PORTICO D'OTTAVIA E DINTORNI GUIDA TURISTICA ROMA INFORMAZIONI STORICHE ARTISTICHE TURISTICHE FOTO ANNA ZELLI www.annazelli.com
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portico d'ottavia e dintorni guida turistica di roma informazioni storiche artistiche turistiche foto a cura di anna zelli Guida Turistica di Roma Informazioni Storiche Artistiche Turistiche Culturali Foto di Roma Arte Cultura Novità Idee sito web di informazione culturale artistico turistica di Roma Portico d'Ottavia e dintorni (Roma) Portico D’Ottavia e dintorni, rione Sant’Angelo, area del quartiere ebraico di Roma, detto anche “ghetto”, itinerario turistico, visita ai maggiori monumenti della zona, la visita parte dal Portico D’Ottavia. Al Portico d’Ottavia, oggi, si vedono i notevoli resti dell’antico porticus, e sempre qui vi era l’ingresso ad una antica piazza di Roma, e ancora qui, nel Medioevo si sviluppò il mercato del pesce del quale rimane memoria nel nome della chiesa di Sant’Angelo detta in Pescheria, chiesa risalente all’VIII secolo e riedificata nel 1400, ed era qui che da secoli si trovava e si trova ancora oggi il quartiere ebraico di Roma. Da vedere al Portico d’Ottavia e dintorni:
Rioni: rione Sant’Angelo, rione Pigna, rione
Sant’Eustachio, rione Campitelli, rione Regola. Portico d’Ottavia, rione Sant’Angelo, Roma, i resti monumentali, attualmente visibili, appartengono ad una radicale ricostruzione risalente all'epoca di Settimio Severo. Il portico d’Ottavia era un portico che in epoca Augustea venne edificato nella zona del Circo Flaminio, circo dal quale partivano in epoca romana i cortei dei trionfatori, questo portico era una sorta di recinzione ai templi dedicati a Giunone Regina e a Giove Statore. Il portico D’Ottavia, sostituì il precedente portico di Metello, che risaliva al II secolo. Il tempio a Giunone Regina venne edificato nel 179 a.C. dal censore Marco Emilio Lepido era probabilmente un tempio di tipo italico la statua della dea forse opera dello scultore Timarchide, poggiava su un alto podio. Il tempio a Giove Statore, venne edificato nel 143 a. C. da Quinto Cecilio Metello Macedonico, dopo i suoi trionfi in Macedonia, il tempio venne edificato su progetto dell’architetto greco Ermodoro di Salamina e fu dedicato al dio Giove Statore nel 131 a.C. quando Metello ebbe la carica di censore. Fu il primo edificio della Roma antica, interamente costruito in marmo, sembra che gli scultori incaricati della decorazione siano stati Sauro e Batraco, i quali avrebbero lasciato come firma una lucertola (saurus) e di una rana (batrachus), nelle spire delle colonne di ordine ionico, oggi da identificare con le colonne conservate a San Lorenzo. Probabilmente sempre a questa epoca risale sia la ricostruzione del tempio di Giove Regina che l’inserimento dei due templi in quello che prima del portico d’Ottavia era il Porticus Metelli. Il portico Metello era una sorta di recinto che presentava portici sui quattro lati ed era ornato di opere greche tra queste vi era la turma Alexandri, che consisteva in 24 statue equestri, opera di Lisippo, dei compagni di Alessandro Magno morti nella battaglia del Granico, che Metello aveva asportato come bottino di guerra da Dion, in Macedonia. Vi era esposta anche la statua in bronzo di Cornelia, madre dei Gracchi, celebre per essere stata la prima statua femminile esposta in pubblico a Roma. Le due statue di culto di Giunone Regina e di Giove Statore dei due templi furono eseguite dagli scultori Dioniso e Policle, figli di Timarchide. Il porticus Metelli prese successivamente il nome di Ottavia, quando tra il 27 e il 23 a.C. venne riedificato radicalmente da Ottaviano e dedicato alla sorella Ottavia, fu edificato con i soldi ricavati dal suo bottino di guerra contro la Dalmazia. Probabilmente anche i due templi furono riedificati e nuovamente dedicati. Su un frammento della Forma Urbis di epoca Severiana, si nota una un'esedra, visibile alle spalle dei due templi, forse identificabile con la curia Octaviae, luogo di riunione del Senato. Nella ricostruzione il portico venne ampliato verso sud-ovest e vi furono aggiunti l' ingresso monumentale sporgente al centro del lato verso il Circo Flaminio e forse il portico esterno, che tuttavia potrebbe essere già stato presente nella fase metelliana. Domiziano, a seguito di un incendio che subì il portico d’Ottavia, nell’80 riedificò l’intero complesso, e nel 203 sia il portico che i templi vennero di nuovo costruiti e dedicati da Settimio Severo e da Caracalla, il portico prese il nome di porticus Severi. A questa fase appartengono per la maggior parte i resti attualmente visibili. Il porticus d’Ottavia, era un quadriportico di m. 119 x 132, a una navata sulla fronte e a due navate sui fianchi, che includeva i templi di Giunone Regina e Giove Statore, la Curia e due biblioteche, una greca ed una latina. Il lato principale del portico verso il Circo Flaminio e l'angolo sudorientale sono, in buona parte, conservati e visibili. Nel 442 vi fu un terribile terremoto a Roma e anche questa zona subì notevoli danni, e due delle colonne del propileo di ingresso vennero sostituite dall'arcata tuttora esistente. Intorno al 770 dal propileo di ingresso venne edificata la chiesa di San Paolo in summo circo, che poi venne chiamata chiesa di Sant'Angelo in Pescheria, tuttora esistente. Durante il medioevo il propileo, situato nel rione di Sant'Angelo, ha ospitato il mercato del pesce, chiamato in epoca romana Forum Piscium o di "Pescheria Vecchia" da cui deriva il nome di Sant'Angelo in Pescheria. È ancora visibile una lapide di questo periodo con l'iscrizione "Capita Piscium hoc marmoreo schemate longitudine major usque ad primas pinnas inclusive conservatoribus danto” che tradotto significa : “le teste dei pesci più lunghi di questa lapide, pinne comprese, devono essere date ai conservatori”, cioè agli amministratori civici. Il mercato del pesce, venne poi spostato dal Portico d'Ottavia a piazza San Teodoro nel 1885, dopo l'unità d'Italia. I resti attualmente visibili del portico d’Ottavia, risalgono al restauro del 191, si possono notare il propilèo d'ingresso ed il tratto di portico alla sua destra, fino all'estremo angolo meridionale. Scavi in direzione del Teatro di Marcello, hanno riportato alla luce il pavimento antico, dal quale è possibile così notare che l'edificio, sorgeva al di sopra di un basso podio, al margine del quale si allineava il colonnato. Il portico, largo, nella fronte, 119 metri e profondo 132 metri, era costituito da un doppio colonnato di ben 300 colonne con capitelli corinzi. Nel mezzo vi era situato un grande propilèo, costituito, lateralmente, da due muri in mattoni, originariamente rivestiti di marmo, nei quali si aprivano grandi archi in corrispondenza del portico. Le due facciate erano precedute da quattro grandi colonne corinzie, inquadrate, tra le ante, anch'esse corinzie, costituite dalle testate dei muri laterali: restano in piedi le due colonne di sinistra della facciata esterna mentre quelle di destra furono sostituite nel Medioevo da un enorme arco in corrispondenza della chiesa di Sant’Angelo in Pescheria, sormontate da un architrave, recante l'iscrizione del restauro severiano, e dal timpano; restano in piedi anche tre colonne della facciata interna, anch’esse sormontate dal timpano che, fu in gran parte rifatto con materiali di reimpiego, sono visibili anche parti del tetto con tegole marmoree e raffigurazioni di aquile, due archi laterali con belle mensole marmoree ed ampi resti del rivestimento, anche questo in marmo. Via del Portico d’Ottavia, rione Sant’Angelo, Roma, va da piazza Costaguti al Lungotevere De Cenci, prende il nome dal grandioso portico dedicato alla sorella Ottavia e fatto costruire dall’imperatore Augusto come un più comodo accesso al Teatro Marcello. Albergo della Catena, vicolo della Catena di Pescheria, rione Sant’Angelo, Roma, fu costruito nel XIII secolo sul luogo ove sorgeva il Tempio di Apollo, era una locanda chiamata Albergo della Catena per via di una catena che si trovava tra due piccole colonne che chiudeva il passaggio al vicolo della Catena, oggi scomparso. Questo tipo di sbarramento probabilmente serviva a delimitare la proprietà. Se questa catena era tesa indicava che il nobile o il cardinale non era in casa, se allentata che il proprietario era in sede. Una parte di questo edificio e vicina al chiostro della chiesa di Santa Maria in Campitelli. Vicolo della Catena, detto anche vicolo della Catena di San Nicola, scomparso, Rione Ripa, Roma, si trovava presso la chiesa di San Nicola in Carcere, il vicolo è stato soppresso nel 1937 e portava da piazza Montanara a via di Porta Leone, via che derivava il nome dalla famiglia Pierleoni di origine ebraica. Piazza Montanara, scomparsa, per l’apertura della via del Mare oggi via Luigi Petroselli, andava da via della Bocca della Verità alla via Montanara tutt’oggi esistente, anche se ridotta rispetto all’originale, il nome le derivava dalla famiglia Montanari estintasi poi nei Cesarini, la piazza occupava parte dell’area del Foro Olitorio e la contrada era detta “ad Elephantum”, fu poi allargata verso monte Savello nel 1876. Era un tempo una piazza pittoresca, nella quale c’era un andirivieni di “burini” in cerca di lavoro. Via di Porta Leone, scomparsa, andava da via della Salara a via di Monte Savello, e prendeva il nome da un antichissimo fornice delle mura Serviane che salivano al Campidoglio attraversando il Foro Olitorio e le proprietà dei Pierleoni, da cui il nome alla porta. Un tempo vi era una torre che venne distrutta nel 1936 per l’edificazione della attuale via Petroselli e degli uffici dell’Anagrafe. Tempio di Apollo Sosiano, scomparso, il tempio di Apollo Sosiano, o tempio di Apollo in Circo, era nella zona indicata come del circo Flaminio, scomparso, che era nei pressi dell’attuale teatro di Marcello. Le tre colonne, oggi visibili, appartengono ad un rifacimento dell’età Augustea. Forse durante il periodo di Cesare il tempio venne dedicato anche alla sorella Diana in quanto il tempio a lei dedicato fu distrutto per l’edificazione del teatro Marcello. La ricostruzione del tempio di Apollo fu iniziata da Gaio Sosio dopo il suo trionfo del 34 a.C. In epoca medioevale i resti del tempio furono occupati da case e se ne perse la sua traccia, i resti del colonnato vennero rinvenuti nel 1930 in occasione dei lavori di isolamento del Teatro Marcello. Nel 1940 le colonne crollate furono rialzate nella posizione che hanno tuttora, che era però diversa da quella originaria. Colonne del Tempio di Apollo Sosiano, le tre colonne corinzie che si vedono nei pressi del teatro Marcello, a Roma, sono di marmo lunense di Carrara, furono rialzate dopo lo scavo del 1930 sonio alte circa 14 metri, sormontate da fregio con bucrani e ghirlande di olivo. Per la costruzione del vicinissimo Teatro di Marcello il tempio di Apollo venne arretrato di qualche metro e addossato al Portico di Ottavia, e la scala frontale di accesso venne eliminata per far posto a delle scalette laterali. Teatro Marcello, è un teatro tutt'ora visibile, e ben conservato posto nella zona meridionale del Campo Marzio, nota in epoca romana come Circo Flaminio, situata tra il Tevere e il Campidoglio, fu il secondo teatro stabile di Roma, ideato da Giulio Cesare che scelse nel 46 a.C. un luogo adatto dove impiantare la grande platea, abbattendo degli edifici già esistenti, infatti in precedenza dove oggi si trova il teatro, vi erano un tempio dedicato alla dea della Pietà risalente forse al 150 a.C. e un carcere. Probabilmente l'edificazione del teatro Marcello comportò l'occupazione della parte curva del preesistente Circo Flaminio, che da allora divenne una semplice piazza, e lo spostamento e la ricostruzione degli edifici sacri circostanti, come l'antico tempio di Apollo e il tempio di Bellona. La fondazione, a causa del terreno paludoso e soggetto a inondazioni venne eseguita su pali di rovere con un anello in calcestruzzo di 6,33 metri di spessore. Alla morte di Cesare nel 44 a.C. i lavori furono sospesi e vennero ripresi da Augusto nel 22 a.C., dopo la morte del nipote e figlio adottivo Marco Claudio Marcello, figlio della sorella Ottavia al quale il teatro venne dedicato, infatti sembra che vi fosse una statua di Marcello in bronzo dorato. Il teatro venne terminato ed inaugurato 11 a.C. dopo avervi fatto svolgere i "Ludi Saeculares", il primo utilizzo del teatro sembra risalire al 17 a.C.. Il teatro Marcello ricorda e forse ispirò la successiva edificazione dell'Anfiteatro Flavio, il Colosseo, che venne edificato 83 anni dopo, ha la forma semicircolare tipica del teatro e non circolare tipica degli anfiteatri. Il Teatro Marcello che sembra potesse ospitare 15 mila spettatori, aveva due ordini di arcate, era a due