Via Giovanni Amendola, Vie di Viterbo, Piazze di Viterbo, Viterbo, info a cura di Anna Zelli sito ufficiale web www.annazelli.com
Viterbo |
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Piazza della Rocca Colle San Francesco Piazza San Francesco Colle San Faustino Piazza San Faustino Colle della Trinità Piazza della Trinità
Guida Turistica Viterbo
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Via Giovanni Amendola, Viterbo centro storico, vi si arriva da piazza San Faustino e Piazza della Rocca, la via è breve da notare il palazzo Marcucci, che presenta un balcone ed uno stemma, non ho trovato informazioni su questa famiglia, questo palazzo venne edificato su progetto dell'architetto ed ingegnere Calandrelli Enrico, nato a Viterbo nel 1833 e morto a Viterbo nel 1902.La via è dedicata al politico italiano Giovanni Amendola. Giovanni Amendola Giovanni Amendola vita,opera,storia, a lui è dedicata una strada a Viterbo, nacque a Napoli nel 1882 da Pietro, originario di Sarno, carabiniere, e Adelaide Bianchi. A due anni è con i genitori a Firenze, dove il padre presta servizio per l'Arma. Si trasferisce poi a Roma, dove consegue la licenza media. A quindici anni nel 1897, si iscrive alla gioventù socialista. L'anno successivo è apprendista al quotidiano del Partito Radicale Italiano “La Capitale”. Nello stesso anno scoppiano a Milano i moti popolari; la repressione ordinata dal governo impone lo scioglimento di molte sedi socialiste in tutta Italia. Amendola viene arrestato per aver voluto impedire la chiusura della sede romana. Negli anni successivi Amendola scrive alcuni articoli per “La Capitale” sotto la direzione di Edoardo Arbib, su esoterismo e teosofia. Tramite questi, Amendola entra in contatto con la Società Teosofica. Tra il 1900 e il 1905 è membro della loggia teosofica Dio e Popolo, guidata da Isabel Cooper Oakley. Viene introdotto in un mondo cosmopolita, impara l'inglese e il francese. Quando capisce però che la teosofia che sta studiando, lungi dall'essere una teoria scientifica, altro non è che una variante del protestantesimo, lascia la loggia. Durante quel periodo conosce l'intellettuale ebrea lituana Eva Oscarovna Kühn e se ne innamora. Si sposano con rito valdese il 25 gennaio 1907 e civilmente il 7 febbraio. Dalla loro unione nasceranno quattro figli. La sua ricerca interiore, volta ad individuare una sintesi tra misticismo e razionalismo, lo porta a studiare la poetica del drammaturgo norvegese Henrik Ibsen. Scrive due articoli per la rivista letteraria fiorentina “Leonardo” di Giovanni Papini e Giuseppe Prezzolini, e collabora alla rivista modernista “Il Rinnovamento” (1907-1909). Il 24 maggio 1905 viene iniziato alla massoneria ed entra nella Loggia Giandomenico Romagnosi, appartenente al Grande Oriente d'Italia. L'anno successivo soggiorna con la moglie a Berlino e a Lipsia, dove segue i corsi di Wilhelm Wundt, fondatore di un noto metodo sperimentale in psicologia. Nel 1908 abbandona la massoneria. Nell'ottobre 1909 si stabilisce con la famiglia a Firenze, dove dirige la Biblioteca filosofica. Tenta di fondare una rivista di studi religiosi d'ispirazione modernista finanziata da Alessandro Casati (che Amendola aveva conosciuto ai tempi della collaborazione a “Rinnovamento”), ma il progetto non vede la luce. Collabora con “La Voce”, fondata nel 1908 da Prezzolini. Nel 1911 fonda e dirige una sua rivista assieme a Papini, “L'Anima” (1911). In quell'anno si laurea in filosofia con una tesi su Immanuel Kant.Durante questo periodo, la questione più scottante del dibattito politico italiano è l'utilità di un intervento militare in Libia. Amendola, critico in un primo tempo verso la campagna coloniale in Africa, dopo l'inizio del conflitto appoggia lo sforzo bellico dalle colonne della “Voce», contribuendo a far aderire all'impresa libica la rivista stessa. Collabora con “il Resto del Carlino” con articoli di carattere culturale, grazie ai buoni uffici di Mario Missiroli, per diventare poi (luglio 1912) corrispondente da Roma del quotidiano. Alla vigilia delle elezioni del 1913 sollecita i radicali a schierarsi con Giovanni Giolitti (capo del governo) e a separarsi dai socialisti. Le elezioni, le prime a svolgersi con il suffragio universale maschile, confermano la maggioranza uscente; i radicali guadagnano 62 seggi sedendosi tra i banchi dell'opposizione. Nello stesso anno Amendola tenta la carriera accademica ottenendo una libera docenza in Filosofia teoretica all'Università di Firenze, ma non ottenendo nessuna cattedra. Nell'aprile 1914 è nominato per un anno docente della disciplina