale Provinciale Specializzato Geriatrico”.Nel 1970 la Direzione Sanitaria dell'ospedale, i Reparti di Degenza, il Day Hospital, il Laboratorio Analisi, la Radiologia e gli ambulatori sono stati trasferiti alla Magliana in via Fulda insieme al Ricovero per Israelitici Poveri Invalidi, divenuto poi autonomo nel 2001 e nuovamente trasferito in via Portuense nel 2003. Nei vecchi locali al primo e secondo piano dell’ex Convento di San Bartolomeo all’isola, recentemente restaurati nell’ambito dei lavori per il Giubileo 2000 , sono rimasti la Direzione Generale ed Amministrativa e un grande poliambulatorio specialistico. Un terzo poliambulatorio è stato aperto nel 2000 in zona Marconi. L’Ospedale dispone complessivamente di 120 posti letto; 24 sono destinati per day-hospital medico chirurgico con oltre 20.000 accessi annui. Nell’ambito di un progetto assegnato all’ospedale dalla Regione Lazio nel 2000, viene attualmente assicurata assistenza domiciliare di tipo oncologico ed integrato a circa 80 pazienti. Nella seconda metà degli anni '80 è sorta una controversia, ancora non risolta, con l'Associazione per il Museo Storico dell'Isola Tiberina (AMSIT) che rivendica il diritto ad occupare il Palazzo Pierleoni Caetani all'isola Tiberina inclusi i locali attualmente utilizzati dall'Ospedale.

Palazzi Castello Pierleoni Caetani, isola Tiberina, rione Ripa, Roma, detti anche Castello Caetani, è formato da un complesso di palazzi edificato nell'arco di 4 secoli a ridosso del primo elemento architettonico che è la grande torre eretta nel X secolo dai Pierleoni che fa da testata al ponte Fabricio con la sua tozza mole, torre detta anche della Pulzella, con riferimento alla piccola testa di giovinetta in marmo incastrata  tra i mattoni. Nel 1087 vi si insediò la contessa Matilde di Canossa con il papa Vittore III mentre in Vaticano spadroneggiava l'antipapa Clemente III. La torre funse quindi da sede pontificia, probabilmente tra il giugno e il luglio di quell'anno quando poi il papa si ammalò e preferì ritirarsi nell'abbazia di Montecassino da dove era stato chiamato sia pure controvoglia per salire al trono pontificio. Se ne andò anche Matilde di Canossa e la torre tornò di nuovo in mano ai Pierleoni, i quali l'anno dopo ospitarono il nuovo papa Urbano II, che vi risiedette per un anno fino all'aprile del 1089 quando la buona stella dell'antipapa tramontò e così il legittimo papa potè insediarsi in Vaticano. Intorno alla torre vennero edificati come rafforzamento della posizione strategica a difesa dell'isola Tiberina dagli assalti degli invasori stranieri o delle altre fazioni politiche romane. Dopo la famiglia dei Pierleoni, subentrò al complesso la famiglia Romani, successivamente passò ai Normanni, finchè al tempo di papa Bonifacio VIII il castello passò ai Caetani che però dovettero ben presto abbandonare la torre e i palazzi per lo spostamento della sede pontificia ad Avignone. Dopo di che il complesso venne occupato dalla famiglia Tomacelli  e Bonifacio Tomacelli la restituì ai Caetani nel 1389 i quali da allora dettero maggiore consistenza agli edifici e restaurarono la torre. Anche la chiesa di San Bartolomeo venne inglobata al castello Caetani.  La famiglia Caetani risiedette qui fino al 1470, a causa delle piene del Tevere gli edifici vennero continuamente restaurati, finchè divenne impossibile abitarvi ed il complesso venne abbandonato. La situazione precipitò con la piena del Tevere del 1557 che travolse la torre e tutti gli altri edifici ad essa annessi, oltre alla parte destra della chiesa, e fu in quella occasione che i Caetani diedero la proprietà ormai semidistrutta ai frati francescano i quali si dedicarono ad un lungo ed ampio lavoro di restauro trasformando i caseggiati in un monastero. La torre restò ai Caetani e alla fine nel 1638 la vendettero a Marcantonio Palma. Dopo il 1870 il monastero divenne di proprietà dello Stato Italiano che lo cedette al Comune di Roma. Nel 1870 l'edificio conventuale fu adattato ad ospizio per gli ebrei e a tale funzione fu adibito fino al 1870. Rimasto abbandonato per più di 15 anni, nel 1986 fu in parte restaurato dal comune di Roma e destinato ad ambiente museale.

Torre Pierleoni Caetani, detta anche Torre della Pulzella, all'isola Tiberina, rione Ripa, Roma, appartenuta precedentemente alla contessa Matilde di Canossa che costrinse l'imperatore Enrico IV a passare 3 giorni scalzo nella neve per farlo riappacificare con papa Gregorio VII. La torre passò poi alla famiglia Caetani, i quali fortificarono l'isola Tiberina caduta in loro possesso dopo le lotte tra le grandi famiglie romane medioevali per il controllo del papato e della città di Roma. La torre è detta anche della pulzella perchè tra le mura si scorge una testa marmorea femminile di età antica ritenuta il ritratto della contessa Matilde di Canossa, ma in realtà è un reperto databile al I secolo d.C. La torre nel 1087 fu di proprietà della contessa Matilde di Canossa, nel 1088 passò ai Pierleoni che vi accolsero Papa Urbano II, poi passò alla famiglia Romani, poi alla famiglia Normanni e infine alla famiglia Caetani, i quali nel 1638 vendettero la torre a Marcantonio Palma. Nel 1639 l'edificio fu rilevato dal cardinale Barberini che, dopo averlo restaurato, lo donò al convento dei frati Minori francescani, i quali lo destinarono principalmente all'assistenza dei malati, tanto che negli anni successivi al 1656, dopo la tremenda pestilenza abbattutasi su Roma, l'edificio era comunemente conosciuto con il nome di "Lazzaretto Brutto". Nella seconda metà del XVIII secolo al pianterreno si insediò l'Oratorio dei Devoti di Gesù al Calvario o "Sacconi Rossi", una confraternita la cui attività consisteva principalmente nel dare degna sepoltura a quanti annegavano nel Tevere. La torre in laterizio domina ancora oggi l'isola Tiberina verso il ponte Quattro Capi, con la sua severità medioevale, presenta tre ordini di finestre in parte rafforzate da elementi marmorei, sul fronte stradale una monofora trilobata, un coronamento a mensole marmoree che reggono un tetto a quattro spioventi. Verso il Tevere si può vedere la base fatta a "scarpa" per reggere meglio le piene del Tevere, con scaglie di marmo che rafforzano in questo punto la trama del muro.

Testa della Pulzella, torre Caetani, isola Tiberina, rione Ripa, Roma, è detta della pulzella perchè tra le mura si scorge una testa marmorea femminile di età antica ritenuta il ritratto della contessa Matilde di Canossa, ma in realtà è un reperto databile al I secolo d.C.