piani, e le colonne che vediamo alla destra del piano terra sono state ricostruite, presentava un attico, che è scomparso per essere stato sostituito dalla una fortezza medioevale dei Savelli prima e poi durante il Rinascimento dal Palazzo Orsini, palazzo che si trova a piazza di Monte Savello. La cavea non è visitabile, in quanto i pochi resti della cavea e della scena del teatro si trovano appunto sotto questo palazzo e nel giardino del palazzo Savelli - Orsini. Il teatro di Marcello aveva la struttura tipica del teatro romano delineata dalla cavea a pianta semicircolare muri a raggiera collegati da volte a botte inclinate che si trovavano sotto i gradini della cavea, i quali erano interrotti da due ambulacri concentrici, uno esterno, che si apriva con arcate e uno più interno detto Ambulacro dei Cavalieri. La struttura dei fornici si ripeteva a gruppi di sei: uno con rampa in leggera salita conduceva all'ambulacro più interno, due affiancati ospitavano le rampe per salire e scendere dai piani superiori, mentre altri tre erano in comunicano tra loro. Oltre l'ambulacro interno, i fornici proseguivano con vani stretti e lunghi di altezza minore. Gli ambienti più esterni, erano suddivisi da tramezzi in muratura probabilmente di epoca giulio-claudia, che furono probabilmente utilizzati sin dagli inizi ed anche successivamente come botteghe. Un ambiente centrale presentava sulla volta una decorazione in stucco bianco articolata in tondi e ottagoni con figure di repertorio, che fu realizzata probabilmente nella seconda metà del II secolo. La facciata del Teatro Marcello è in travertino e presenta tre ordini, due inferiori con le arcate inquadrate da un ordine di semicolonne doriche, un altro ordine con capitelli tuscanici e prive di base al piano terreno, e capitelli ionici superiormente. Originariamente le arcate erano 41 e le semicolonne 42. I due ordini sono separati da una fascia con risalti in corrispondenza delle semicolonne, che fungevano da marcapiano. L'attico al terzo piano, del quale restano poche tracce, si presentava invece a parete continua ed era decorato con paraste corinzie. Le chiavi d'arco erano decorate da grandi mascheroni teatrali in marmo bianco, alcuni dei quali furono recuperati durante gli scavi. L'altezza originaria doveva raggiungere i 32,60 metri circa, mentre oggi la parte superstite è alta all'incirca 20 metri. Per ragioni statiche data la paludosità del terreno, vi è una alternanza dei materiali usati sia per i blocchi di cui si compongono i pilastri sia delle arcate interne del deambulatorio; i muri radiali dei cunei e il primo tratto dei fornici erano in blocchi di tufo per i primi dieci metri di lunghezza, poi in opera cementizia con paramento in reticolato, con inserti in travertino. per le imposte e le chiavi d'arco, mentre le pareti degli ambulacri interni erano invece in muratura e infine le volte erano tutte in calcestruzzo. La stanza in fondo all'ingresso centrale è l'unica che ha conservato un tratto degli antichi stucchi decorativi della volta. La cavea probabilmente aveva un diametro di 129,80 metri, ed era divisa in una parte inferiore, chiamata ima cavea, accessibile dall'Ambulacro dei Cavalieri, una parte intermedia, chiamata media cavea, accessibile dal secondo piano, e una parte superiore, chiamata summa cavea, accessibile tramite scale dall'ultimo livello. In corrispondenza dell'orchestra del diametro di 37 metri sono stati ritrovati i bassi gradini di marmo che ospitavano i seggi dei posti riservati chiamati proedria. In un frammento della Forma Urbis Severiana si ha una idea di come doveva essere la scena, che si presentava rettilinea e con un portico di sei colonne verso l'esterno. Ai lati della scena vi erano due Aule regie, ambienti absidati coperti con volte a crociera, in quella di sinistra restano ancora in piedi un pilastro e una colonna. Dietro la scena si trovava una grande esedra, dove probabilmente vi erano i due tempietti ricostruiti della Pietas e di Diana. Intorno al 1150 i Fabi fortificarono sia ciò che era rimasto del Teatro Marcello, che la stessa collinetta chiamata oggi Monte Savello e verso la fine del XIII secolo i Savelli ne fecero il loro fortilizio. Nel 1500 Baldassarre Peruzzi costruì i due piani di abitazioni che ancora oggi si vedono,ma il palazzo acquistò la sua forma definitiva nel 1712, allorchè passò agli Orsini. Nel XIX secolo il teatro Marcello era ridotto in condizioni davvero pietose, con il seminterrato e le arcate inferiori occupate da misere bottegucce di straccivendoli e simili, tanto da aver perduto l'aspetto di Teatro e di aver suscitato l'indignazione dello stesso Poeta Gioacchino Belli. Nel 1926, ad opera dell'architetto Alberto Calza Bini, il teatro fu opportunamente ripristinato nella sua forma attuale e debitamente restaurato. Circo Flaminio, Circo Flaminio, (scomparso) purtroppo uno dei problemi è la difficoltà di dare una giusta localizzazione del Circo Flaminio, in quanto non ne restano tracce visibili. Secondo lo storico Festo il Circo Flaminio fu costruito nel Campo Marzio nel 221 ad opera di Caio Flaminio Nepote, che aprì anche la via Flaminia. Il Circo sorse sui terreni di proprietà della Famiglia Flaminia detti Prata Flaminia o Campus Flaminius. Il Circo era un omaggio alla plebe la quale vi tenne i suoi Concilia Plebis, i templi edificati in questa zona erano i duplicati di quelli esistenti nella zona abitata dalla plebe di Roma, ovvero dell'Aventino, e della zona del Foro Boario. Nel circo Flaminio si tenevano i Ludi Plebei, alle idi di Novembre e ed erano dedicati a Giove Ottimo Massimo, sembra che furono indetti dopo la secessione della plebe all'Aventino e per suggellare l'accordo tra patrizi e plebei. I Ludi plebei duravano 14 giorni e si dividevano in Ludi scenici e Ludi circensi che duravano 3 giorni, quando questi furono aboliti, i ludi scenici durarono tutto il periodo. I giochi iniziavano con l'Epulum Iovis in cui si offriva da mangiare al Dio in ciotole di legno, vasi di creta e canestri. Nel Circo Flaminio si celebravano anche i giochi sacri agli Dei dell'oltretomba, che non potevano essere tenuti all'interno delle Mura di Roma. Questi si chiamavo Ludi Tauri che si credeva fossero stati introdotti a Roma da Tarquinio il Superbo, per invocare la fine di una epidemia mortale che colpiva le donne incinte. Nel 158 a.C. nel Circo Flaminio si tennero i Ludi saecolari, che risalivano a Valerio Publicola, e si tenevano nel Campo Marzio, presso il Tarentum un altare sotterraneo dedicato alle divinità degli inferi Dite e Proserpina, questo altare veniva portato fuori nel periodo dei giochi e dopo veniva di nuovo interrato. Questi ludi duravano 3 giorni e 3 notti, le feste iniziavano alla vigilia delle calende di Giugno, e alle persone venivano distribuite fiaccole, zolfo e bitume per purificarsi e dopo orzo, frumento e fave. Nella prima notte si immolavano 3 agnelli e 3 capre, nella seconda notte dedicata alle nascite si offrivano agli Dei sugli altari le facacce, nell'ultima notte dedicata alla Dea Madre si sacrificava una scrofa incinta. Nei sacrifici divini delle stesse feste si offrivano a Giove e a Giunone Regina tori e vacche di colore bianco. In una di queste celebrazioni ve ne fu una che per volere di Augusto si concluse con la recitazione del Camen Saeculare di Ovidio. Il circo Flaminio faceva parte dell'itinerario del corteo trionfale, il trionfo era una vera e propria apoteosi il Generale veniva vestito come Giove e ascendeva al tempio capitolino. Qui nel Circo Flaminio si esponevano anche i trofei di guerra e si tenevano anche gli elogi funebri prima che Augusto facesse costruire il suo Foro. Nel Circo Flaminio si distribuivano premi ai soldati e ai vincitori delle gare teatrali ed atletiche prima che Domiziano facesse erigere il proprio Stadio. Qui Augusto nel 9 a.C. tenne la Laudatio di Druso, una orazione funebre in onore di Druso morto nel 9 a.C., nel 2.a.C. giorno dell'inaugurazione del Foro di Augusto, lo stesso Augusto fece allagare il Circo Flaminio e vi fece svolgere una venatio, con 36 coccodrilli. Il Circo era cosi importante che dava il nome alla regione in cui sorgeva. Forse il Circo ebbe vita fino ai tempi di Domiziano, e che successivamente venne abbandonato forse perchè venuto meno il ruolo della plebe nella vita della città o forse perchè divenuto piccolo per la città. Alla fine del XII secolo nella Roma medioevale il Circo o la zona ove sorgeva fu detta "Castello Aureo", ed in una bolla di Papa Celestino III vengono menzionate le chiese di San Lorenzo in Castello Aureo e di Santa Maria de Castro Aureo. Si sa da testimonianze storiche che il circo Flaminio era circondato da Portici e Templi, tra questi il Tempio di Bellona, il Tempio di Apollo, il tempio di Vulcano, il tempio di Nettuno, il Tempio di Ercole e delle Muse, il tempio di Ercole custode, il Tempio della Pietà, il Tempio di Giunone Regina, il tempo di Giove statore, il Tempio di Diana, il tempio di Marte, il tempio dei Dioscuri, da cui provengono le due statue colossali che ornano la cordonata del Campidoglio .Vi era anche il portico di Metello quello di Filippo e quello di Ottavia. Sembra che il circo Flaminio partisse dal Teatro Marcello e andasse in direzione della via Arenula nell'area di via del Portico d'Ottavia e di piazza Cairoli. E' probabile che per la sua vicinanza al Tevere il circo subisse le inondazioni del fiume Tevere. E' probabile anche che la zona fosse circolare e non simile agli altri circhi di Roma, non si ha menzione di elementi posti a decorazione della sua spina come gli obelischi, mentre si sa che la sua arena serviva a scopi civici e politici, come assemblee, orazioni funebri, riunioni militari, ed è probabile che queste riunioni avvenissero qui nel circo Flaminio e non nel circo Massimo, proprio per la forma particolare del circo Flaminio, sembra che gli unici giochi che si tenessero ogni 5 anni ed erano i Lauda Tori, un pò poco per un luogo che aveva la funzione di Circo. Quindi è probabile che il circo Flaminio fosse un luogo aperto e senza spina, nè carceres, nè gradinate, e forse aveva solo dei sedili provvisori disposti in circolo. I resti dei templi rinvenuti intorno al Circo hanno la disposizione intorno al Cerchio e non intorno ad un rettangolo. Questo campo probabilmente era tra il Portico d'Ottavia e il Teatro Marcello. Ghetto, il quartiere ebraico di Roma, rione Sant’Angelo, questa zona oggi è delimitata da Via Arenula, Via dei Falegnami, Via de' Funari, Via della Tribuna di Campitelli, Via del Portico d'Ottavia e Lungotevere de' Cenci, mentre il Ghetto storico era molto più ristretto e situato tra le attuali Via del Portico d'Ottavia, Piazza delle Cinque Scole ed il Tevere. Il termine ghetto deriva da “gheto” che era una contrada di Venezia abitata da ebrei, da qui il termine si diffuse in tutta Europa ad indicare quei quartieri nei quali, purtroppo, forzatamente, gli ebrei erano costretti a vivere. A Roma il ghetto si trova sulla sponda sinistra del Tevere all’altezza dell’Isola Tiberina, ed il punto di riferimento è la Sinagoga inaugurata nel 1904. La storia degli ebrei romani risale al II secolo a.C., sia quando si verificò una migrazione di mercanti che cercarono fortuna fuori della Palestina e che si recarono verso l’Egitto, l’Asia Minore, la Grecia e l’Italia e sia quando molti ebrei vennero nel 63 a C. deportati da Gerusalemme come schiavi dalle truppe romane di Pompeo. Sotto l’impero di Vespasiano tra il 60 ed il 79 e sotto Tito tra il 79 e l’81, la Palestina venne assoggettata completamente all’Impero Romano. Si narra che sotto l’impero di Augusto, all’inizio del I secolo d.C., a Roma vi fossero tra liberi e schiavi dai 30 ai 40 mila ebrei su una popolazione di un milione di abitanti. Fino agli inizi del IV secolo gli ebrei vissero in un clima di tolleranza. Nel X secolo si hanno poche notizie sulla comunità ebraica a parte quelle riguardanti la nascita di sinagoghe ubicate nella zona di Trastevere e dell’attuale Rione Sant’Angelo. Dal Medioevo fino alla metà dell’Ottocento, le vicende della comunità di Roma furono strettamente condizionate dalla polita del Papato, con fasi alterne e gravi restrizioni, come avvenne durante il pontificato di Innocenzo III, al soglio tra il 1198 e il 1216 che impose agli ebrei di portare dei segni di riconoscimento, che consistevano in una “O” gialla per gli uomini ed in un velo con due strisce blu per le donne. Nel 1555 papa Paolo IV Carafa emanò una bolla con la quale istituiva un quartiere recintato da mura con tre porte che si chiudevano al tramonto e che si aprivano all’alba. Gli ebrei furono obbligati a vivere nello stesso luogo ove svolgevano umili lavori, la loro condizione si aggravò durante il periodo della Controriforma tra il Cinquecento e tutto il Seicento. Solo sotto