all'Università di Pisa, e in giugno viene assunto alla redazione romana del “Corriere della Sera” (già all'epoca il maggiore quotidiano italiano). Le sue convinzioni liberali e la sua posizione distaccata nei confronti della sinistra parlamentare coincidono con la linea del quotidiano di Albertini. Amendola rinuncia per sempre all'attività accademica, per rimanere a Roma e avviarsi alla carriera pubblicistica e politica. Allo scoppio della prima guerra mondiale, ritiene che la guerra contro l'Austria-Ungheria sia diventata inevitabile. Egli ritiene che un conflitto possa essere utile al ritorno alla madrepatria dei territori italiani ancora sotto dominio austriaco. Mantenendo posizioni irredentiste, si schiera per l'intervento italiano nella prima guerra mondiale. Come gran parte dei liberali italiani, vede nella guerra una possibilità di risorgimento morale del Paese. Arruolatosi come tenente di artiglieria sul fronte dell'Isonzo, è insignito di una medaglia di bronzo al valor militare. Tornato in Italia, la carriera pubblicistica e quella politica proseguono parallelamente. Nel 1916 è capo dell'ufficio romano del «Corriere della Sera». Nel 1918 è tra i promotori del Patto di Roma, un accordo tra rappresentanti delle varie nazionalità sottomesse agli Asburgo per lo smembramento dell'impero austro-ungarico e l'autodeterminazione dei popoli. Tale iniziativa viene poi contraddetta dalla politica del ministro degli Esteri italiano Sidney Sonnino, con il quale Amendola polemizza duramente tra il 1918 e il 1919. Alle elezioni politiche del 1919 Amendola si candida con il partito Democrazia Liberale. È eletto nel collegio di Salerno insieme ad Andrea Torre e ad altri tre candidati della lista. Entra così per la prima volta in Parlamento. La sua lista sostiene la corrente che fa capo al leader radicale Francesco Saverio Nitti, personaggio con il quale stringe una lunga amicizia. Il Salernitano è la sua base elettorale più importante, anche se non ottiene mai un controllo completo della provincia, giacché è contrastato dai liberali legati a Giovanni Giolitti, rappresentati in provincia da Giovanni Camera. Nonostante l'impegno parlamentare Amendola non rinuncia all'attività giornalistica, anzi prosegue la sua carriera su entrambi i fronti: quello giornalistico e quello politico. È rieletto alla Camera nel maggio 1921; entra nel gruppo parlamentare "Democrazia unitaria". Poi lascia il “Corriere della Sera” per fondare un nuovo quotidiano con Andrea Torre (anch'egli salernitano e proveniente dal Corriere) e Giovanni Ciraolo. Nel 1922 si susseguono rapidamente molti avvenimenti. Il 26 gennaio vede la luce “Il Mondo”, destinato a diventare nel giro di pochi anni una delle voci più autorevoli della stampa democratica. Un mese dopo cade il debole governo Bonomi. Amendola è chiamato nel primo governo Facta, in quota liberaldemocratica, a ricoprire la carica di ministro delle Colonie. In aprile il gruppo di Democrazia Liberale alla Camera (di cui Amendola fa parte) si sfalda in tre parti: dei 79 deputati di cui è composto, 40 costituiscono un nuovo gruppo (“Democrazia”), 16 si uniscono al gruppo di Democrazia Sociale e solo 23 membri rimangono nel gruppo originario. Amendola prende posizione contro tale frammentazione. Proteso ad unificare i gruppi liberaldemocratici in Parlamento, in giugno fonda con Nitti il Partito democratico italian. Alla nuova formazione aderiscono 35 deputati. Una conseguenza indesiderata si verifica al giornale: il direttore Andrea Torre lascia “Il Mondo”, cedendo il quotidiano alla corrente di Amendola, il quale ne fa il giornale di riferimento della propria formazione politica. Ben 29 deputati sono meridionali. Non a caso, la diffusione del giornale prediligerà le regioni del Mezzogiorno e i finanziamenti proverranno da industriali del Sud. Dopo la marcia su Roma e l'insediamento del governo Mussolini (16 novembre 1922) Amendola sceglie una linea di ferma opposizione. Difensore delle prerogative del Parlamento, si schiera decisamente contro il governo Mussolini, non accettando le posizioni di compromesso che avanzano altri esponenti della classe dirigente liberale, come Giovanni Giolitti e Antonio Salandra. Scrive ad esempio in quegli anni: "Il fascismo ha le pretese di una religione, le supreme ambizioni e le inumane intransigenze di una crociata". Sulle colonne del quotidiano Il Mondo sarà fra i primi a cogliere lucidamente e profeticamente la natura totalitaria dell'ideologia e del partito fascista. A causa delle sue posizioni critiche verso il regime subisce frequenti intimidazioni e aggressioni, che