Museo Storico dell'Isola Tiberina, al palazzo Caetani Pierleoni, rione Ripa, Roma, dopo il 1870 il palazzo Caetani all'Isola Tiberina, venne suddiviso: i primi due piani e la torre divennero proprietà dello Stato Italiano che lo cedette poi al Comune di Roma, mentre il piano terra ed il mezzanino divennero proprietà private. Nel 1891 il Comune di Roma affittò la propria parte alle Opere Pie Ricovero Israeliti Vecchi e Invalidi, ospedale presente nel palazzo fino agli anni '60. Dal 1986, a seguito di una delibera comunale, il palazzo è stato designato a sede del Museo Storico dell'Isola Tiberina. Dal 1957 al 63 il Palazzo ha ospitato una delle più importanti gallerie d'arte del dopoguerra italiano, la Rome-New York Art Foundation. Fu fondata da Frances McAnn, Herbert Read e James Sweeney con il patrocinio di Peggy Guggenheim e diventò la più feconda fucina artistica e culturale dell'ambiente romana. Molti artisti che a ragione sono considerati i pilastri della storia dell'arte contemporanea  hanno esposto nei locali della galleria le loro prime opere: fra questi ricordiamo Jackson Pollock, Henry Moore, Barnett Newman e Sam Francis. Vi è una associazione che si prende cura di reperire tutto il materiale storico riguardante l'Isola Tiberina

Statue Erme quadrifronti al ponte Quattro Capi, isola Tiberina, rione Ripa, Roma, una leggenda racconta che le due doppie erme del ponte stiano a ricordare quattro architetti autori dei restauri dell'isola per incarico di Sisto V i quali giunsero tra di loro in grave disaccordo passando a gravi atteggiamenti. Si dice che papa Sisto V ne rimanesse talmente scandalizzato che dopo essersi congratulato con loro per i lavori eseguiti, avesse ordinato che i quattro architetti fossero condannati a morte tramite la decapitazione e che le loro teste venissero poi riunite nel marmo. Ma le teste delle erme sono 8 e non 4 dei supposti architetti e quindi si conferma la favolistica interpretazione di queste erme probabilmente sollecitata dalla fama di taglia teste di papa Sisto V che rimase celebre per la sua crudele repressione della criminalità di Roma e del Lazio.

Edicola Sacra della Madonna della Lampada, isola Tiberina, rione Ripa, Roma, l''immagine originale di questa madonna risalente al Duecento è conservata all'interno della chiesa di San Giovanni Calibita, mentre una copia si trova alla base del campanile della chiesa e le viene attribuito un miracolo che si dice abbia avuto luogo nel 1557: durante una delle frequenti inondazioni del Tevere, ovvero che la fiamma di una lampada che si trovava accesa presso l'immagine avrebbe continuato ad ardere benché sommersa dalle acque del fiume.

Lapidi al ponte Cestio isola Tiberina, rione Ripa, Roma, a metà del ponte Cestio, sulla spalletta rivolta a nord, sono visibili due antiche iscrizioni che ricordano altrettanti interventi di restauro. La più grande ed antica, piuttosto consunta, parla dei lavori commissionati nel 370 dagli imperatori fratelli Valente e Valentiniano I nonché dal figlio di quest'ultimo, Graziano, da cui il ponte prese da allora in poi il nome come si legge nell'ultima riga dell'iscrizione), mantenendolo fino al tardo '800. La lapide più piccola, molto più semplice e rozza, risale alla fine del XII secolo e parla di un intervento ad opera di un certo Benedictus, uno dei senatori, a quell'epoca amministratori civici, identificato con Benedetto Carushomo o Carissimi in carica dal 1191 al 1193.

Lapide a ponte Fabricio oggi ponte Quattro Capi, isola Tiberina rione Ripa, Roma, presente sull'arco del ponte una iscrizione che recita : "Lucio Fabricio, figlio di Caio, curatore delle strade, si occupò della costruzione".

Lapide ai portici della chiesa di San Bartolomeo all'Isola Tiberina, Roma, rione Ripa, sotto il portico, una piccola targa segna il livello raggiunto dall'acqua nel corso dell'ultima inondazione che Roma ricordi, datata 17 dicembre 1937.

Molini sul Tevere all'Isola Tiberina, rione Ripa, Roma, per secoli e fino alla costruzione dei muraglioni e degli argini del Tevere, avvenuta dopo il 1870, ai due lati dell'isola Tiberina  vi erano mulini installati su zattere, erano delle costruzioni galleggianti che quotidianamente macinavano la farina che occorreva per la città di Roma sfruttando la corrente, purtroppo spesso le inondazioni del Tevere portavano via tutto, dopo l'Unità d'Italia nel 1870 e per la costruzione dei muraglioni i molini vennero smantellati.

Scalinate all'Isola Tiberina, rione Ripa, Roma, per mezzo di rampe di scale è possibile scende al livello del fiume, ed arrivare sull'ampia banchina, costruita nei primi anni del '900, che circonda l'isola come una piattaforma consentendo di farne il giro completo a piedi. Qui tanto i romani che i turisti possono passeggiare, prendere il sole e, soprattutto in estate, frequentare iniziative culturali come festival cinematografici e concerti. Da qui si ha una bella visuale dei ponti dell'isola Tiberina: ponte Fabricio oggi ponte Quattro Capi e ponte Cestio oltre che di ponte Rotto, di ponte Palatino e di ponte Garibaldi.

Trattoria Ristorante Sora Lella, a via ponte Quattro Capi, Isola Tiberina, rione Ripa, Roma, appartenuta alla sorella dell'attore Aldo Fabrizi.

Piazza San Bartolomeo all'Isola, isola Tiberina, rione Ripa, Roma, va da ponte Cestio a via di ponte Quattro Capi fa parte del rione XII Ripa, prende il nome dalla chiesa di San Bartolomeo all'Isola che campeggia sulla piazza che fa da collegamento tra i due ponti e le due rive opposte del Tevere. Questa piazza che è al centro della piccola isola ha di fronte la piazza Fatebenefratelli. da vedere la Torre dei Caetani detta della Pulzella, la chiesa di San Bartolomeo all'Isola, la Guglia Jacometti, l'Ospedale Israelitico e l'Oratorio dei Sacconi Rossi.

Piazza Fatebenefratelli, isola Tiberina, Roma, Rione Ripa, va da piazza San Bartolomeo all'Isola a ponte Cestio, prende il nome dall'omonimo ospedale. Da qui si possono vedere l'ospedale Fatebenefratelli, la antica Farmacia, e la chiesa di San Giovanni Calibita.

Via Ponte Quattro Capi, all'Isola Tiberina, Roma, Rione Ripa, va da piazza San Bartolomeo all'Isola a piazza di Monte Savello,  il toponimo deriva dal soprannome che i romani hanno dato all'antico ponte Fabricio rinominano ponte Quattro Capi per la presenza delle due erme qudrifronti.