il pontificato di Papa Pio IX Mastai Ferretti, nel 1848 le porte vennero abbattute. Il Ghetto venne restaurato nel 1888. Durante la seconda Guerra Mondiale, il giorno 16 ottobre 1943 vennero deportati 2000 ebrei, dei quali solo 16 fecero ritorno, ed altri 75 ebrei vennero fucilati alle fosse Ardeatine, il 23 marzo del 1944, in seguito al rastrellamento per rappresaglia contro l’attentato a 32 soldati tedeschi. Gli ebrei del Ghetto vennero a forza prelevati dalle loro abitazioni e fucilati insieme ad altri 260 prigionieri politici e semplici cittadini rastrellati anch’essi per strada, tutti vennero barbaramente assassinati alle Fosse Ardeatine, dove oggi sorge un monumento che ne ricorda la memoria del loro sacrificio. L’istituzione della zona del Ghetto a Roma, risale al 12 luglio del 1555 quando papa Paolo IV, al secolo Giovanni Pietro Carafa, con la bolla ”Cum nimis absurdum”, revocò tutti i diritti concessi agli ebrei romani ed ordinò l'istituzione del ghetto, chiamato "serraglio degli ebrei", questo venne istituito nell’attuale rione Sant'Angelo, nella zona tra le rive del Tevere e il Teatro di Marcello, posta nelle vicinanze dell’Aventino e di Trastevere dove già da tempi immemori viveva la comunità ebraica di Roma. Gli ebrei con questa bolla papale furono obbligati a vivere solo all’interno del ghetto, a portare un distintivo che li rendesse sempre riconoscibili ed inoltre gli veniva proibito di esercitare qualunque commercio ad eccezione di quello degli stracci e dei vestiti usati, era anche proibito il diritto di possedere beni immobili, ed è per questo che gli ebrei accumularono nei secoli ingenti somme di beni mobili come oro e denaro. Inizialmente nel ghetto c’erano due porte che venivano chiuse al tramonto e riaperte all'alba. Il numero degli accessi, aumentando l'estensione e la popolazione del ghetto, fu successivamente ampliato a tre, a cinque e poi ad otto porte. La proibizione al diritto di possesso dei beni immobili da parte degli ebrei portò all’abbandono della cura per le abitazioni e per questo motivo le case del ghetto erano particolarmente fatiscenti. Fu per questo che dopo l’unità d’Italia parte del ghetto venne demolito. Nel 1572 papa Gregorio XIII, al secolo Ugo Boncompagni, impose agli ebrei romani l'obbligo di assistere settimanalmente, nel giorno di sabato, a prediche al fine di convertirli alla religione cattolica. Queste "prediche coatte" si tennero, nel corso dei secoli, con risultati assai modesti, in sedi diverse, tra le quali: la chiesa di Sant'Angelo in Pescheria, la chiesa di San Gregorio al Ponte Quattro Capi, oggi chiesa di San Gregorio della Divina Pietà) e nel Tempietto del Carmelo. L'obbligo fu revocato solamente nel 1848 da Pio IX. Secondo quanto afferma un'antica tradizione gli ebrei si preparavano all'ascolto tappandosi le orecchie con la cera. Il 6 ottobre 1586, con il motu proprio di Christiana pietas, papa Sisto V revocò alcune restrizioni e consentì un piccolo ampliamento del quartiere che raggiunse un'estensione di tre ettari. Le vicende della Rivoluzione francese e delle conquiste napoleoniche, sia pure con anni di ritardo e per un periodo limitato, modificarono le condizioni di vita degli ebrei romani. Il 10 febbraio 1798 le truppe francesi, comandate dal generale Berthier, entrarono in città. Il 15 febbraio venne proclamata la Prima Repubblica Romana, il 17 dello stesso mese all'interno del ghetto, in piazza delle Cinque Scole, fu eretto un "albero della libertà", il 20 papa Pio VI fu costretto a lasciare Roma ed il giorno dopo, a Monte Cavallo, il colle Quirinale, il comandante francese proclamò la parità di diritti degli ebrei e la loro piena cittadinanza. Tale condizione ebbe breve durata: nel 1814, con il definitivo ritorno del nuovo pontefice Pio VII, gli ebrei furono nuovamente rinchiusi nel ghetto. Nel 1825, durante il pontificato di papa Leone XII, il ghetto, la cui popolazione era considerevolmente aumentata, venne ulteriormente ingrandito. Il 17 aprile 1848, papa Pio IX ordinò di abbattere il muro che circondava il ghetto. Con la proclamazione della Repubblica Romana, nel 1849, la segregazione fu abolita e gli ebrei emancipati. Caduta la Repubblica, lo stesso pontefice obbligò gli ebrei a rientrare nel quartiere sia pure ormai privo di porte e recinzione. Il 20 settembre 1870 toccò ad un ufficiale ebreo piemontese l'onore di comandare la batteria dei cannoni che aprì una breccia nelle mura di Roma a Porta Pia, con l'annessione della città al Regno d'Italia, terminò il potere temporale dei papi, il ghetto fu definitivamente abolito e gli ebrei equiparati agli altri cittadini italiani. Nel 1888, con l'attuazione del nuovo piano regolatore della capitale, buona parte delle antiche stradine e dei vecchi edifici del ghetto, malsani e privi di servizi igienici, furono demoliti creando così tre nuove strade: via del Portico d'Ottavia che prendeva il posto della vecchia via della Pescheria, via Catalana e via del Tempio. Sono scomparsi in questo modo interi piccoli isolati e strade che costituivano il vecchio tessuto urbano del rione, sostituiti da ampi spazi e quattro nuovi isolati più ordinati ma anche meno caratteristici. Per avere un'idea di come doveva apparire il vecchio ghetto basta osservare la fila di palazzi che si trovano sul lato di via del Portico d'Ottavia, accanto a ciò che rimane dell'antico complesso augusteo. Nel 1889 venne indetto un concorso per la costruzione della nuova sinagoga e selezionati due progetti. Nel 1897 la Comunità ebraica acquistò dal Comune di Roma l'area tra Lungotevere Cenci e via del Portico d'Ottavia, resa libera dalle precedenti demolizioni, per la costruzione del tempio. Nel 1899 venne scelto il progetto degli architetti Osvaldo Armanni e Vincenzo Costa, ispirato a motivi assiro-babilonesi e dell'Art Nouveau. I lavori, iniziati nel 1901, terminarono nel 1904 ed il 29 luglio dello stesso anno il Tempio Maggiore di Roma fu inaugurato. Nel seminterrato dell'edificio ha trovato recentemente sistemazione il Museo ebraico. Una caratteristica gastronomica della cucina ebraica del Ghetto di Roma è il brodo di pesce, un tempo parte della tradizione culinaria povera, qui un tempo per la vicinanza con il Tevere ed il porto di Ripa Grande vi era il mercato del pesce, i cui scarti venivano accatastati nei pressi della chiesa di Sant’Angelo in Pescheria, le donne ebree li raccoglievano e con le parti meno nobili del pesce, teste, lische li cucinavano con l'acqua, ne nacque così uno dei piatti della Roma allora una ricetta semplice e povera ed ora uno dei piatti più richiesti nei ristoranti della zona. Lapide murata alla destra del Portico D’Ottavia, rione Sant’Angelo, Roma, lunga1,13 metri, con una iscrizione latina che ricorda l'obbligo di consegnare ai Conservatori dell'Urbe, la magistratura elettiva cittadina, la testa ed il corpo, fino alla prima pinna, usque ad primas pinnas inclusive, di ogni pesce più lungo della lapide stessa. Il Portonaccio, via del Portico d'Ottavia 13, Rione Sant’Angelo, Roma, è qui che all'alba di sabato 16 ottobre 1943, i nazisti effettuarono una retata, che si svolse anche in tutta Roma catturando circa 1022 ebrei, tra loro 680 donne, 360 uomini, 207 tra bambini e bambine. I tedeschi dopo aver circondato il quartiere ebraico, effettuarono un rastrellamento catturando numerose persone, soprattutto in via del Portico d'Ottavia. Da uno dei due palazzi rinascimentali della via, al numero civico 13, chiamato "il portonaccio", furono prelevate a forza molte delle persone poi deportate. I prigionieri furono rinchiusi nel Collegio Militare di Palazzo Salviati in via della Lungara, trasferiti alla stazione ferroviaria Tiburtina, e circa 1000 ebrei furono caricati su un convoglio composto da 18 carri bestiame. Il convoglio, partito il 18 ottobre, giunse al campo di concentramento di Auschwitz il 22 ottobre. Solo 17 deportati riusciranno a sopravvivere, tra questi una sola donna, Settimia Spizzichino, alla quale, nel 2012, è stato dedicato il ponte sulla ferrovia nel quartiere Ostiense e nessun bambino. Largo Arenula è tra via di Torre Argentina e la via Arenula, rione Regola, rione Sant’Eustachio, rione Pigna, rione Sant’Angelo, Roma. Il largo Arenula venne aperto distruggendo la chiesa di Sant’Elena e la piazza omonima, la chiesa di Sant’Anna dei Falegnami e la piazza omonima e la piazza Branca. Nel 1895 venne eretto il monumento a Pietro Cossa rimosso poi nel 1939 e scomparso definitivamente. Via Arenula, va da Largo Arenula a lungotevere De Cenci, rione Regola e rione Sant’Eustachio, rione Pigna, rione Sant’Angelo, Roma, sia il largo che la via Arenula prendono il nome dalla rena del Tevere che per le inondazioni si depositava in questa zona. La via attuale venne aperta nel 1880 per collegare il largo di Torre Argentina con il ponte Garibaldi, distruggendo in tal modo parte di via delle Zoccolette e antiche chiese come la chiesa di Santa Maria de' Calderari, la chiesa di San Bartolomeo dei Vaccinari, la chiesa di Sant’Anna dei Falegnami" e la chiesa dei Santissimi Vincenzo ed Anastasio dei Cuochi", così denominata perché sede della Compagnia della Santissima Annunziata dei Cuochi e dei Pasticceri. Oggi la via Arenula non ricalca in alcun modo la antica via medioevale nota come Major Arenula, via che un tempo era percorsa dal papa per recarsi alla chiesa di Sant’Anastasia, ma corrisponde alle attuali via di Monserrato, piazza Capodiferro e via di San Bartolomeo de Vaccinari. Da vedere tra largo Arenula e via Arenula la chiesa si Santa Maria in Cacaberis, il palazzo Chiassi Lais e il Ministero di Grazia e Giustizia. Chiesa di Santa Maria in Cacaberis, scomparsa, venne demolita nel 1892, detta anche chiesa S, Maria Cacaberi, Catthabaris, Cacabaris e Santa Maria dè Catinari fu tra le prime chiese di Roma dedicate all’Immacolata Concezione di Maria. Palazzo Chiassi Lais, su via Arenula, Roma, è caratterizzato da una struttura e da decorazioni in ferro, fu edificato alla fine dell’800 su progetto di Angelo Balzani. Palazzo del Ministero di Grazia e Giustizia, via Arenula, Roma ospita il dicastero del Governo Italiano che si occupa dell'amministrazione giudiziaria civile, penale, penitenziaria e minorile. fu progettato da Pio Piacentini, iniziato nel 1913 fu terminato nel 1927, dopo la Prima Guerra Mondiale, nel 1929 con la costruzione di una nuova ala del ministero vennero distrutti alcuni edifici del rione Regola. È un bell’edificio nonostante le dimensioni grandiose, realizzato in uno stile vagamente rinascimentale, con il bel prospetto sugli spigoli è rimasto lo stemma dei il portale a tre arcate è ornato da quattro figure a rilievo entro tondi che esortano al rispetto della giustizia. Ponte Garibaldi, fa parte del rione Regola e del rione Trastevere, Roma, collega Trastevere con la riva sinistra del Tevere verso l'Arenula e largo Argentina, in origine era in ferro, ma nel 1953 fu completamente restaurato, rinforzato con cemento armato e travertino, è lungo 151,80 metri e largo 20 metri, con due campate centrali che poggiano su un pilone centrale e due testate rivestite in travertino, è stato intitolato a Giuseppe Garibaldi eroe del Risorgimento Italiano che difese la Repubblica sul vicino colle Gianicolo. C'è da dire che Papa Pio IX aveva deciso di abolire tutte le barchette di Roma, e costruire nuovi ponti, ma la situazione politica cambiò, Camillo Benso di Cavour aveva deciso che all'Unità d'Italia serviva una capitale, le truppe piemontesi erano già entrate nelle zone pontificie, e il papa dovette cedere alla storia. Pertanto nonostante Roma avesse bisogno di ponti, per altri problemi politici e sociali, la questione venne accantonata, ma si ripresentò con tutta la sua importanza e gravità con la piena del 1870. Si dovette affrontare con urgenza, il problema di sistemare definitivamente gli argini del Tevere, gli alvei e di creare nuovi ponti per la città di Roma e dare un definitivo assetto al fiume. Garibaldi proponeva l'abbattimento dei ponti Fabricio, ponte Cestio, ponte Rotto e ponte S. Angelo, per permettere alle acque del fiume un maggiore afflusso in caso di piena e sostituirli con dei ponti in ferro ad una sola arcata, anche se a ponte S. Angelo le acque defluivano benissimo, fortunatamente si fecero delle modifiche senza abbattere proprio tutto. C'era comunque l'esigenza di avere un nuovo ponte, che collegasse il centro di Roma a Trastevere e cosi si procedette alla costruzione di ponte Garibaldi, uno dei quei ponti "Risorgimentali" di Roma, dedicati agli eroi del Risorgimento, appunto. Roma divenne capitale nel 1870, gli unici ponti ancora transitabili a Roma erano il ponte Fabricio, il ponte Cestio, il ponte Sisto, il ponte Sant'Angelo, il ponte di Ripetta, il ponte dei Fiorentini, il ponte Milvio, pochi ponti per una città come Roma. La costruzione del ponte Garibaldi viene affidata all'Architetto Vescovali, e viene terminato nel 1888, verrà inaugurato solennemente il 6 Giugno. Con voto unanime il ponte venne dedicato a Giuseppe Garibaldi, ed in quell'epoca sarà il terzo ponte più largo del mondo, superato solo dai due ponti sulla Senna a Parigi. Per la sua epoca, ponte Garibaldi è un ponte molto moderno, su due arcate ed una spalletta, senza ornamenti nè decorazioni, ornato solo da piccole colonne di marmo sulle quali sono incisi i luoghi della epopea garibaldina, da qui si gode la bellissima vista dell'Isola Tiberina. Il ponte collega lungotevere Cenci nel Rione Regola, con piazza Giuseppe Gioacchino Belli a Rione Trastevere, inizialmente si doveva chiamare ponte alla Regola, ma morto il Generale Garibaldi nel 1882, il ponte venne a lui dedicato. Garibaldi venne a Roma con la moglie Anita durante il periodo della Repubblica Romana nel novembre del 1848, e venne eletto come membro dell'Assemblea Costituente della nascente Repubblica. Nel 1849 con il grado di Generale organizzò l'azione militare contro le truppe Francesi e Borboniche fedeli a Papa Pio IX. Ci fu la gloriosa resistenza al Gianicolo, e la resa Garibaldina, per cui Garibaldi lasciò Roma per dirigersi verso Venezia insorta. Durante questo viaggio assediato dalle truppe austriache, il 4 Agosto presso Comacchio perse la moglie Anita. Dopo i trionfi del 1860 e la conquista del Regno delle due Sicilie. Ci furono altri tentativi per liberare Roma dal potere pontificio, nel 1867 Garibaldi organizzò un'altra incursione a Roma ma fu sconfitto a Mentana, tornò dopo Porta Pia a Roma, nel 1875 eletto in parlamento, venne accolto trionfalmente dalla folla. A Montecitorio sostenne un grande progetto per il rinnovamento della capitale, e tra queste, opere sul Tevere per evitare future inondazioni e la bonifica delle campagne romane, a quell'epoca la malaria era endemica nei ceti più poveri, dopo la sua morte oltre che con ponte Garibaldi, Roma lo volle ricordare anche con la statua equestre al Gianicolo, opera di Emilio Gallori, inaugurata il 20 settembre del 1895. Nel 1953 ci fu un abbassamento dell'arcata sinistra del ponte di 13 centimentri, che comportò una sua radicale trasformazione, tra il 1955 e il 1957 vi fu l'ampliamento e la ricostruzione in cemento armato delle campate, l'allargamento della carreggiata, la cui larghezza passò a 23 metri, e la messa in opera di nuove ringhiere parapetto. L'unico ornamento del ponte sono 4 colonne lisce sormontate da una sfera, sulle quali sono incisi i nomi e le date delle battaglie dell'eroe che furono collocate ai due accessi come semplice e austera commemorazione dell'epopea garibaldina. Il ponte è il completamento del rettifilo tra via Arenula e viale Trastevere. Via Arenula, sulla riva destra del Tevere, è una strada dritta, che arriva a largo Argentina, la cui costruzione ha comportato l'abbattimento di edifici rinascimentali presso il fiume, ricorda la antica via Arenula che era invece più a valle verso lungotevere Tebaldi, qui c'è il Ministero di Grazia e Giustizia progettato nel 1913 da Pio Piacentini. Anche l'edificazione di questo Ministero comportò la perdita di edifici rinascimentali, dei quali si salvò solo la casa di San Paolo alla Regola. Dal lato di Trastevere, la costruzione di viale Trastevere, un tempo detto via Reale, o viale del Re, comportò la distruzione di vari edifici, qui c'è all'inizio piazza Gioacchino Belli, con il monumento al poeta romano, opera dello scultore siciliano Michele Tripisciano realizzato nel 1913. Via dei Falegnami, va da via Arenula a piazza Mattei, fa parte del rione Sant’Eustachio e del rione Sant’Angelo, Roma, sia la via che il vicolo prendono il nome dalle numerose botteghe di falegnami che erano in questa zona, vi lavorava anche gli arcari, che erano i fabbricanti di enormi casse di legno che venivano utilizzate per riporvi i corredi nuziali delle ragazze della nobiltà romana. Vicolo dei Falegnami, va da via Arenula al vicolo di Sant’Elena, fa parte del rione Sant’Eustachio e del rione Sant’Angelo, Roma, il vicolo anticamente partiva da piazza Cairoli, un tempo chiamata piazza San Carlo ai Catinari ed arrivava a piazza Mattei, si chiamò anche vicolo dei Catinari. Via de Funari, va da piazza Campitelli a piazza Mattei fa parte del rione Sant’Angelo, vi sono tracce della famiglia Funari, che erano dei torcitori di funi, che si era insediata nella zona di via Michelangelo Caetani e via Tor de Specchi, la via de Funari occupa una parte dell’antico circo Flaminio, e vi si trova la chiesa di Santa Caterina de Funari, i torcitori di funi, avevano una loro chiesa in Santo Stefano in Piscinula detta de Funaris.Qui vi era anche un ricovero per le orfane fondato nel 1543 da Santa Caterina, da vedere nella zona la chiesa di Santa Caterina de Funari, il palazzo Mattei di Giove, il palazzo Patrizi Clementi Ascarelli. Chiesa di Santa Caterina de Funari, sostituì l’antichissima chiesa di Santa Maria dominae Rosae, la chiesa fu detta anche in castro aureo per la sua vicinanza alle rovine del Circo Flaminio, fu fatta riedificare nel 1544 dal cardinale Cesi e prese l’attuale denominazione. Palazzo Patrizi Clementi Ascarelli, è un palazzo tardo Cinquecentesco costruito sul luogo di una celebre torre, la torre dei Michelangolo, che fu per secoli un punto di riferimento era su via dei Delfini, il palazzo è stato restaurato nel 1937, e nel 1965 fu acquistato dallo Stato Italiano, è sede della Soprintendenza dei Beni Ambientali e Architettonici del Lazio. Via della Tribuna di Campitelli, va da via Sant’Angelo in Pescheria a piazza Campitelli, fa parte del rione Sant’Angelo, prende il nome dall’abside o dalla tribuna della chiesa di Santa Maria in Campitelli che fiancheggia la via e la piazza omonima. Via del Tempio, va da lungotevere de Cenci a via del Portico d’Ottavia, fa parte del rione Sant’Angelo, prende il nome dal tempio ebraico, la Sinagoga, costruito nel 1904. Lungotevere De Cenci Roma, si trova tra il Ponte Fabricio all'Isola Tiberina e ponte Garibaldi, sul lato opposto al Tevere si trova il lungotevere degli Anguillara. Il lungotevere de Cenci fa parte del rione VII Regola e del Rione XI S. Angelo. Il nome ricorda la famiglia De Cenci, e il delitto di Francesco Domenico Guerrazzi tiranno verso i suoi 7 figli, il quale li cacciò di casa, e la figlia Beatrice Cenci divenuta l'amante di Olimpio Calvetti. Fu nel 1598 che Beatrice fece uccidere il padre e gettò il corpo in giardino per simularne una morte accidentale; incriminata Beatrice per discolpare i fratelli confessò la colpa del delitto, ma vennero ugualmente rinchiusi e giustiziati l'11 settembre del 1599, tranne Bernardo che rimase nelle galere. Il popolo romano idealizzò Beatrice Cenci ritenendola innocente e che fosse stata giustiziata solo per aver voluto salvare i fratelli. Il lungotevere De Cenci è uno dei più belli di Roma, situato come è tra l'Isola Tiberina e il Campidoglio, qui c'è la Sinagoga, il tempio ebraico di Roma, realizzata dagli architetti Osvaldo Armanni e Luigi Costa tra il 1889 e e il 1904, in stile assiro-babilonese a cupola quadrata e con decorazioni dei pittori Annibale Brugnoli e Domenico Bruschi, annesso alla Sinagoga vi è il Museo della Comunità Ebraica di Roma, ricco di argenti liturgici e paramenti sacri. All'angolo tra Lungotevere De Cenci e via del Tempio vi è il villino Astengo realizzato nel 1914 su progetto di Ezio Garroni in stile Liberty ha delle preziose decorazioni ed affreschi di Giuseppe Zina. La piazza de Cenci, detta anticamente piazza sterrata dell'Arco de Cenci e anche piazza di San Tommaso a capo delle Mole, era divisa da un muraglione da piazza delle Scole, e rimase così fino al 1847, vi sorgeva la dogana del Ghetto e vi si apriva uno dei grossi portali di accesso al quartiere degli Ebrei. Fu detta invece monte Cenci, una piccola altura formata dalle rovine del Teatro di Balbo, la cripta Balbi, sulla quale sorse il palazzo Cenci. Nei pressi del monte dei Cenci sorgeva la chiesa di Santa Maria in Candelabro, detta Santa Maria a Capo delle Mole, ed anche chiesa di S. Maria Juxta Flumen, già distrutta al tempo dei Terribilini, ebbe l'appellativo in candelabro o in candelora, dal candelabro a sette bracci del culto ebraico, scolpito in alcuni edifici del ghetto e per la vicinanza con la antica Sinagoga. Il palazzo de Cenci attribuito in origine ai Crescenzi è formato da un complesso di 4 fabbricati di varie epoche articolati sulla piazza de Cenci, il vicolo de Cenci, la piazza del Monte de Cenci e delle Cinque Scole, conserva solo in parte il tuo impianto originario. Al numero 56 di piazza De Cenci vi è la facciata principale del Palazzo De Cenci, suggestivo il cortile con colonne doriche. La chiesa di San Tommaso ai Cenci era detta "a Capo delle Mole", per la vicinanza alle mole e ai molini ancorati al vicino Tevere, ebbe anche l'appellativo di San Tommaso Fraternitas perchè per un periodo fu la sede della Romana Fraternitas il più antico e importante dei sodalizi romani, qui vi ebbero la sepoltura gli appartenenti alla Famiglia De Cenci, oggi appartiene alla Confraternita dei Vetturini detti in romanesco Bottari, che ogni anno vi fanno celebrare una messa nel giorno del supplizio di Beatrice Cenci e del fratello Giacomo. L'altare maggiore ha un tondo di murra turchina che è una varietà di marmo di estrema rarità, l'unico che si conosca a Roma. La via Beatrice Cenci, che va da piazza de Cenci a lungotevere Cenci, è l'unica strada al mondo dedicata ad una parricida. Monte dei Cenci, è una piccola altura artificiale formatasi in parte dalle rovine del lato ricurvo del Circo Flaminio, fa parte del rione Regola, Roma, la via de Cenci ha un assetto medioevale ed ospita l'ingresso del complesso residenziale della famiglia romana De Cenci, la parte posteriore del palazzo affaccia su piazza de Cenci mentre la facciata è su via Monte De Cenci. Il palazzo è legato alle vicende tragiche di Beatrice Cenci. Appartiene al palazzo una torre, risalente al 1252 con il nome di Turris de Cintiis, di proprietà di Petrus Cinthii, dal quale venne acquistata da Giacomo Cenci il 15 settembre 1370. Di fronte al palazzo De Cenci c'è la chiesa di San Tommaso chiamata un tempo "in capite molarum", "a capo delle mole" per la sua vicinanza ai molini ancorati nel Tevere. Quando nel XIV secolo, la potente famiglia dei Cenci venne a stabilirsi in questo luogo, la chiesa era la cappella gentilizia della famiglia, oggi la chiesa appartiene alla Confraternita dei Vetturini, o Bottari i quali ogni anno vi fanno celebrare una messa l'11 settembre a ricordo del giorno del supplizio di Beatrice e Giacomo Cenci. Via Monte de Cenci, va da via Beatrice Cenci a piazza delle Cinque Scole fa parte del rione Regola, prende il nome dalla piccola altura che si formò dai detriti delle rovine del teatro di Balbo e sulla quale venne edificato il palazzo della famiglia Cenci. Torre de Cintiis, via monte dei Cenci, una torre, risalente al 1252 conosciuta con il nome di Turris de Cintiis, di proprietà di Petrus Cinthii, dal quale venne acquistata da Giacomo Cenci il 15 settembre 1370, si trovava al civico 20 il cui portale è sormontato da un rilievo romano con testa di Medusa, la struttura che sovrasta questo portale, nonostante i rifacimenti cinquecenteschi, va identificata con l'antica "Torre dei Cenci", rammentata sin dal XIII secolo: il gioco delle finestre sovrapposte e la parte terminale, a grandi finestroni, sembrano proprio avallare questa ipotesi. La torre venne Via Beatrice Cenci, va da piazza dei Cenci a Lungotevere dei Cenci fa parte del rione Regola, è l’unica strada al mondo dedicata ad una parricida. Piazza De Cenci, fa parte del rione Regola e del rione Sant’Angelo, si trova tra via Arenula e via Beatrice Cenci, il toponimo deriva dalla famiglia Cenci tristemente nota per le tragedie familiari di cui fu protagonista tra il 1598 e il 1599. Beatrice Cenci fu la protagonista di quegli avvenimenti, e dell’uccisione del padre padrone, tiranno e crudele verso la famiglia e soprattutto verso i suoi 7 figli. Il padre li cacciò di casa e Beatrice una volta divenuta l’amante di Olimpio Calvetti, indusse Olimpio ad uccidere suo padre e a gettarne in cadavere in giardino così da simularne una morte accidentale, ma alla fine Beatrice confessò il delitto e se ne prese tutta la colpa al fine di scagionare i fratelli, ma fu un gesto inutile perché tutti vennero condannati a morte e giustiziati a ponte Sant’Angelo, tranne il fratello Bernardo che il papa volle graziare, obbligandolo però ad assistere alla morte dei fratelli e mandandolo poi in prigione. Il popolo romano, idealizzò Beatrice Cenci, ritenendola innocente. Questa piazza un tempo si chiamava Sterrata dell’Arco dei Cenci, e prima del 1847 era