Vicus Censorii, era la antica via dell'Isola Tiberina, rione Ripa, Roma, sulla quale si affacciavano su un'unica strada longitudinale gli edifici dell'isola, fu chiamata vicus inter duos pontes dopo l'edificazione di ponte Fabricio e di ponte Cestio. All''isola poi venne data la forma di una nave, della quale se ne possono vedere ancora oggi i resti marmorei.

Isola del Cinema, Isola Tiberina, Rione Ripa, Roma, è la manifestazione dedicata al cinema dell’Estate Romana che si tiene sull’Isola Tiberina, giunta nel 2013 alla XIX edizione, è un appuntamento  per vedere films di qualità ed i protagonisti di eccezione,  da non perdere sono le Rassegne Estive di Cineama.it che propone le migliori pellicole, italiane ed internazionali, passando da opere inedite a quelle che hanno fatto storia, dai film d’autore ai documentari, numerosi sono anche gli incontri ed i dibattiti, di altissimo livello, con poeti, scrittori e professionisti del cinema dedicati ai temi dell’Ambiente e della Solidarietà.

Porto Tiberino all'Isola Tiberina (scomparso)

Il Porto Tiberino all'Isola Tiberina, fu il primo e più importante complesso portuale e commerciale di Roma, si trovava all'altezza  dell'attuale palazzo dell'Anagrafe e la chiesa di santa Maria in Cosmedin, ne occupava tutta l'area, in un'ansa del Tevere oggi scomparsa, era praticamente di fronte alla punta meridionale dell'Isola Tiberina, nei pressi dei Templi del Foro Olitorio e del Tempio di Portunus, che era la divinità a tutela del porto, il bacino probabilmente era delimitato a valle dal ponte Emilio e a monte dal ponte Fabricio, occupando quindi uno spazio di circa 8000 mq. Alle spalle del porto verso l’interno si estendeva la zona paludosa del Velabrum, che si insinuava nella valle compresa tra il Palatino e il Campidoglio fino a raggiungere la valle del Foro Romano. I re della dinastia etrusca ebbero il merito di bonificare queste paludi attraverso la costruzione della cloaca maxima, che sfociava nel Tevere dopo aver descritto una curva subito a nord del tempio di Ercole Olivario. Durante gli scavi eseguiti dal Lanciani si rinvennero ampi resti di argini di opera quadrata di tufo di Grottascura datati al 179 a. C. e collegati con le strutture terminali della Cloaca Maxima. Probabilmente l'opera si deve a Servio Tullio, da reperti rinvenuti recanti la data del VI secolo a.C. Il censore Marco Fulvio Nobiliore nel 179 a.C. fece dei lavori di sistemazione del porto Tiberino, ma con la realizzazione del porto fluviale dell'Emporium sotto l'Aventino, nella attuale zona di Testaccio,anche questo porto venne progressivamente abbandonato, e cadde definitivamente in disuso dopo le inondazioni del 98 d.C. e del 105 d.C. fino a scomparire definitivamente. Il porto Tiberino aveva una banchina lunga quasi 500 metri e larga 90 metri, vi era un molo pavimentato ed attrezzato. vi attraccavano le navi provenienti dal mare, ed un edificio a ridosso del molo consentiva l'immagazzinamento e la vendita dei prodotti. Tutta l’area pianeggiante compresa tra il fiume Tevere, il Campidoglio, il Palatino e l’Aventino, rivestì nell’antichità un’importanza decisiva per le origini e lo sviluppo di Roma, ma anche prima della nascita storica dell’urbe, tra la fine del II millennio e i secoli iniziali del I millennio a.C. Il  porto commerciale di Roma, quindi, il Portus Tiberinus, era situato nella zona compresa tra i tre templi sotto la chiesa di San Nicola in Carcere ed il Tempio di Portunus. La tradizione mitologica relativa a questa area lungo il fiume Tevere, molto antica, fa riferimento alla presenza di popolazioni greche ed orientali, ben prima della fondazione di Roma da parte di Romolo. Il culto di Ercole presso l’ara maxima nel foro Boario fu uno dei primissimi culti stranieri introdotti a Roma, e lo stesso Romolo, ne comprese l’importanza, e decise di includere il santuario di Ercole (che ora è sotto la chiesa di santa Maria in Cosmedin) nel solco primigenio della città. La frequentazione di questa zona di Roma da parte di mercanti greci è testimoniata a livello archeologico dal rinvenimento, nell’area archeologica di Sant’Omobono, di abbondante materiale ceramico di fattura geometrica, risalente alla prima metà dell’VIII secolo a.C. Il santuario di Ercole sotto Santa Maria in Cosmedin inizialmente non era altro che un luogo di ritrovo dei mercanti greci, in seguito consacrato alla divinità. A Servio Tullio, alla metà del VI secolo a.C., si deve   la sistemazione del portus Tiberinus, accanto al quale vennero come già detto costruiti i santuari di Fortuna, e di Portunus. Lo stesso Servio Tullio recinse questa parte di Roma con la sua cinta muraria serviana, lasciandone fuori solo la zona del porto. Gli scavi della Area Sacra di S. Omobono, hanno rivelato che la zona compresa tra il Campidoglio e l'Aventino era già frequentata in epoca protostorica arcaica, e qui si era formata un'area di scambi commerciali, le imbarcazioni risalivano il fiume e sostavano nel porto Tiberino, che era come già detto,  tra l'attuale Anagrafe e il Tempio di Portunus, tra il foro Olitorio e il foro Boario, Portunus era il dio dei porti e il nume tutelare delle porte e degli ingressi, il tempio a lui dedicato è nell'area del Foro Boario, sul lato meridionale del bacino fluviale. Il tempio di Portunus era subito dopo la porta Flumentana che faceva parte delle mura repubblicane ed era separato dal porto dal vicus Lucceius, una strada che portava all'antico ponte Emilio, oggi, ponte Rotto, che fungeva da collegamento tra la città e la sponda etrusca, anche il tempio di Portunus venne danneggiato dalle inondazioni del Tevere che devastarono anche la zona portuale tra il III e il II secolo a.C. Quando la zona non ebbe più la sua funzione originaria, anche il tempio subì delle trasformazioni, e venne adattato in chiesa dedicata alla Madonna con il nome di Santa Maria De Gradellis, forse per una scalinata che scendeva al fiume, e poi in chiesa di S. Maria Egiziaca. Durante i lavori per la costruzione del palazzo dell'Anagrafe, tra il 1936 e il 1937 di fronte alla punta meridionale dell'Isola Tiberina, furono ritrovati numerosi horrea, magazzini costruiti in laterizio e travertino, gli horrea, i magazzini, furono costruiti  da Traiano che reimpiegò l'area dove precedentemente c'era l'antico porto fluviale Tiberino. In età medioevale la riva destra del Tevere, nel tratto che va dall'attuale porta Portese fino al ponte Rotto, era conosciuta come riva romea, cioè dei pellegrini, che sceglievano la via fluviale per raggiungere la città, soprattutto negli anni giubilari. I pellegrini, infatti, dal porto di Fiumicino risalivano il fiume su imbarcazioni trainate a mano o tirate dai bufali e, dopo un viaggio di due giorni, sbarcavano nel grande porto a sud della città. Nel 1842 questo antichissimo sistema di trasporto fu sostituito dai primi rimorchiatori. In età imperiale gli interventi più importanti in questa zona di Roma furono costituiti dallo smantellamento del porto fluviale in favore del porto di Ostia. La costruzione dell’emporio di Marmorata e soprattutto i grandi rifacimenti del porto ostiense ad opera di Claudio e Traiano svuotarono di ogni importanza commerciale la zona del foro Boario e del foro Olitorio. Il Foro Boario ed il Circo Massimo furono inseriti da Augusto nella XI regio, mentre il foro Olitorio rimase nella IX regio e l’area dei templi di Fortuna e Mater Matuta, la Dea del mattino e dell'aurora tempio della dea che era nell'area di Sant'Omobono, fu fatta rientrare nell’VIII regio.

I ponti dell'Isola Tiberina : Ponte Fabricio oggi Quattro Capi e ponte Cestio

I ponti dell'Isola Tiberina sono il Ponte Fabricio e il Ponte Cestio, che sono due segmenti di un medesimo ponte, con l'enorme "pila" centrale costituita dall'Isola Tiberina, l'area dell'Isola Tiberina era chiamata anche "inter duos pontes" I due ponti dell'Isola Tiberina furono costruiti nel 62 a.C., prima venne edificato il ponte Fabricio e successivamente il ponte Cestio. L'isola Tiberina ha da sempre rappresentato il punto più facile di attraversamento del lungo tratto del Tevere, e questo favorì i primi insediamenti sulla sponda sinistra del fiume, il primo villaggio presumibilmente prese il nome dall'antico nome del Tevere "Rumon", e si chiamò Roma. In origine i due ponti in legno erano pressappoco delle passerelle traballanti, ma passarono secoli  dai ponti in legno ai ponti in muratura e questo fatto sembra inspiegabile, non si ha una spiegazione sul come mai romani non costruissero ponti in muratura sull'Isola Tiberina, dato che da una parte immetteva al Foro Boario, e dall'altra  conduceva alla antica via Aurelia, oggi via della Lungaretta, a Trastevere, e al colle Gianicolo, che erano le regioni abitate dagli Etruschi. Sappiamo che l'isola Tiberina entra ufficialmente nella storia di Roma solo dopo la cacciata di Tarquinio il Superbo nel 509 a.C. perchè in realtà l'isola era off limits ai romani, era una sorta di granaio, e dagli etruschi era considerata un'area vietata al transito. Pertanto probabilmente l'antico ponte ligneo Cestio verso Trastevere, venne demolito per evitare assalti ai granai, mentre l'altro ponte ligneo il Fabricio, verso il Foro Boario, doveva essere fortemente controllato e ben custodito. L'isola anche dopo il periodo etrusco, in epoca repubblicana a causa del culto di Esculapio, mantenne il suo carattere di isola poco transitata, legata a pratiche mediche fino a diventare benchè povero un centro di raccolta di persone malate di bassa estrazione sociale. Questi due utilizzi dell'isola a granaio prima a ospedale dopo, ebbe come conseguenza che l'unico ponte davvero necessario fosse solo quello verso il Foro Boario, il Ponte Fabricio, ponte che non aveva però troppe pretese. Da ricordare che l'Isola Tiberina, era fuori del pomerium di Roma, e che solo con Augusto venne connessa alla XIV regione di  Trastevere. Proprio perchè l'isola non faceva da tramite tra le due sponde, si rese necessaria la costruzione di un altro ponte nelle vicinanze, che non fosse troppo lontano dagli insediamenti del Palatino, e che permettesse di andare anche a nord verso l'attuale Trastevere. Però questo ponte che sarà l'antico ponte ligneo Sublicio, verso l'Aventino, oggi scomparso, doveva essere a 200 metri più a valle, per impedire agli etruschi di invadere la città. L'isola Tiberina entrò a far parte della città quando i due ponti furono riedificati in muratura. I due ponti il Cestio ed il Fabricio sono uniti da una via  chiamata Vicus Censori. Sia il ponte Fabricio che il ponte Cestio hanno da sempre avuto dei problemi nel loro rapporto con il fiume Tevere sia per essere a ridosso dell'Isola Tiberina, dove il deflusso del fiume essendo vorticoso determina la formazione di banchi sabbiosi, sia per la presenza di numerosi depositi di detriti dovuti alle innumerevoli alluvioni del Tevere e sia per la cattiva manutenzione dell'alveo del fiume e  sia per la presenza dei detriti degli antichi impianti dei molini che erano attraccati all'isola e che oggi non ci sono più. Il problema è stato risolto con l'edificazione dei muraglioni e delle banchine laterali poste tra l'isola Tiberina e il ponte Garibaldi che rallentano il flusso dell'acqua che è più impetuosa verso il ponte Cestio, è stata quindi creata una sorta di freno artificiale dell'acqua mutuata da una diga in travertino agganciata ad un pilone di ponte Garibaldi, purtroppo però questo stratagemma tecnico, se da una parte impedisce le alluvioni,  ha reso però proibitiva la navigazione del fiume Tevere.

Ponte Fabricio, oggi ponte Quattro Capi, è sulla riva sinistra del Tevere e collega l'isola Tiberina al Lungotevere Cenci e al Lungotevere dei Pierleoni, è l'unico ponte antico di Roma conservato nella sua integrità, fu edificato nel 62 a.C. da Lucio Fabricio, che era il "curator Viarium" come si legge nella iscrizione incisa 4 volte sulle ghiere in travertino delle due arcate nel prospetto a monte e delle altre due arcate nel prospetto a valle. Il ponte Fabricio è a due fornici sorretti da un pilone centrale nel quale si apre un arco minore, è lungo 62 metri e largo 5,60 metri, è costruito in blocchi di tufo e peperino rivestiti in travertino. Il ponte Fabricio fu chiamato anche pons Judaeorum per la vicinanza al Ghetto, l'area ebraica di Roma, ed anche ponte Quattro Capi per le erme quadricipiti poste sulla balaustra che probabilmente furono poste qui dopo un restauro del ponte voluto da papa Sisto V. Una leggenda narra che il restauro fu compiuto da 4 architetti i quali litigarono tra di loro durante i lavori, provocando grande scandalo e allora a lavori ultimati, papa Sisto V li condannò alla decapitazione per il loro comportamento poco professionale, e sempre papa Sisto V , per ricordare i 4 architetti fece collocare su ognuna delle due balaustre le quattro teste riproducesti il loro ritratto, questa storia è evidentemente una leggenda, in realtà queste sculture sono le antiche erme di Giano bifronte e probabilmente furono poste sul ponte nel 1850. Fu molto importante il restauro del 1679 voluto da papa Innocenzo XI, durante il quale, il travertino venne sostituito con filari di mattoni, questo restauro è citato da una epigrafe posta sul parapetto destro. Dopo il 1870, a causa delle inondazioni del Tevere anche il ponte Fabricio corse il rischio di essere abbattuto. Nel 1885 l'arco di sinistra del ponte venne inglobato nel muraglione e nel 1902 venne creato un canale per far scorrere meglio l'acqua del fiume. Nel 1999 è stato impermeabilizzato il manto stradale e riviste le centine esterne.