divisa con un muro dalla piazza delle Cinque Scole. Vicolo de Cenci, fa parte del rione Regola e del rione Sant’Angelo, il nome deriva dalla famiglia Cenci, forse derivante dalla gens Cintia, che qui possedeva il palazzo Cenci Palazzo Cenci, vicolo de Cenci, fa parte del rione Regola e del rione Sant’Angelo, sembra sia stato costruito sulle rovine della cripta Balbi, ha la facciata in stile barocco. Durante il colera del 1837 il palazzo Cenci venne adibito a lazzaretto per gli ebrei. Il palazzo Cenci era costituito da un complesso di palazzi che furono realizzati nel corso dei secoli a partire dal Cinquecento quando i Cenci acquistarono e demolirono le case dei Crescenzi costruendovi sopra i propri edifici tra i 1570 e il 1585. L’ingresso al palazzo dei Cenci è a piazza dei Cenci 56, qui si trova un cortile porticato a colonne doriche, il palazzo si sviluppa tra il vicolo dei Cenci, piazza delle Cinque Scole e via del Monte dei Cenci. Il coronamento del terzo piano è formato da un fregio con le mezzelune dei Cenci e le aquile dei Lante, a memoria del matrimonio tra Ludovico Cenci con Laura Lante del 1575. In questo palazzo nel 1855 papa Pio IX vi fondò il Collegio militare pontificio detto dei cadetti. Arco dei Cenci, si trova tra piazza dei Cenci e via di Santa Maria dei Calderari, qui un tempo c’era un convento di monache che fu soppresso da papa Pio V nel 1568, davanti a questo arco vi era una immagine trecentesca della Madonna con il bambino che fu poi portata nel 1612 nella chiesa di Santa Maria del Pianto. Chiesa di San Tommaso ai Cenci, questa chiesa apparteneva alla confraternita dei Vetturini, chiamati Bottari in romanesco, i quali guidavano la “botte”, una vettura a cavallo il cui diminutivo era botticella. In questa chiesa venne sepolto Giacomo Cenci che fu giustiziato insieme ai fratelli e a Beatrice per aver ucciso il padre. La chiesa di San Tommaso in origine era sede della "Romana Fraternitas", la più importante fra le antiche associazioni romane, che aveva scopi assistenziali e funerari. Nel XIV secolo, quando la potente famiglia dei Cenci venne a stabilirsi in questo luogo, ne divenne la cappella gentilizia. La chiesa oggi è il risultato dei lavori fatti eseguire da Cristoforo Cenci nel 1555 e terminati dal figlio Francesco nel 1575. La facciata semplice e lineare presenta due portali di cui uno murato sormontati da due oculi che affiancano una cornice posta al centro della facciata su cui doveva originariamente esservi un affresco, fra i due ingressi si trova un'ara funeraria d'età flavia dedicata, non a caso, ad un certo "M. Cincius Theophilus", prelevata chissà da quale luogo e qui trasferita dai Cenci. Completa la facciata un iscrizione in latino che tradotta recita: "Francesco Cenci, figlio di Cristoforo e patrono della chiesa, si curò di abbellire e di completare questo tempio con i beni per il culto divino e la decorazione con il necessario per la perpetua memoria nell'anno del Giubileo 1575". L'interno si presenta a navata unica, all’interno vi sono alcune opere del XVI e XVII secolo, tra le quali alcuni affreschi del Sermoneta, pseudonimo di Girolamo Siciolante. Degna di nota la presenza, sull'altare maggiore, di un tondo di murra turchina, una varietà di marmo molto rara tanto da essere l'unico pezzo presente a Roma. Villino Astengo, è all'angolo tra Lungotevere De Cenci e via del Tempio fu realizzato nel 1914 su progetto di Ezio Garroni in stile Liberty ha delle preziose decorazioni ed affreschi di Giuseppe Zina. Casa dei Vallati, fu edificata nell’area del Teatro Marcello, raro esempio di casa medioevale del ‘300, rimaneggiata nel ‘500 e nel 1927, conserva un portale ricavato dai resti di marmi antichi. Lapide commemorativa della deportazione del 16 ottobre 1943, a ricordo delle vittime delle deportazioni naziste e fasciste contro gli ebrei. Piazza delle Cinque Scole, rione Regola, Roma, va da Lungotevere Cenci a via di Santa Maria del Pianto, la piazza prende il nome dalle scuole ebraiche un tempo riunite in questo luogo e chiamate la Scola Nuova, la Scola del Tempio, la Scola Siciliana di rito italiano, la Scola Catalana, la Scola Castigliana di rito spagnolo, distrutte dall’abbattimento del Ghetto nel 1889. Queste cinque Scole avevano l’ingresso in cima ad una scaletta esterna posta su un ripiano con ringhiera dove si aprivano due porte, su questo luogo venne ricostruita nel 1930 la Fontana del Pianto, realizzata da Giacomo della Porta nel 1591 e che in precedenza era collocata a piazza Giudea del Ghetto. Fontana del Pianto, piazza delle Cinque Scole, rione Regola, Roma, fu fatta erigere da papa Gregorio XIII nella seconda metà del XVI secolo su disegno di Giacomo Della Porta, affinché, "anche gli Ebrei avessero refrigerio dell'acqua e abbellimento". La fontana ha questo nome perchè originariamente era situata al centro di piazza Giudea, presso la chiesa di Santa Maria del Pianto. La fontana aveva anticamente due draghi, emblema araldico sia dei Boncompagni che dei Borghese, casate alle quali appartenevano sia papa Gregorio XIII che papa Paolo V, i quali gettavano l'acqua nella grande vasca e da questa, per mezzo di conchiglie sulle quali era scolpito il candelabro a sette braccia, l'acqua si riversava in due abbeveratoi: ma Innocenzo X al soglio tra il 1644 e il 1655, la fece rimpicciolire e questa decorazione scomparve. La fontana era collocata vicino al palo dove si faceva "justitia per gli Hebrei" dove, cioè, si giudicavano i reati commessi dagli ebrei e dove venivano messi all'asta, fino al XVIII secolo, "i pegni che tengono li Giudii". La fontana, dopo essere stata demolita all'epoca dei lavori di trasformazione della zona nel 1887 ed aver trascorso un lungo periodo nei magazzini comunali, fu posta, per alcuni anni, di fronte alla chiesa di Sant’Onofrio al Gianicolo e solo nel 1930 fu collocata a piazza delle Cinque Scole. Sinagoga, si trova tra piazza delle Cinque Scole e il Lungotevere De Cenci, rione Sant’Angelo, Roma, il nome deriva dal greco e significa “assemblea” e in ebraico “luogo di riunione”, mentre l’usanza ebraico-italiana definiva come “scola” la Sinagoga. Il Tempio Ebraico di Roma si trova all’interno del Ghetto ebraico, e quello di Roma è tra i più antichi ghetti del mondo, è sorto infatti 40 anni dopo quello di Venezia che fu in assoluto il primo ghetto. Il termine “ghetto” deriva dal nome della contrada veneziana, “gheto”, dove esisteva una fonderia che era definita appunto dal termine “gheto” in veneziano, luogo dove gli ebrei di Venezia furono costretti a lavorare e a risiedere. La Sinagoga di Roma venne inaugurata nel 1904, è un edificio a pianta centrale sovrastato da una enorme cupola decorata all’interno da affreschi, la struttura è di stile assiro-babilonese. La Sinagoga di Roma fu costruita dopo l’Unità d’Italia, su progetto degli architetti Vincenzo Costa e Osvaldo Armanni, allievi di Calderini, dopo che il Re Vittorio Emanuele II concesse la cittadinanza italiana agli ebrei, dopo aver fatto demolire la antica Sinagoga che ospitava cinque scole ebraiche la Castigliana, la Catalana, la Siciliana, la Nova e l'Italiana e dopo aver demolito e ricostruito il Ghetto. Il Tempio Ebraico di Roma è una costruzione di grandi dimensioni, la cupola è visibile anche da lontano, il complesso ha un aspetto massiccio, su base quadrata. All’interno la Sinagoga è divisa in due piani, uno sottoterra che ospita il museo e la piccola Sinagoga detta Tempio spagnolo ed un altro ambiente a livello del terreno che ospita la Sinagoga Maggiore. Nel museo ebraico sono visibili diversi indumenti della tradizione ebraica, un Aron Ha-Kodesh e un candelabro provenienti dagli arredi delle famose cinque scole. La sinagoga si presenta come una grande stanza centrale con due piccole navate laterali. In fondo alle due navate sono stati posizionati due piccoli Aron Ha-Kodesh provenienti dalle vecchie scole. Nella parete rivolta ad oriente è ben visibile l'imponente Aron Ha-Kodesh del Tempio Maggiore. Su tre lati del tempio (escluso quello dove ha sede l'Aron, l’armadio in cu vengono conservati i rotoli sacri rivolto verso la città di Gerusalemme) in posizione rialzata, vi è la zona dedicata alle sole donne, il matroneo. Tutto l'interno della sinagoga, compresa la cupola, è riccamente decorato con motivi orientali. Il 9 ottobre 1982, un commando di terroristi palestinesi assalì i fedeli che uscivano dalla Sinagoga con raffiche di mitra ed il lancio di una granata, causarono la morte del piccolo Stefano Taché di due anni ed il ferimento di 35 persone. Il 13 aprile 1986, Giovanni Paolo II si recò in visita al Tempio Maggiore, accolto dal presidente della Comunità ebraica di Roma Giacomo Saban e dal rabbino capo Elio Toaff. Nel suo discorso definì gli ebrei "i nostri fratelli prediletti e, in un certo modo, si potrebbe dire i nostri fratelli maggiori”. Il 17 gennaio 2010 papa Benedetto XVI ha visitato il Tempio Maggiore rinsaldando il dialogo ebraico-cattolico e rendendo omaggio alle vittime dello sterminio nazista. Via Catalana, rione Sant’Angelo, Roma, va da piazza delle Cinque Scole a via del Portico d’Ottavia, fa parte del rione Sant’Angelo, ricorda la Schola Catalana organizzata nella Sinagoga dei Catalani ebrei fuggiti dalla Spagna che si rifugiarono a Roma in seguito alle persecuzioni di Torquemada. Museo d’Arte Ebraica a Roma, piazza delle Cinque Scole, l’ingresso al museo è su via Catalana, rione Sant’Angelo, Roma, si trova negli ambienti sottostanti la Sinagoga, qui sono conservati i rotoli di pergamena contenenti la Torah, la Legge, oggetti legati alle celebrazioni del culto e documenti della storia della comunità ebraica. Il Museo è stato inaugurato il 23 novembre 2005, qui si trovano anche iscrizioni, calchi di lapidi, arredi, tessuti sacri, argenti, manoscritti, che testimoniano la vita della comunità ebraica di Roma. Una sala del museo è dedicata alla Shoah con documenti sulle tragiche deportazioni degli ebrei del 1943. Chiesa di Sant’Angelo in Pescheria, rione Sant’Angelo, Roma, è preceduta dai resti del portico d’Ottavia, la chiesa ha questo nome perché qui si teneva il mercato del pesce, fu edificata nell’VIII secolo e più volte venne riedificata, adiacente alla chiesa c’è l’Oratorio di Sant’Andrea dei Pescivendoli del ‘600. A Sant'Angelo in Pescheria è legato, inoltre, un ricordo storico relativo ad un personaggio importante del medioevo romano: Cola di Rienzo che, dalla mezzanotte della vigilia di Pentecoste del 1347 sino alle dieci del mattino seguente, assistette in questa chiesa a trenta messe dello Spirito Santo per poi salire in Campidoglio, scortato da un centinaio di uomini e preceduto da tre gonfaloni, ove proclamò, di fronte al popolo romano, i suoi ordinamenti dello buono stato. Fu in questa chiesa che Papa Stefano II traslò nel 752, le reliquie di santa Sinforosa, di san Getulio e dei loro sette figli. Nel 1610 ne venne rinvenuto il sarcofago, recante l'iscrizione: Hic requiescunt corpora SS. Martyrum Simforosae, viri sui Zotici (Getulii) et Filiorum ejus a Stephano Papa translata. La chiesa di Sant’Angelo in Pescheria non ha una facciata vera e propria, presenta solo un muro in mattoncini al centro del quale vi è il portale inglobato da tre colonne corinzie provenienti dal Portico d’Ottavia. La chiesa ha 3 navate, la centrale più alta e larga delle due laterali. La navata centrale a capriate lignee è l’unica provvista di finestre con archi a tutto sesto. La controfacciata della chiesa, decorata con dipinti a finto marmo, ha una cantoria lignea contenente un organo sette-ottocentesco non più in grado di suonare. In alto si può vedere un pezzo della cornice del timpano della fronte arretrata dei propilei del Portico di Ottavia. Sotto la cantoria, ai lati della bussola, si trovano la lapide di consacrazione della prima chiesa e quella di riconsacrazione. Nella seconda campata della navatella si trova il Monumento all’astronomo e matematico Giacomo Richebeach (1776-1841). Il monumento ottocentesco in marmo, è posizionato sopra un basamento, presenta una lapide sormontata dal busto dell’astronomo. Nell’ultima campata si trova, l’altare di San Francesco Caracciolo, che in origine era dedicato alla Madonna delle Grazie poiché conteneva la pala trecentesca della Madonna col Bambino firmata da Petrus de Belizo pictor e dal presbiter Belushomo pictor, ora collocata in un altro luogo. Al suo posto, sull’altare di Giacomo Della Porta, si trova una moderna scultura raffigurante la Santa Croce. Sotto di essa, poggiato sulla mensa dell’altare fatto a forma di sarcofago squadrato, si trova il quadretto di San Francesco Caracciolo. Sulla parete destra dell’ultima campata della navata di sinistra di Sant’Angelo in pescheria si trova il bellissimo affresco della Madonna col Bambino e Angeli (1447-1450), opera del pittore