Ponte Cestio all'isola Tiberina, lungo 80,40 metri, è diviso da 3 archi, l'arco centrale ha una luce di 23,70 metri, mentre gli archi laterali hanno una luce di 21,40 metri, il ponte Cestio è detto anche ponte Graziano e ponte di San Bartolomeo è sulla  riva destra del Tevere, probabilmente venne edificato nel 46 a.C. ed in origine era un ponte ligneo,  immette al rione Trastevere, prese il nome da Lucio Cestio  incaricato da Cesare di amministrare la città di Roma in sua assenza, Lucio Cestio era il fratello di Caio Cestio che fu sepolto nella Piramide Cestia a porta San Paolo. In origine aveva una arcata centrale a sesto ribassato e due arcate minori laterali, poggiava su piloni di tufo e peperino rivestiti in travertino, venne poi ricostruito a tre fornici nel 370, utilizzando il travertino del teatro Marcello che a quell'epoca era in rovina,  dagli imperatori Valentiniano, Valente e Graziano, come ricorda una iscrizione posta sulla spalletta di destra. Fu restaurato tra il 1191 e il 1193 da Benedetto Carushomo, senatore di Roma, e ricordato da una epigrafe. Nel Quattrocento venne chiamato ponte San Bartolomeo per la presenza di questa chiesa all'Isola Tiberina e nel Seicento ponte Ferrato per la quantità delle catene in ferro che servivano per ancorare i molini all'isola. Nel 1870 per l'accumulo dei detriti che impedivano il passaggio dell'acqua, l'ingegner Canevari propose l'insana idea e per fortuna non attuata di distruggere definitivamente l'isola Tiberina. Poichè il ponte Cestio fu spesso danneggiato dalle inondazioni, fu completamente ricostruito nel XIX secolo per essere adattato ai nuovi muraglioni,  furono allargati rispetto al precedente ponte anche le due arcate laterali in modo da scongiurare future alluvioni, l'opera di ricostruzione iniziò nel 1885, demolendo le sue parti laterali e sostituito da un ponte in legno provvisorio, il nuovo ponte venne inaugurato nel 1892. Il nuovo ponte Cestio  ha 3 arcate, ed è del tutto diverso dal ponte originario.  Nel 1902 si rese necessario un nuovo intervento con la costruzione di "briglie", ovvero di particolari banchine per frenare l'impeto della corrente del fiume Tevere, realizzate su progetto dell'ingegner Luigi Cozza, nel 1999 è stata restaurata tutta la superficie in travertino della grande banchina che circonda l'isola.

Gli altri ponti nei pressi dell'isola Tiberina

Ponte Garibaldi, fa parte del rione Regola e del rione Trastevere, Roma, collega Trastevere con la riva sinistra del Tevere verso l'Arenula e largo Argentina, in origine era in ferro, ma nel 1953 fu completamente restaurato, rinforzato con cemento armato e travertino, è lungo 151,80 metri e largo 20 metri, con due campate centrali che poggiano su un pilone centrale e due testate rivestite in travertino, è stato intitolato a Giuseppe Garibaldi eroe del Risorgimento Italiano che difese la Repubblica sul vicino colle Gianicolo. C'è da dire che Papa Pio IX aveva deciso di abolire tutte le barchette di Roma, e costruire nuovi ponti, ma la situazione politica cambiò, Camillo Benso di Cavour aveva deciso che all'Unità d'Italia serviva una capitale, le truppe piemontesi erano già entrate nelle zone pontificie, e il papa dovette cedere alla storia. Pertanto nonostante Roma avesse bisogno di ponti, per altri problemi politici e sociali, la questione venne accantonata, ma si ripresentò con tutta la sua importanza e gravità con la piena del 1870.  Si dovette affrontare con urgenza,  il problema di sistemare definitivamente gli argini del Tevere, gli alvei e di creare nuovi ponti per la città di Roma e dare un definitivo assetto al fiume. Garibaldi proponeva l'abbattimento dei ponti Fabricio, ponte Cestio, ponte Rotto e ponte S. Angelo, per permettere alle acque del fiume un maggiore afflusso in caso di piena e sostituirli con dei ponti in ferro ad una sola arcata, anche se a ponte S. Angelo le acque defluivano benissimo, fortunatamente si fecero delle modifiche senza abbattere proprio tutto. C'era comunque l'esigenza di avere un nuovo ponte, che collegasse il centro di Roma a Trastevere e cosi si procedette alla costruzione di ponte Garibaldi, uno dei quei ponti "Risorgimentali" di Roma, dedicati agli eroi del Risorgimento, appunto. Roma divenne capitale nel 1870, gli unici ponti ancora transitabili a Roma erano il ponte Fabricio, il ponte Cestio, il ponte Sisto, il ponte Sant'Angelo, il ponte di Ripetta, il ponte dei Fiorentini, il ponte Milvio, pochi ponti per una città come Roma. La costruzione del ponte Garibaldi viene affidata all'Architetto Vescovali, e viene terminato nel 1888, verrà inaugurato solennemente il 6 Giugno. Con voto unanime il ponte venne dedicato a Giuseppe Garibaldi, ed in quell'epoca sarà il terzo ponte più largo del mondo, superato solo dai due ponti sulla Senna a Parigi. Per la sua epoca, ponte Garibaldi è un ponte molto moderno, su due arcate ed una spalletta, senza ornamenti nè decorazioni, ornato solo da piccole colonne di marmo sulle quali sono incisi i luoghi della epopea garibaldina, da qui si gode la bellissima vista dell'Isola Tiberina. Il ponte collega lungotevere Cenci nel Rione Regola, con piazza Giuseppe Gioacchino Belli a Rione Trastevere, inizialmente si doveva chiamare ponte alla Regola, ma morto il Generale Garibaldi nel 1882, il ponte venne a lui dedicato. Garibaldi venne a Roma con la moglie Anita durante il periodo della Repubblica Romana nel novembre del 1848, e venne eletto come membro dell'Assemblea Costituente della nascente Repubblica. Nel 1849 con il grado di Generale organizzò l'azione militare contro le truppe Francesi e Borboniche fedeli a Papa Pio IX.   Ci fu la gloriosa resistenza al Gianicolo, e la resa Garibaldina, per cui Garibaldi lasciò Roma per dirigersi verso Venezia insorta. Durante questo viaggio assediato dalle truppe austriache, il 4 Agosto presso Comacchio perse la moglie Anita. Dopo i trionfi del 1860 e la conquista del Regno delle due Sicilie. Ci furono altri tentativi per liberare Roma dal potere pontificio, nel 1867 Garibaldi organizzò un'altra incursione a Roma ma fu sconfitto a Mentana, tornò dopo Porta Pia a Roma, nel 1875 eletto in parlamento, venne accolto trionfalmente dalla folla. A Montecitorio sostenne un grande progetto per il rinnovamento della capitale, e tra queste, opere sul Tevere per evitare future inondazioni e la bonifica delle campagne romane, a quell'epoca la malaria era endemica nei ceti più poveri, dopo la sua morte oltre che con ponte Garibaldi, Roma lo volle ricordare anche con la statua equestre al Gianicolo, opera di Emilio Gallori, inaugurata il 20 settembre del 1895. Nel 1953 ci fu un abbassamento dell'arcata sinistra del ponte di 13 centimentri, che comportò una sua radicale trasformazione, tra il 1955 e il 1957 vi fu l'ampliamento e la ricostruzione in cemento armato delle campate, l'allargamento della carreggiata, la cui larghezza passò a 23 metri, e la messa in opera di nuove ringhiere parapetto. L'unico ornamento del ponte sono 4 colonne lisce sormontate da una sfera, sulle quali sono incisi i nomi e le date delle battaglie dell'eroe che furono collocate ai due accessi come semplice e austera commemorazione dell'epopea garibaldina. Il ponte è il completamento del rettifilo tra via Arenula e viale Trastevere. Via Arenula, sulla riva destra del Tevere, è una strada dritta, che arriva a largo Argentina, la cui costruzione ha comportato l'abbattimento di edifici rinascimentali presso il fiume, ricorda la antica via Arenula che era invece più a valle verso lungotevere Tebaldi, qui c'è il Ministero di Grazia e Giustizia progettato nel 1913 da Pio Piacentini. Anche l'edificazione di questo Ministero comportò la perdita di edifici rinascimentali, dei quali si salvò solo la casa di San Paolo alla Regola. Dal lato di Trastevere, la costruzione di viale Trastevere, un tempo detto via Reale, o viale del Re, comportò la distruzione di vari edifici, qui c'è all'inizio piazza Gioacchino Belli, con il monumento al poeta romano, opera dello scultore siciliano Michele Tripisciano realizzato nel 1913.