Benozzo Gozzoli. Il prezioso dipinto anticamente si trovava sulla parete esterna della canonica, ma solo da qualche anno è stato spostato all’interno della chiesa per motivi di conservazione. L’affresco è attualmente situato all’interno di una cornice lignea. La cappella di Sant’Andrea fu eretta come sede della Compagnia dei Pescivendoli nel 1571; nel 1618, poi, fu restaurata dall’Università dei Pescivendoli. Solo ultimamente è diventata la Cappella del Santissimo Sacramento. La cappella del Santissimo Sacramento chiude scenograficamente la navata destra della chiesa. Nei suoi pochi metri di larghezza e profondità racchiude delle opere d’arte molto preziose legate fra di loro da una serie di stucchi dorati. La ricchezza dei materiali e della decorazione sottolinea la rilevanza e la ricchezza della corporazione. Al centro del pavimento di marmo un grande opus sectile rappresenta lo stemma dell'Università: alla raffigurazione del pesce nell'acqua si accompagna quella di un cervo (simbolo di antica nobiltà) e di due oche (a Roma simbolo di fedeltà, per via delle Oche capitoline). La volta della cappella è affrescata con “Storie di Sant’Andrea”, opera di Innocenzo Tacconi sicuramente dopo il 1598, anno in cui lui arrivò a Roma. L’altare maggiore della chiesa, è frutto dei restauri di Pio IX, e custodisce al di sotto un sarcofago paleocristiano contenente le reliquie di san Ciro di Alessandria. Il sarcofago, ha una piccola apertura circolare sul davanti che permette di vederne l’interno, ha sul davanti due angeli. Sopra gli stalli lignei del coro si erge maestoso il dipinto settecentesco dell’“Arcangelo Michele che sconfigge il demonio”, mentre ai lati delle scale d’accesso al presbiterio sopraelevato ci sono due statue di angeli porta candelabro. Oratorio di Sant’Andrea dei Pescivendoli, rione Sant’Angelo, Roma, questo edificio fu costruito nel 1689 per l'Università dei Pescivendoli, unita alla Confraternita del Santissimo Sacramento della vicina chiesa di Sant’Angelo in Pescheria, in un sodalizio rimasto in vita fino al 1801, quando l'Università fu soppressa, qui ci fu la sede dell’Oratorio della Confraternita, come indicato dall'iscrizione sulla facciata a stucchi con l'immagine di Sant’Andrea sulla porta: "Locus orazioni venditorum piscium”. Questo oratorio fu restaurato alla fine degli anni ’20 a cura della Pia Unione della famiglia Caracciolo, che qui aveva la sua sede, oggi è adibito ad attività commerciale. Casa di Lorenzo Manilio, via del Portico d’Ottavia 1 e 2, rione Sant’Angelo, Roma, si tratta della facciata di un edificio che un tale Lorenzo Manilio si fece costruire nel 1468 per sé e per la sua famiglia, la casa è decorata con elementi ad imitazione di quelli della Roma antica. Fece incidere dagli scalpellini una scritta che recita: “Urbe Roma in pristinam formam renascente Laur. Manlius karitate erga patriam aedis suo nomine manliana pro fortuna rum mediocri tate ad forum judeorum sibi posterisque suis a fundamentis posuit. Ab urbe condita MMCCXXI L An Mense III die II posuit XI calendas Augusta” che tradotta significa : “Mentre Roma rinasce all'antico splendore, Lorenzo Manilio, in segno di amore verso la sua città, costruì dalle fondamenta sulla piazza Giudea, in proporzione con le sue modeste possibilità, questa casa che dal suo cognome prende l'appellativo di Manliana, per sé e per i suoi discendenti, nell'anno 2221 dalla fondazione di Roma, all'età di 50 anni, 3 mesi e 2 giorni; fondò la casa il giorno undicesimo prima delle calende di agosto". L’anno era il 1468, sull’architrave è ripetuto il nome di Manlio, sulle finestre il motto Ave Roma, e tutto l’edificio è decorato da frammenti archeologici e dai resti di un antico sarcofago. Chiesa di San Gregorio della Divina Pietà, rione Sant’Angelo, Roma, è una piccola chiesa che si trova ne pressi della Sinagoga, detta anche chiesa di San Gregorio al Ponte Quattro Capi o Pons Judaeorum, per la vicinanza al quartiere ebraico. Si ha memoria di questa antica chiesa solo dal 1403. Fu edificata sulle case della gens Anicia, e più tardi fu chiamata Frangipane e dedicata a San Gregorio perché nelle vicinanze il padre del santo possedeva una casa. Nel 1729 la chiesa fu restaurata su progetto di Filippo Barigioni, per incarico di papa Benedetto XIII e data alla Congregazione degli Operai della Divina Pietà, da cui il nome. Andrea Casali vi dipinse San Filippo Neri in estasi e due ovali raffiguranti santi francescani. Nel 1858 fu restaurata nuovamente e vi fu apposta sulla facciata una iscrizione bilingue, ebraica e latina, con un passo della Bibbia. Questa chiesa è nota, perché qui durante il Regno Pontificio, vi si tenevano prediche alle quali obbligatoriamente erano costretti ad assistervi agli ebrei. Via di Santa Maria dei Calderari, va da via Arenula a piazza delle Cinque Scole fa parte del rione Regola, prende il nome dalla scomparsa chiesa di Santa Maria de Calderari che ebbe anche il nome di Santa Maria in Cacaberis. Via di Santa Maria del Pianto, va da via Arenula a piazza delle Cinque Scole fa parte del rione Regola, del rione Sant’Eustachio e del rione Sant’Angelo, detta anche via del Pianto, prende il nome dalla chiesa di Santa Maria del Pianto. Chiesa Santa Maria del Pianto, via di Santa Maria dei Calderari, rione Regola, Roma, in passato si chiamava chiesa di San Salvatore de Cacaberis, il nome della via dove sorge la chiesa deriva dalle scomparse botteghe dei fabbricanti di caldaie, catini e vasi di rame, i Calderari avevano una propria chiesa in San Carlo ai Catinari. La chiesa divenne di Santa Maria del Pianto in seguito ad un miracolo del 1546 che la vide piangere quando davanti alla sua immagine si fermarono due uomini a litigare uno dei due aveva impugnato l’arma per uccidere e l’altro uomo gridò di non essere ucciso per l’amore della Madonna, l’assalitore pentito abbracciò l’avversario, il quale nonostante l’invocazione alla pietà lo uccise comunque, e sembra allora che in quel momento dall’immagine sacra della Madonna sgorgarono le lacrime, per cui l’effige venne tolta dal muro e collocata sull’altare maggiore della chiesa di San Salvatore in Cacabaris, chiesa che nel 1612 divenne Santa Maria del Pianto. La chiesa è opera di Nicolò Sebregondi, ma è incompiuta e priva di facciata. Anche questa chiesa fu utilizzata per la catechizzazione degli ebrei romani, i quali erano costretti ad assistere alle prediche. L’interno della chiesa è a croce greca con una cupola ottagonale e decorazioni in stucco. Sull’altare maggiore, vi è l’affresco del XV secolo raffigurante la Madonna del Pianto posto fra quattro colonne di alabastro. Alle pareti del coro, si possono ammirare le raffigurazioni di Gesù che appare a San Martino e la Disputa tra i Dottori, opere di Agostino Ciampelli. Piazza Benedetto Cairoli, a piazza è dedicata a Benedetto Cairoli (1825-1860), grande combattente nelle Cinque Giornate di Milano, ma anche a Custoza, Varese, Calatafimi, Mentana ed aiutante di Giuseppe Garibaldi nella Spedizione dei Mille. Cessata la vita militare, fu deputato di Pavia per 30 anni, poi eletto Presidente del Consiglio e Ministro degli Esteri e dell'Agricoltura. La piazza, in passato detta anche "Tagliacozza" per alcune case appartenute ad Isabella Orsini, signora di Tagliacozzo, fu più volte ampliata, soprattutto in occasione dell'apertura della via Arenula alla fine dell'Ottocento. Presenza imponente ed importante è senza dubbio la bellissima chiesa di San Carlo ai Catinari, un tempo inclusa nel perimetro del rione Regola ma oggi appartenente al rione Sant’Eustachio. Giardino di piazza Cairoli, il giardino fu ricavato dalle demolizioni del palazzo Branca e degli altri prospicienti la vecchia piazza, nonché della chiesa di "San Biagio de' Cacabarii" per le botteghe dei fabbricanti di catini e vasi di rame, in latino "cacàbera", è ellittico ed ospita su un lato la statua bronzea di Federico Seismit Doda. Fontana al giardino di piazza Cairoli realizzata da Ed Andrè nel 1888 e costituita da una vasca di granito di forma squadrata e con gli angoli smussati. Originariamente era situata nel Foro Romano, fu portata qui da piazza Cenci dove fu rinvenuta nel 1887. Al centro della fontana si eleva un robusto pilastro, pure di granito ed originariamente adorno di delfini di bronzo che si avvolgevano intorno ad un tridente che sorregge un antico catino circolare, sul quale si innalza un altro pilastro snello e centinato, a sostegno di un secondo catino più piccolo da cui sgorga un piccolo getto d'acqua. Statua di Federico Seismit Doda, piazza Cairoli, opera di Eugenio Maccagnani del 1919. Il monumento riproduce il grande patriota che corse in aiuto di Roma durante i momenti difficili della Repubblica Romana, ma che partecipò anche alla difesa di Treviso, Vicenza e Milano. Fu Ministro delle Finanze durante il governo di Cairoli e di Crispi, ma le sue idee nettamente estremiste lo portarono alla destituzione dalla carica. La statua lo ritrae comodamente seduto in poltrona con un libro nella mano destra che sembra in procinto di cadere da un momento all'altro Via degli Specchi, va da piazza Benedetto Cairoli a piazza del Monte di Pietà, fa parte del rione Regola, ricorda un architetto ed incisore romano tale Specchi nato nel 1668 e morto nel 1729, che abitò in un edificio della via al numero 17, al quale si deve la sistemazione del porto di Ripetta purtroppo distrutto dopo l’Unità d’Italia. Via dei Giubbonari, prese il nome dagli artigiani e dai mercanti di gipponi, chiamati appunto gipponari, ovvero tessitori di corpetti (dal latino "jupponarii"), termine che poi nel tempo si è trasformato in giubbonari. La via precedentemente era chiamata "dei Pelamantelli", perchè qui vi erano gli stramazzatori, ossia i cardatori di lane e stoffe grezze, ma anche "via Mercatoria", una caratteristica commerciale che ancora oggi mantiene con una fila quasi ininterrotta di negozi. Nel 1944 la via fu sede dei "cicaroli", ovvero dei raccoglitori di "ciche" (sigarette) e venditori di tabacco così raccolto, nonché di quello a borsa nera. La strada collega Campo de' Fiori a piazza Benedetto Cairoli ed appartiene a tre rioni: il versante di sinistra, venendo da Campo de' Fiori e fino all'incrocio con via dei Chiavari, fa parte del rione Parione; il restante tratto sinistro fino alla piazza Cairoli fa parte del rione S.Eustachio; il versante di destra fa parte del rione Regola. Palazzo Barberini ai Giubbonari, al civico 41, così denominato per distinguerlo da quello successivamente costruito in via delle Quattro Fontane. Denominato anche "Casa Grande dei Barberini", il palazzo iniziò a prendere corpo nel 1581, quando monsignor Francesco Barberini acquistò una piccola casa dagli Scapucci, alla quale ben presto furono collegate alcune case adiacenti. Nel 1591 il nipote di Francesco, Maffeo, cominciò a far costruire il fianco su via dei Giubbonari da Flaminio Ponzio: al termine del cantonale bugnato, all'altezza del secondo piano, fanno bella mostra le apisimbolo araldico della famiglia Barberini. Altri lavori si ebbero sotto la direzione di Filippo Breccioli e Carlo Maderno, grazie ai quali il palazzo assunse una fisionomia più precisa con la singolare scala a lumaca. Quando Maffeo divenne papa con il nome di papa Urbano VIII e la famiglia si trasferì nel maestoso palazzo di via delle Quattro Fontane, la "Casa Grande" fu assegnata al fratello Carlo, che seguitò i lavori, anche con l'apporto di Giovanni Maria Bonazzini. Alla morte di Carlo, nel 1630, il palazzo passò al figlio Taddeo che fece costruire la facciata su piazza del Monte con il prestigioso vestibolo e l'altana, sotto la direzione di Francesco Contini. L'edificio rimase ai Barberini fino al 1734, quando il principe Francesco lo vendette alla Curia Generalizia dei Carmelitani Scalzi, che trasformarono l'atrio in cappella dedicandola ai Ss.Giovanni della Croce e Teresa. Quando nel 1759 i Carmelitani si trasferirono nel palazzo Rocci Pallavicini, l'edificio fu venduto al Monte di Pietà, che lo collegò alla sede centrale attraverso un cavalcavia denominato Arco del Monte. Nel 1819, durante una ristrutturazione del complesso, 12 colonne di granito che ornavano l'atrio cappella furono tolte e collocate nel Braccio Nuovo dei Musei Vaticani. Nel 1870 divenne proprietà del Comune di Roma, che vi pose la sede di una Scuola Materna, ma oggi lo stato di degrado e di abbandono è a dir poco deplorevole. Vicolo dei Catinari, va da via degli Specchi a piazza Benedetto Cairoli, fa parte del rione Regola, Roma. Al numero 3 del vicolo si affaccia il palazzo Santacroce, da qui è visibile la fontana del cortile della dependance, con un tritone che regge la vasca sopra la quale è Venere che esce da una conchiglia affiancata da putti e delfini. I Catinari erano le botteghe dei fabbricanti di catini