Ponte Emilio Lepido oggi Ponte Rotto, inagibile, è davanti all'isola Tiberina, era detto anche ponte Emilio, ponte Senatorio, ponte Palatino, ponte di Santa Maria, oggi è il ponte Rotto. La zona, di fronte all'Isola Tiberina in antico aveva come passaggio un ponte, il ponte Emilio oggi chiamato ponte Rotto  in quanto ne sopravvive  solo l'arcata superiore, fu il primo ponte costruito in pietra e realizzato nel II secolo a.C.  Il ponte Emilio fu costruito nel 179 a.C. per unire il Foro Boario alla riva destra del Tevere, ed insieme al ponte Milvio erano i due ponti più importanti della Roma antica. Fu anche il primo ponte costruito in pietra e non in legno. Subì vari restauri nel corso dei secoli a causa dei vari crolli dovuti alle piene del Tevere, fu abbattuto definitivamente da una piena nel 1598 che ne fece crollare la metà della struttura da allora si è chiamato ponte Rotto In una fase iniziale si posero delle strutture in ferro sul ponte Emilio per renderlo agibile, finchè non fu smantellato il tutto, quando fu ultimato il ponte Palatino che ha una struttura in ferro. Ponte Rotto, o Emilio, fu costruito nel 179 a.C. La storia di questo ponte è strettamente collegata sia all'Isola Tiberina che al ponte Sublicio, la costruzione di questo ponte richiese 37 anni, il ponte di 6 arcate e 5 piloni,  immetteva direttamente al Foro Boario, la sua costruzione si rese necessaria in un'epoca in cui Roma stava diventando una grande potenza, e poi perchè il ponte Sublicio per la sua struttura lignea non era adatto al moltiplicarsi dei traffici, ed anche perchè i due ponti dell'Isola Tiberina il Fabricio e il Cestio non erano praticabili,  Livio ricorda che a Roma nel 193 a.C. ci fu una tremenda inondazione devastante e violenta che rovesciò due ponti ed edifici, sicuramente tra questi lo zoppicante ponte Sublicio, per cui la curia romana incaricò nel 179 a.C. i due censori Marco Emilio Lepido e Marco Fulvio Nobiliore di occuparsi della costruzione di un nuovo ponte e della ristrutturazione del portus Tiberinus, che si trovava dove oggi ci sono gli uffici dell'Anagrafe a lungotevere dei Pierleoni. Tra le testimonianze di ponte Rotto, vi fu un restauro ed una iscrizione di Augusto del 12 a.C. Il ponte di Emilio Lepido fu anche chiamato dai romani il ponte di lapidi, per la sua struttura in marmo. Nel'VIII secolo il ponte Emilio, oggi Rotto, veniva chiamato anche maggiore, citato in un itinerario che lo consigliava per arrivare alla chiesa di San Giorgio al Velabro e al Palatino, per cui a quella data era ancora agibile, poi notizie sul ponte riaffiorano nel "Mirabilia" del 1144 d.C., con il nome di pons Senatorum, o ponte Senatorio, per cui il ponte era stato certamente restaurato e reso di nuovo transitabile. Poi la struttura venne seriamente compromessa dalla piena del 1 febbraio 1230, e l'allora Papa Gregorio IX vi pose immediato riparo, il ponte si chiamava a quel tempo ponte Santa Maria. Nel 1 febbraio del 1230, l'alluvione fu davvero disastrosa e catastrofica, l'acqua invase a destra la città Leonina e a sinistra gran parte del Campo Marzio, con crolli di edifici tra cui il crollo del ponte S. Maria (oggi ponte Rotto, probabilmente questo nome nuovo derivava da un restauro ricordato da una epigrafe o da una immagine dedicata alla Vergine Maria, o per via di una cappelletta posta a metà del ponte dedicata alla Vergine e voluta da Papa Giulio III. Nel 1422 ci fu a Roma un'altra disastrosa alluvione, ricordata da una lapide che si trova sulla facciata della chiesa della Minerva che ricorda come papa Martino V, Oddone Colonna, nel 1426 spese somme notevoli per il restauro, che nuovamente venne rifatto nel 1450 da Papa Nicolò V, in occasione dell'Anno Santo. In occasione poi, del Giubileo del 1450, Papa Paolo III dovette di nuovo impegnarsi ad un nuovo restauro, dato che il ponte aveva due archi pericolanti, ed in vista della folla dei pellegrini che sarebbero arrivati a Roma si voleva evitarne il crollo e pericolo per le persone, come era avvenuto per ponte Sant'Angelo, dove 100 anni prima erano morte 300 persone. Ovviamente a Roma le opere edilizie gravavano sul popolo con l'imposizione di nuove tasse, il Papa Paolo III voleva che le opere di rifacimento del ponte S. Maria fossero tutte a spese del Comune, ma causa della carestia, il curatore del ponte chiese al Papa una dilazione, nell'esigere denaro dal popolo, già stremato, ed ottenuta, descrisse al Papa quali sarebbero state le opere di intervento sul ponte e chiese che l'opera di restauro venisse affidata a Michelangelo. Vennero quindi avviati i lavori di consolidamento del pilone pericolante sulla riva sinistra che furono diretti da Michelangelo, ma i lavori procedettero a rilento e l'opera alla morte del Papa nel 1449 non era ancora finita. Allora il nuovo Papa Giulio III sollevò Michelangelo dal'incarico, (lo sappiamo da un racconto del Vasari), che era in età e gravato da troppi impegni, e l'opera di completamento dei lavori fu affidata a Nanni di Baccio Bigio (Giovanni Lippi), con un contratto stilato il 3 luglio del 1551, ma sempre come racconta il Vasari, Nanni non fece le fortificazioni dovute, speculò sui lavori, sottrasse travertino dal ponte, tanto che 6 anni dopo, con la piena del  1557 il ponte rovinò definitivamente. Roma rimase cosi senza un ponte importante, si resero difficili i traffici con il porto di Ripa Grande, e con le due sponde, e i romani per potersi avviare in Toscana al di là del Gianicolo oltre la porta San Pancrazio dovevano fare un giro enorme, per cui il 3 Luglio del 1561 nel'aula consiliare sul Campidoglio, il curatore informò che Papa Pio IV era intenzionato a ripristinare il ponte S. Maria, ma con poche spese, in legno, e che di nuovo bisognava imporre tasse al popolo per l'opera. Da dire che su i rifacimenti a Roma, delle mura, dei ponti e dei porti, c'era da sempre la lite tra il Laterano prima e il Vaticano dopo con il Campidoglio, su chi dovesse avere l'onere delle spese, ma alla fine l'aveva sempre meglio il potere religioso (senza nemmeno dirlo !). Le due autorità si contendevano il potere di giurisdizione sulle opere di Roma, la Camera Apostolica era proprietaria dei beni ma le spese doveva pagarle il Comune e il popolo di Roma. Il nuovo Anno Santo del 1575 era alle porte e ponte S. Maria doveva essere ripristinato, se ne occupò Papa Gregorio XIII Boncompagni, e l'opera fu affidata a Matteo Bartolani da Città di Castello, che ripristinò il ponte come era in origine con 6 archi e 5 piloni. Il 27 giugno del 1573 venne posta la prima pietra, alla presenza di Papa Gregorio XIII, venne poi apposta una lapide a testimonianza del lavoro che recitava : "per volere di Gregorio XIII P.M. il Comune di Roma nell'Anno Giubilare del 1575 restituì alla primitiva fortezza e bellezza il ponte Senatorio, i cui fornici caduti per l'antichità e già in precedenza restaurati l'impeto del fiume aveva nuovamente abbattuti" Come dire che Papa Gregorio XIII concedesse la giurisdizione al Comune di Roma di questo ponte che da S. Maria si chiamò nuovamente Senatorio, di nuovo il ponte fu agibile e di nuovo vi si attraccarono i Molini con grave pericolo, perchè ostruivano la viabilità delle acque del Tevere. Nel 1570 con l''apertura dell'Acquedotto di Trevi venne ripristinata l'acqua Vergine a Roma, che si rivelò appena sufficiente per Campo Marzio, la zona di Trastevere da 1000 anni era abituata ad essere senza acqua, il Vaticano traeva acqua da pozzi locali,  per cui sempre al tempo di Papa Gregorio XIII, si procedette al ripristino dell'antico acquedotto Alessandrino, morto il papa, il nuovo pontefice Sisto V Felice Peretti, si attivò affichè l'acqua arrivasse presto a Roma, il nuovo acquedotto venne realizzato in una immensa villa all'Esquilino, di cui non abbiamo più nessuna traccia, (villa Montaldo), e l'acqua detta Felice, doveva servire i colli Esquilino, Quirinale e Viminale, ed essere trasbordata anche nella zona di Trastevere, pertanto nel 1596 sotto la direzione di Giacomo della Porta, la conduttura fu posta sotto la pavimentazione del ponte Senatorio, fu eretta la fontana nella piazza di Santa Maria a Trastevere e da qui stavano appena iniziando i collegamenti per portare acqua nelle case che nella notte del Natale del 1598 il Tevere in un biblico diluvio sommerse ogni cosa, tra queste il ponte Senatorio e la condotta dell'Acqua Felice, dei 6 archi ne rimasero in piedi solo 3, aggrappati alla riva del Tevere. Da allora il ponte rimase come era e nessun papa se ne occupò più. Per l'acqua ai Trasteverini, venne riattivato da Papa Paolo V l'acquedotto Traiano tra il 1610-12 al Gianicolo e quindi ebbero l'Acqua Paola. Quindi il Ponte dopo gli appellativi di Lepido, Palatino, Maggiore, Senatorio Santa Maria, rimase per sempre ponte Rotto. Nel 1853 per renderlo di nuovo transitabile si fece ricorso ad una pensilina metallica, poi nel 1887 si arrivò alla sua sistemazione definitiva, per opera dell'ingegner Canevari, vennero abbattute tutte le parti che impedivano il normale deflusso delle acque del Tevere, se ne lasciò un solo arco su due piloni ornati da un drago, a ricordo, e poco più avanti venne eretto il ponte Palatino. Con l'unità d'Italia vennero anche sgombrati tutti i molini  sul Tevere ed iniziarono le opere dei muraglioni del Tevere, che danni archeologici a parte, finalmente evitarono le inondazioni dentro la città di Roma, che per tanti secoli avevano seminato distruzione, morte e pestilenze.