in legno un tempo impiegati insieme ai catini in metallo, e questo nome venne aggiunto alla chiesa che qui sorge di San Carlo. I catinari facevano parte della Confraternita di San Giuseppe dei falegnami. Arco del vicolo del Catinari, fa parte del palazzo dei Santacroce, rione Regola. Chiesa di San Carlo ai Catinari, piazza Benedetto Cairoli, rione Sant’Eustachio, Roma, per esteso il nome della chiesa è chiesa dei Santi Biagio e Carlo ai Catinari, vi era un titolo cardinalizio soppresso nel 1627 e trasferito alla chiesa dei Santi Ambrogio e Carlo al Corso. La attuale chiesa fu edificata al posto della piccola chiesa di San Biagio risalente al XII secolo. Nel 1575 papa Gregorio XIII la donò ai Chierici Regolari di San Paolo Barnabiti, e sotto Sisto V ebbe anche il titolo cardinalizio, nel 1617, per dare spazio al convento dei Teatini di Sant'Andrea della Valle, la chiesa fu demolita ed i padri furono trasferiti nella chiesa di San Carlo al Corso, in costruzione già dal 1611. A ricordo della chiesa distrutta la nuova ebbe il titolo di chiesa dei Santi Biagio e Carlo ai Catinari; l'appellativo "ai Catinari" deriva dal fatto che nei pressi sorgevano botteghe di fabbricanti di catini. La chiesa fu edificata su progetto di Rosato Rosati e completata intorno al 1620. Fu dedicata a San Carlo Borromeo, benefattore dello stesso ordine religioso. La facciata invece fu portata a termine tra il 1635 ed il 1638 su disegno di Giovanni Battista Soria, mentre l'abside fu prolungato nel 1642 su progetto dell'architetto Paolo Marrucelli. Negli anni successivi furono costruite e decorate le varie cappelle laterali e la chiesa fu consacrata soltanto nel 1722, sotto papa Clemente XII. A causa di alcuni problemi strutturali, nel 1860 papa Pio IX ordinò dei restauri all'intero edificio perché era stato più volte colpito, in particolar modo la cupola, da agenti atmosferici e da colpi di artiglieria. La chiesa è in stile barocco, con la facciata suddivisa in due ordini sovrapposti e sormontati da un alto cornicione. Nella fascia inferiore, con paraste corinzie, vi sono i tre portali di cui il centrale è il più ampio e, al centro, un'immagine di san Carlo Borromeo; nella fascia superiore, invece, vi è sempre al centro un finestrone ad arco con balaustra marmorea e, ai suoi lati, due finestre rettangolari con timpani triangolari. La cupola è, per grandezza, la terza delle cupole al centro di Roma, dopo quella di San Pietro in Vaticano e di Sant'Andrea della Valle. Sul fianco della chiesa di San Carlo ai Catinari, lungo via del Monte della Farina, vi è un campanile a vela con quattro campane. L'interno, è stato restaurato nel 1897 per la canonizzazione di Antonio Maria Zaccaria, fondatore dei Barnabiti, è a croce greca allungata. All'incrocio dei quattro bracci, si innalza la enorme cupola, i cui pennacchi all’interno furono dipinti dal Domenichino tra il 1627 ed il 1630 con le quattro virtù cardinali : Prudenza, Giustizia, Fortezza e Temperanza. Nell'abside, con catino vi è il dipinto di Giovanni Lanfranco raffigurante San Carlo accolto in cielo, vi sono anche i due bozzetti in gesso per le statue dei santi Pietro e Paolo che si trovano in Piazza San Pietro; l'altare maggiore è sorretto da quattro colonne corinzie e sormontato dal motto di Carlo Borromeo, “Humilitas”, accoglie la preziosa tela di Pietro da Cortona che raffigura San Carlo che reca in processione il Santo Chiodo durante la peste di Milano, qui collocata nel 1667. Questa chiesa conserva numerose opere seicentesche e reliquie di santi. Via in Publicolis, rione Sant’Angelo, Roma, il nome deriva dalla chiesa omonima, che era sotto il patronato della famiglia Santacroce Publicola, che è sulla via in Publicolis, all’interno vi sono tombe di appartenenti a questa famiglia. Anche in questa chiesa gli ebrei erano costretti ad andare per assistere coattivamente alle prediche che avrebbero dovuti indurli alla conversione. Chiesa Santa Maria in Publicolis, il nome della chiesa deriva dalla famiglia Santacroce Publicola, all’interno vi sono tombe di appartenenti a questa famiglia. Anche in questa chiesa gli ebrei era obbligati ad assistere alle prediche che avrebbero dovuto indurli alla conversione. Palazzo Santacroce ai Catinari oggi Palazzo Pasolini Dall’Onda piazza Cairoli, fu edificato per volere di Onofrio Santacroce, tra il 1598 e il 1602 su progetto dell’architetto Carlo Maderno. Tra il 1630 e il 1640, furono realizzate le facciate, volute dal marchese Valerio Santacroce, ad opera di Francesco Peparelli. Agli interventi edilizi partecipò anche G.A.Rossi che, dal 1659 al 1668, per il cardinale Marcello Santacroce eseguì alcune opere interne e realizzò varie sistemazioni nella parte del palazzo che si affaccia sul Vicolo de’ Catinari. Risale a quel tempo la costruzione dell’arco che collega il lato posteriore del palazzo con l’edificio retrostante, acquistato dai Santacroce per la servitù. Sopra l’arco si trova il giardino pensile, nel cortile interno vi è la fontana, nel Palazzo, fino al 1880 vi era il teatro San Carlo. Le facciate, furono restaurate nell’Ottocento, e presentano tre piani ed un ammezzato tra il primo e il secondo piano. Sulle facciate si aprono tre portoni; quello su Piazza San Carlo ai Catinari reca lo stemma dei Santacroce e degli Sforza Cesarini, imparentati con l’ultima rappresentante della famiglia Santacroce. Due balconi ad angolo si trovano al primo e al terzo piano. L’interno presenta due cortili, un tempo adorni di bassorilievi e statue ora disperse; nel cortile di fondo è una fontana del XVIII secolo formata da un arco inquadrato da pilastri sorretti da telamoni, al centro del quale è raffigurata Venere che nasce dalla conchiglia. A metà del XVIII secolo il luogo d’incontro più rinomato era considerato il salone di Giuliana Falconieri, marchesa Santacroce, consorte di Antonio Santacroce, che si trovava nelle sale del piano nobile del Palazzo Santacroce. Fu molto frequentato da esponenti della Chiesa Cattolica e da diplomatici. Famosi sono gli affreschi delle sale della galleria del 1640 ad opera del maestro G.B.Ruggeri. La sala che si affaccia in Via degli Specchi è affrescata da scene bibliche di G.F.Grimaldi. Alla fine del XIX secolo il Palazzo fu la sede dell’Ambasciata di Francia presso la Santa Sede. Dal 1904 la proprietà passò ai Conti Pasolini dall’Onda che ricevevano esponenti della cultura, dell’arte e della politica, tra i quali A.Fogazzaro, Giosuè Garducci, Gabriele D’Annunzio, Eleonora Duse ed economisti come De Viti De Marco e Luigi Einaudi. Attualmente il Palazzo è condiviso da diverse istituzioni tra le quali la Scuola di perfezionamento in Studi europei della Facoltà di Economia e Commercio dell’Università di Roma “La Sapienza”. Dall’ ottobre 2011 il Palazzo è la sede del Centro Russo di Scienza e Cultura. Famiglia Santacroce, La famiglia nobile romana dei Santacroce vanta la discendenza da uno dei leggendari fondatori dell’Impero Romano, il console Publio Valerio Publicola (509 a.c.). I Santacroce risultano presenti a Roma dall’anno mille, ed abitavano la zona del rione Sant'Angelo. A causa dei rapporti piuttosto turbolenti con le altre famiglie nobili romane, Papa Sisto IV cacciò i Santacroce da Roma, distruggendo perfino le loro case. La famiglia fece ritorno nella Città Eterna sotto papa Innocenzo VIII al soglio tra il 1432 e il 1498. I Santacroce sono anche noti per l’elevazione alla dignità cardinalizia di quattro rappresentanti della famiglia: Prospero, Antonio, Marcello e Andrea Santacroce. La ricchezza di famiglia si deve in gran parte proprio al Cardinale Prospero Santacroce. Fu nunzio apostolico in Germania, Spagna e Francia e successivamente nunzio apostolico di Pio IV Medici in Portogallo (1559-1565). Da lì introdusse per primo in Italia il tabacco, chiamato allora “Erba Santacroce” o anche “Erba Santa” a motivo delle virtù terapeutiche ad essa attribuite. Sino all'ottocento, a Roma, dove la famiglia Santacroce era ricca e potente, l'insegna della rivendita del tabacco era rappresentata dalla croce bianca dello stemma dei Santacroce. A causa del suo attaccamento al denaro, a Roma il cardinale Santacroce fu spesso oggetto di “pasquinate”. I Santacroce si estinsero nel 1867 con Antonio, le cui tre figlie andarono in spose a nobili romani: Luisa al marchese Rangoni, Vincenza al conte Sforza Cesarini, e Valeria al marchese Passari. I Santacroce furono proprietari di diversi palazzi nei rioni Sant’Angelo e Regola a Roma, tra i quali il Palazzo Santacroce ai Catinari. Chiesa Santa Maria in Monticelli, via Santa Maria in Monticelli, rione Regola, Roma, prende il nome in Monticelli per la presenza di una piccola collina, che è piuttosto un rialzamento del suolo. fu restaurata o ricostruita all’inizio del XII secolo e riconsacrata da Innocenzo II nel 1143, come ricorda una lapide al suo interno. La chiesa era nota anche col nome di Sancta Maria in Monticellis Arenulae de Urbe, di questa chiesa medievale, con coro cosmatesco e colonne, non rimane più niente, eccetto il bel campanile, in origine più alto, ma ridotto alle dimensioni attuali all’inizio del XVII secolo per motivi di stabilità. La chiesa fu completamente ricostruita nel 1716 da Matteo Sassi, per volere di papa Clemente XI, e nel 1860 ad opera di Francesco Azzurri. Oggi la chiesa è sede della Curia Generalizia dei Padri Dottrinari. La chiesa di Santa Maria in Monticelli è a tre navate, con tre cappelle per lato. Via Cavalletti, va da via dei Delfinia piazza Campitelli, fa parte del rione Campitelli e del rione Sant’Angelo. Via Montanara, va da piazza Campitelli a via del Teatro Marcello fa parte del rione Campitelli. Piazza Campitelli, fa parte del rione Campitelli e del rione Sant’Angelo, si trova tra via Cavalletti e via Montanara, forse il nome deriva da una corruzione di Capitolium, e per dei capitelli che in questa zona vennero rinvenuti e probabilmente appartenuti al Portico d’Ottavia, o da Campus Tell, ovvero dal fatto che qui vi era uno spiazzo dal quale avveniva il rito del tiro della lancia detta “telum”. La piazza ha dato il nome alla chiesa di Santa Maria in Campitelli. Chiesa di Santa Maria in Campitelli, piazza Campitelli, rione Sant’Angelo, Roma, risalente al XVI secolo e ricostruita per volere di Papa Alessandro VII, come ex voto per la fine della peste del 1659. Fu edificata su progetto di Carlo Rainaldi tra il 1662 e il 1667, custodisce la miracolosa immagine a smalto della Madonna del Portico, che fu invocata e pregata durante la peste. Vi è all’interno anche la tomba del cardinale Bartolomeo Pacca che con un editto del 1817 proibì l’esodo di numerose opere d’arte dallo Stato Pontificio. Sono da ammirare la cupola e il campanile. Fontana piazza Santa Maria in Campitelli, rione Sant’Angelo, Roma, opera di Giacomo della Porta, originariamente era di fronte alla chiesa ma poi venne spostata nel 1679 perché era un punto di raduno delle persone, il cui chiacchiericcio disturbava le funzioni religiose. Edicola Sacra madonnina a piazza Campitelli rione Campitelli e rione Sant’Angelo, Roma, opera di Giulio Bargellini realizzata a fine Ottocento, raffigurante la Madonna con il Bambino: la Madonna è raffigurata ammantata, a mezzo busto, con il volto severo, l'espressione umana e pensosa e con il Bambino che le cinge teneramente il collo. Il dipinto è protetto da un vetro ed incorniciato da un ovale marmoreo a fogliame poggiante su una testina di angelo alata: quest'ultima, fino a qualche anno fa mancante di un'ala, è stata in seguito restaurata. Palazzo Cavalletti, piazza Campitelli 1, rione Regola, Roma, il palazzo risale al Cinquecento. Palazzo Spinola, piazza Campitelli 2, rione Regola, Roma, già palazzo Albertoni che fu completato da Girolamo Rainaldi, qui vi abitò il cardinale Pacca. Palazzo Gasparri, piazza Campitelli 3, rione Regola, Roma, già palazzo Capizucchi, risale al Cinquecento, opera di Giacomo della Porta. Piazza Lovatelli, rione Sant’Angelo, Roma, va da via de Funari a via di Sant’Angelo in Pescheria, la piazza prende il nome dal palazzo Lovatelli, famiglia che entrò in possesso del palazzo nel 1700 dopo che i Caetani, precedenti proprietari ne ebbero curato il restauro. Donna Ersilia Caetani Lovatelli era una accademica dei Lincei e studiosa di Archeologia, qui vi aprì un salotto frequentato da scienziati, laureati, storici, artisti italiani e artisti stranieri. Nei lavori di rifondazione del palazzo, nell’Ottocento vennero alla luce i resti del porticus Philippi, edificato nel 29 a.C. sulle rovine del tempio di Ercole Musagete costruito a sua volta nel 187 a.C. Palazzo Lovatelli, piazza Campitelli, fa parte del rione Campitelli e del rione Sant’Angelo, Roma, l’edificio ha due ingressi uno con un portale che affaccia su piazza Campitelli e l’altro che affaccia su piazza Lovatelli, l’edificio