Ponte Palatino, Roma, rione Ripa, davanti a ponte Rotto, all'Isola Tiberina, fa parte del rione Ripa, va dal lungotevere Aventino a lungotevere Ripa collega il lungotevere Aventino e il lungotevere Alberteschi, dove è la Bocca della Verità. Il ponte Palatino, venne costruito alla metà dell'ottocento, per servire la zona dove si trovava il ponte Rotto, l'antico ponte Emilio, fu edificato tra il 1886 e il 1890 su progetto di Angelo Vescovali. Venne demolita la passerella in ferro, che univa il troncone del ponte Rotto alla terra ferma, che per la erosione del Tevere non era più un passaggio sicuro, e poteva esserci il pericolo di un crollo, pertanto venne costruito un nuovo ponte. Non era facile decidere che ponte costruire, data anche la maestosità dei monumenti della zona, tra i quali la bellissima chiesa di Santa Maria in Cosmedin, i templi romani della Fortuna virile e di Vesta, la cloca  Massima, e la bellezza di quanto rimaneva dell'antico ponte Emilio, gli architetti pontifici risolsero il problema costruendo una scarna passerella, semplice e senza ornamenti, un ponte di pubblica utilità ma anonimo. Venne chiamato "Palatino" in omaggio al colle Palatino vicino. Gli architetti pontifici, commisero però un grave errore, il nuovo ponte appoggiava sulla riva destra del fiume, ben distanziato dai resti di ponte Rotto, ma per un errore di calcolo, si accorsero che il nuovo ponte sarebbe passato su le due supersiti arcate di ponte Rotto, bisognava distruggere le antiche arcate romane per far passare la passerella, e cosi fu fatto, tantè che passando sul ponte Palatino oggi possiamo quasi toccare l'arcata supersite. Il ponte Palatino è retto da intelaiature in ferro, e furono subito utilizzati, come un nascondiglio per ladri e rapinatori, ma alla fine data la scomodità, l'uso delinquenziale decadde. A Roma i ponti erano usati anche per le sassaiole tra rione e rione rivali, una sfida tra i capi rionali, così ponte S. Angelo era usato per le sfide rionali tra i Borghiciani (rione Borgo) e i Ponticiani (rione Ponte), Campo Vaccino era il luogo deputato alle sfide tra Trastevere e Monti, e il ponte Palatino venne deputato per le dispute tra i Trasteverini e Testaccio, si lanciavano sassi, a mano o con la mazzafionda, con profusione di feriti anche gravi. A Roma c'erano, in passato, i cosi detti "Bulli", ragazzi  che si imponevano con la forza nel quartiere considerati come "er più", erano di carattere fumantino e pronti a litigare, alla prima mosca sul naso. Il ponte Palatino è lungo 155,50 metri, largo 18,40 metri, poggia su intelaiature in ferro su 3 possenti piloni, rivestiti a bugnato in travertino, da qui si può vedere lo sbocco della Cloaca Massima, fu  inaugurato nel 1891. Il ponte Palatino come il ponte Umberto I, ha un senso di circolazione all'inglese, invertita   rispetto al normale senso di marcia delle auto, per questo motivo è chiamato comunemente “ponte inglese” o “ponte degli inglesi”.

Cloaca Maxima visibile dal ponte Palatino all'Isola Tiberina

Cloaca Maxima o Cloaca Massima, Roma, Intorno al 616 a.C., sotto Tarquinio Prisco, primo Re della dinastia Etrusca, venne realizzata a Roma un'opera imponente di fognature, destinata a drenare il terreno paludoso del Velabro, la Cloaca Massima fu l'opera più importante e necessaria. Il tragitto aveva inizio presso la chiesa dei SS Quirico e Giuditta ai piedi della Suburra, proseguiva tra il Foro di Augusto e il Foro di Nerva, e si dirigeva attraverso il Foro Romano al Vico Jugario, poi con un lungo zig-zag, si accostava al Campidoglio, e riceveva gli scoli provenienti dalla Rupe Tarpea. Parallelamente a via San Giovanni Decollato, la Cloaca passava sotto l'Arco di Giano quadrifronte, poi voltava verso sud con un ampio gomito e dopo aver rasentato il Tempio rotondo di Ercole sbucava nel Tevere, ed è visibile dal lato opposto del Ponte Palatino La Cloaca Massima prima dei muraglioni, aveva una triplice arcata in poderosi blocchi di tufo ben aderenti tra loro senza calce, e questa opera risaliva all'età Repubblicana La cloaca Massima visibile anche sotto l'arco di Giano, è fatta con una volta di blocchi di tufo è la più grande fognatura della Roma antica,fu costruita in relazione alla bonifica della valle tra il Campidoglio e il Palatino, effettuata con opere di drenaggio e canalizzazione delle acque, all'inizio era un semplice canale scoperto, venne poi interrato agli inizi del I secolo a.C. e dotato di copertura . Ha funzionato come raccolta delle acque del Foro Romano e alla fine dell'ottocento venne collegata al collettore della rete di fognature della città di Roma. Il suo percorso parte dall'angolo nord occidentale del Foro Romano, ed è tutt'ora accessibile attraverso una porta sotto il lato orientale della Basilica Giulia, quindi passa sotto il Velabro ed infine sotto il Foro Boario e sboccando nel Tevere all'altezza di ponte Palatino, qui è ancora oggi visibile il grande arco a 3 ghiere di blocchi di tufo entro un corpo anch'esso in blocchi di tufo.

Fotografie dell'Isola Tiberina (Roma)

Isola Tiberina Roma informazioni turistiche

Isola Tiberina, Roma, foto Anna Zelli

L'Isola Tiberina a Roma

Isola Tiberina, Roma, foto Anna Zelli

Fotografie Isola Tiberina a Roma

Isola Tiberina, Roma, foto Anna Zelli

Isola Tiberina frammento marmoreo a forma di nave

isola tiberina frammento marmoreo a forma di nave roma

Isola Tiberina frammento marmoreo a forma di nave, Roma, foto Anna Zelli

isola tiberina resti in marmo della forma a barca roma

Isola Tiberina frammento marmoreo a forma di nave, Roma, foto Anna Zelli

Porto Tiberino all'Isola Tiberina (scomparso) Roma

porto tiberino scomparso roma

Porto Tiberino, scomparso, era all'Isola Tiberina, Roma, foto Anna Zelli

Isola Tiberina ponte Frabricius oggi ponte Quattrocapi Roma

isola tiberina ponte quattrocapi roma

Isola Tiberina ponte Quattrocapi, Roma, foto Anna Zelli

Isola Tiberina ponte Cestio Roma

isola tiberina ponte cestio roma

Isola Tiberina ponte Cestio, Roma, foto Anna Zelli

Isola Tiberina ponte Rotto Roma

isola tiberina ponte rotto

Isola Tiberina, ponte Rotto, Roma, foto Anna Zelli

Isola Tiberina ponte Garibaldi Roma

isola tiberina ponte garibaldi roma

isola Tiberina, ponte Garibaldi, Roma, foto Anna Zelli

Isola Tiberina ponte Palatino Roma

isola tiberina ponte palatino roma

Isola Tiberina, ponte Palatino, Roma, foto Anna Zelli

Cloaca Maxima visibile da ponte Palatino Roma

FOTO CLOACA MASSIMA A ROMA

Cloaca Maxima, Roma, foto Anna Zelli

Monumenti e luoghi di interesse storico all'Isola Tiberina Roma

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Tempio di Esculapio (scomparso) Chiesa S. Giovanni Calibita Campanile S. Giovanni Calibita
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