risale al 1580 e fu fatto edificare Gianfilippo Serlupi su alcune case, appositamente demolite, già di proprietà della sua famiglia sin dal Quattrocento. Forse l’autore del progetto dell’edificio fu Giacomo della Porta, i lavori vennero ultimati nel 1619. Il palazzo un tempo apparteneva alla famiglia Serlupi, ma il nome che si legge è quello di Caetani Lovatelli. Nel 1744 la famiglia, che nel frattempo aveva ereditato nome e soprattutto beni della famiglia Crescenzi, vendette il palazzo ai Ruspoli, i quali a loro volta nell'Ottocento lo vendettero ai Lovatelli, originari di Ravenna ed imparentati con i Caetani. Portico di Filippo, a palazzo Lovatelli, piazza Campitelli, rione Campitelli e rione Sant’Angelo, Roma, i resti di questo antico portico di epoca romana furono rinvenuti durante gli scavi dell’Ottocento, forse questo portico venne costruito da Lucio Marcio Filippo, fratellastro di Augusto, dopo il trionfo celebrato nel 33 a.C. ed in occasione del restauro del Tempio di Ercole Musagete, attorno al quale il portico venne realizzato. Si trattava di un quadriportico simile a quello del Portico di Ottavia, il Portico di Filippo, era tra piazza Lovatelli, piazza Mattei, piazza Costaguti e via del Portico di Ottavia, era utilizzato principalmente per l'esposizione di opere d'arte, in particolar modo pitture Piazza Costaguti, rione Sant’Angelo, Roma, è tra la via in Publicolis e via del Portico d’Ottavia, la piazza prende il nome dal palazzo Costaguti, anche se il prospetto del palazzo si affaccia su piazza Mattei. Piazza Mattei, si trova tra via dei Falegnami e via dei Funari, rione Sant’Angelo, Roma, prende il nome dal complesso dei palazzi della famiglia Mattei, al centro della piazza c’è la fontana delle Tartarughe. Fontana delle Tartarughe, piazza Mattei rione Sant’Angelo, Roma, fu disegnata da Giacomo della Porta e costruita da Taddeo Landini nel 1581, è formata da quattro personaggi in bronzo, degli efebi, che poggiano i piedi su quattro delfini dai quali sgorga l’acqua e che a loro volta sono su quattro conchiglie, le tartarughe alla sommità della fontana sono opera del Bernini, poiché furono rubate più volte e ritrovate oggi quelle che si vedono sono delle copie risalenti al 1944, mentre gli originali sono ai Musei Ccapitolini. La fontana è costituita da una vasca quadrata con spigoli arrotondati, che ospita al centro un basamento che sorregge una specie di anfora con in basso un bacino rotondo in marmo che raccoglie l’acqua. Palazzo Mattei a piazza Mattei, rione San’Angelo, Roma, è formato da due edifici, che hanno il prospetto sulla piazza ai numeri civici 19 e 17, questo palazzo è il più antico tra i palazzi della cosiddetta “Isola Mattei” che si sviluppa con i suoi edifici tra la via de Funari, la via Caetani, la via delle Botteghe Oscure, la via Paganica e la piazza dell’Enciclopedia. Questo palazzo venne edificato nella seconda metà del Quattrocento, e venne ristrutturato a metà del Cinquecento da Giacomo Mattei, il quale fece unire i due palazzi facendo edificare una unica facciata. Il palazzo al civico 19 è il più antico ed è opera di Rossellino presenta un bel cortile ed una elegante loggia, mente l’edificio al numero civico 17 venne rimaneggiato da Nanni di Baccio Bigio e presenta un cortile porticato. In origine la facciata era affrescata da monocromi di Taddeo Zuccari e rappresentava le storie di Furio Camillo, purtroppo il dipinto è scomparso. Palazzo Costaguti, piazza Mattei 10, rione Sant’Angelo, Roma, in origine era di proprietà dei Patrizi e dal 1624 passò alla famiglia Costaguti, fu rinnovato da Carlo Lombardi, presenta un bel portale ed una scala elicoidale. Il piano nobile fu affrescato dal Romanelli con il dipinto la Scala di Airone, dal Domenichino con la Sala di Apollo, dal Guercino con la Sala di Rinaldo e Armida, da Zuccari con la Sala dei Mesi, e dal Cavalier d’Arpino con la Sala di Venere ed Enea. Piazza dell’Enciclopedia Italiana, è tra via delle Botteghe Oscure, piazza Paganica e via Florida, fa parte del rione Sant’Angelo è dedicata alla fondamentale opera della Enciclopedia Italia nota come la Treccani, voluta dal suo fondatore nel 1925, il senatore Giovanni Treccani degli Alfieri. Via Michelangelo Caetani, va da via delle Botteghe Oscure a via dei Funari, fa parte del rione Sant’Angelo. Palazzo Mattei di Giove via Michelangelo Caetani 32, fa parte della cosiddetta "isola Mattei" un complesso di edifici di Giacomo Mattei, di Mattei di Paganica e di Alessandro Mattei, fu fatto edificare da Asdrubale Mattei, duca di Monte Giove da cui deriva il nome del palazzo, sorse al posto di alcune case che furono demolite. I lavori iniziarono nel 1598 su progetto di Carlo Maderno e terminarono nel 1617, con la costruzione del braccio di collegamento dell'edificio con il palazzo di Alessandro Mattei. L'edificio si sviluppa su tre piani con un duplice ingresso composto da due portali, uno su via dei Funari e l’altro su via Michelangelo Caetani. Dal 1938 il palazzo è di proprietà dello Stato e vi è la sede del Centro italiano di studi americani, la Biblioteca e l'Istituto di storia moderna e contemporanea. Edicola mariana, via Michelangelo Caetani 35, detta Madonna della Tenerezza che fu collocata qui nel 1826 da Lorenzo Mattei, in segno di devozione per essere scampato ad un'epidemia. Il dipinto è ad olio su tela di forma ovale, in stile barocco databile al XVII secolo. Raffigura la Vergine che tiene il Bambino seduto in grembo in atteggiamento affettuoso. La cornice in stucco è decorata con borchie stellate. Sopra il dipinto è situata una coroncina di rose, dalla quale scendono festoni vegetali legati da un fiocco. L'edicola è completata da un baldacchino a pagoda che la protegge e da una lanterna a braccio in ferro battuto. Lapide in memoria dell’uccisione di Aldo Moro, via Michelangelo Caetani è una targa che è stata affissa dal Comune di Roma, nel luogo dove, il 9 maggio 1978, venne ritrovato, all'interno di un'automobile, il cadavere di Aldo Moro barbaramente ucciso dalle Brigate Rosse. Via Paganica, prende il nome dal palazzo dei Mattei che insiste sulla zona la famiglia proveniva da Paganica. Piazza Paganica, è tra via delle Botteghe Oscure e la via Paganica fa parte del rione Sant’Angelo. Palazzo Mattei di Paganica via Paganica 4, fu eretto sulle rovine del "Teatro di Lucio Cornelio Balbo" e fa parte della cosiddetta "isola Mattei" insieme agli altri edifici di Giacomo Mattei, di Mattei di Giove e di Alessandro Mattei. Fu costruito nel 1541 per volontà di Ludovico Mattei, duca di Paganica da cui deriva il nome, su progetto attribuito secondo alcuni a Nanni di Baccio Bigio, secondo altri al Vignola. La proprietà dell'edificio, una volta estintosi il ramo dei Mattei di Paganica alla fine del Settecento, passò ai Mattei di Giove e quindi ai marchesi dei Canonici Mattei, che in parte lo affittarono alla fine dell'Ottocento: qui infatti vi morì nel 1886 Marco Minghetti, come ricorda la targa affissa sulla facciata. Nel 1928 il palazzo fu venduto all'Istituto dell'Enciclopedia Italiana, che tuttora lo possiede. Sul portale si legge l’iscrizione: “Lud Matthaeius petr ant fil lud nepos” che significa "Ludovico Mattei, figlio di Pietro Antonio e nipote di Ludovico". Via delle Botteghe Oscure, va da via dell’Arcoeli a piazza Paganica fa parte del rione Pigna e del rione Sant’Angelo, la via nel Medioevo era chiamata Ad apothecas oscura, ovvero botteghe senza finestre, di povere persone che avevano sfruttato gli spazi degli arconi del circo Flaminio, qui si trovano i resti di alcune colonne che furono ritenute del tempio di Bellona. Edicola sacra a via delle Botteghe oscure, detta Madonna della Provvidenza, anticamente chiamata Vergine della piazza dell'Olmo chiamata così per la presenza un tempo qui di un grande olmo secolare, sembra che questa immagine molto venerata della Madonna nel 1796, fu vista piangere e muovere gli occhi a causa dell'invasione francese nello Stato Pontificio, due targhe sottostanti ricordano ancora l'evento miracoloso. La madonnina è racchiusa in una cornice in stucco, forse del XVII secolo ed è sovrastata da un semplice baldacchino di legno, un tempo era contornata da molti ex voto. Cripta Balbi, via delle Botteghe Oscure 31, Roma è un’area archeologica al centro storico di Roma ed una delle sedi del Museo Nazionale Romano, si tratta di un palazzo chiamato Crypta Balbi nella cui zona dove sorge in epoca romana c’era anche un vasto cortile porticato annesso al Teatro Balbo che Lucio Cornelio Balbo eresse nel 13 a.C. Inoltre vi erano in epoca romana delle case e il Porticus Minucia i cui resti sono ancora visibili sull’altro lato della Crypta Balbi sempre su via delle Botteghe Oscure. In questa zona in epoca medioevale vi era il convento, l’orto e la chiesa di Santa Maria Domine Rose, sempre di epoca medioevale sono le case di via dei Delfini. Durante il Rinascimento qui vi si insediò l’orfanatrofio e il convento di Santa Caterina, Al Settecento risale la ancora esistente chiesa di San Stanislao e l’ospizio dei polacchi. Il nucleo più consistente dell'esposizione museale della Cripta Balbi è costituito d una serie di reperti e materiali rinvenuti nel corso degli scavi nella Crypta, tra cui, il deposito tardoantico e altomedievale dell’esedra che, ha restituito migliaia di oggetti, soprattutto ceramiche ma anche frammenti di oggetti di vetro, monete, sigilli in piombo ed, inoltre, centinaia di oggetti di metallo, osso, avorio, pietre preziose e strumenti di lavoro pertinenti ad una officina che produceva oggetti di lusso per l’abbigliamento e l’ornamento. I contesti dalla Crypta sono integrati da reperti delle collezioni storiche dei musei romani e da altri reperti rinvenuti durante gli scavi urbani effettuati nel corso negli ultimi decenni. Teatro Balbo, Roma antica, rione Pigna e rione Sant'Angelo, era il terzo teatro stabile in opera muraria, in pietra, della Roma antica anche se molto più piccolo rispetto al teatro di Pompeo e al teatro di Marcello, si deve la sua edificazione a Lucio Cornelio Balbo che fu proconsole in Africa nel 19 a.C. banchiere e amico di Augusto, che ritornò trionfante a Roma nel 13 a.C. per la vittoria riportata contro in Germani in Libia. Purtroppo già sotto Adriano questo teatro venne demolito benchè non ancora ultimato. Questo edificio del quale esistono delle tracce nella Crypta Balbi a via delle Botteghe Oscure, aveva come nome Theatrum Balbi, e questo si desume dalla Forma Urbis in una incisione presente in un frammento. Sembra che il teatro avesse una capacità per 7700 spettatori, della cavea rimangono dei frammenti all'interno di palazzo Mattei Paganica nei pressi della Crypta Balbi, dove si trova la sede dell'Enciclopedia Italiana. Dai racconti di Plinio si desume che la scena del teatro era ornata da 4 piccole colonne in onice, molto preziose per l'epoca, il teatro venne poi restaurato da Domiziano per un incendio che durante il regno di Tito ne aveva danneggiato la struttura. All'interno della Crypta Balbi sono visibili il portico, o l'ambulacro. Altri resti di questo teatro sono nei sotterranei di palazzo Guidi, e di palazzo Volpiani e visibili tra le vie delle Botteghe Oscure, la via dei Polacchi, la via dei Delfini e la via dei Caetani. Chiesa di San Stanislao dei Polacchi, via delle Botteghe Oscure, rione Sant’Angelo, Roma, è la chiesa nazionale dei polacchi residenti a Roma. In origine la chiesa era chiamata San Salvatore in pensilis de Sorraca, era una chiesa medievale ricordata in alcuni documenti del 1174 e del 1209. Un'epigrafe oggi conservata nell’androne d’ingresso del Palazzo Busiri in via Aurora fa riferimento alla ricostruzione della chiesa, fatta il 27 ottobre 1285 «per venerabilem Hieronymum episcopum Prenestinum»: questa lapide è tutto ciò che resta dell’antica chiesa medievale che fu edificata sui resti del Circo Flaminio. Papa Gregorio XIII concesse la chiesa al cardinale polacco Stanislao Osio, che nel 1580 fece rifare completamente la chiesa, che divenne chiesa nazionale dei polacchi a Roma, e la dedicò al patrono della Polonia, san Stanislao Szczpanowski. La chiesa deve il suo aspetto attuale a rifacimenti del Settecento, le opere di furono diretti da Ignazio Brocchi, architetto del re di Polonia Stanislao Augusto Poniatowski, la facciata è opera del 1735 di Francesco Ferrari. L’interno della chiesa è a navata unica; la volta, riccamente decorata, rappresenta la Gloria di san Stanislao di Ermenegildo Costantini. All’altare maggiore, Gesù con i santi Stanislao e Giacinto di Antiveduto Gramatica della fine del XVI secolo, sono presenti altre opere settecentesche di artisti polacchi, tra questi Taddeo Kuntze. Foto Portico d'Ottavia Roma Via del Portico d'Ottavia e dintorni, Roma foro Anna Zelli
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