sfociarono nell'aggressione fisica il 26 dicembre 1923 a Roma, quando viene bastonato da quattro fascisti e ferito alla testa. Nell'aprile 1924 si candida alla Camera nella circoscrizione della Campania. Viene rieletto, diventando uno degli esponenti più in vista dell'opposizione. Nel mese successivo dà vita all'Unione meridionale, trasformata in “Unione Nazionale” nel novembre successivo. Dopo il delitto Matteotti Amendola scrive sul Mondo (giugno 1924). Successivamente coalizza le opposizioni (socialista, cattolica e liberale) in quella che passerà alla storia come Secessione dell'Aventino. Annuncia che non avrebbe partecipato alle attività parlamentari fino a quando non fosse stata ripristinata la legalità. Insieme al socialista Filippo Turati, promuove una linea di opposizione non violenta al governo, confidando che, dinnanzi alle responsabilità del fascismo nella morte di Matteotti, il re si decida a nominare un nuovo governo. È contrario a qualsiasi partecipazione popolare nella lotta per abbattere il governo Mussolini ma, allo stesso tempo, rimane ostile a ricercare accordi con altri oppositori del fascismo che non avevano preso parte alla secessione dell'Aventino ed erano restati in aula, ovvero i deputati del Partito Comunista d'Italia. Qualche mese dopo propone a Benedetto Croce di scrivere un manifesto che riunisca le maggiori intelligenze antiregime, iniziativa che si concretizzerà poi nel manifesto degli intellettuali antifascisti. La secessione dell'Aventino non produce i risultati sperati, poiché alla fine del 1924 il governo Mussolini è ancora in carica. Da antifascista liberale, Amendola si contrappose anche al comunismo. Rivolse la propria proposta politica ai ceti medi, soprattutto meridionali, offrendo loro una terza soluzione liberaldemocratica al dilemma tra fascismo e comunismo, e tentò di arginare la diffusione di questi movimenti nelle regioni del Mezzogiorno, dove essi erano meno forti. In un articolo del settembre 1922, Amendola prese le distanze dai comunisti, giudicandoli antinazionali e antidemocratici, ma respinse la tesi fascista per cui il pericolo di una dittatura bolscevica avrebbe reso necessaria l'instaurazione di una dittatura nazionale. Nel luglio 1924 Amendola protestò contro la prassi della stampa fascista di ridurre la lotta politica del tempo a uno scontro tra fascisti e comunisti: «s'è voluto far credere che le oscillazioni del pendolo non possano che toccare alternativamente l'estrema destra o l'estrema sinistra. Tutti gl'intermedi fra i due estremi sembrano non esistere». Nel riaffermare l'esistenza delle forze democratiche, Amendola tornò a prendere le distanze da entrambe le forze estreme: «dittatura fascista e dittatura comunista sono entrambe oppressione della maggioranza; sono negazione della sovranità popolare; nei nostri confronti, quindi, sono allo stesso piano. Contro ogni dittatura noi riaffermiamo le finalità ed il metodo del consenso, della democrazia». Dal canto loro, i comunisti assimilavano Amendola e gli altri esponenti democratici ai fascisti. Antonio Gramsci rivendicò «la nostra reale volontà di abbattere non solo il fascismo di Mussolini e Farinacci, ma anche il semifascismo di Amendola, Sturzo, Turati». Il 19 luglio 1925 Amendola giunse a Montecatini Terme per la consueta cura delle acque a beneficio del fegato. Sparsasi la voce del suo arrivo, sin dal mattino successivo davanti all'albergo nel quale alloggiava (l'Hotel La Pace) si formò un assembramento di facinorosi intenti a contestare la presenza del leader dell'opposizione. Facendosi la dimostrazione sempre più minacciosa e trascorrendo la giornata senza che dal Comando di Lucca giungessero i rinforzi richiesti dai carabinieri locali, i dirigenti del Fascio montecatinese informarono della situazione il segretario federale di Lucca Carlo Scorza, temendo che la folla tumultuante accalcata dinanzi all'ingresso principale penetrasse nell'albergo e mettesse le mani sul parlamentare antifascista. Scorza, giunto tempestivamente dal capoluogo e preoccupato di scongiurare una replica del delitto Matteotti, si premurò di tutelare l'incolumità di Amendola facendolo fuggire di nascosto e ricorrendo a tale scopo a un escamotage Mentre nella camera da lui occupata veniva posto accanto alla finestra un dipendente dell'albergo, in modo da far credere ai manifestanti che vi fosse ancora presente il politico campano, questi fu fatto uscire dall'ingresso secondario e quindi venne fatto salire sull'automobile (una Fiat 501, messa a disposizione assieme all'autista dal Garage Morescalchi) che avrebbe dovuto condurlo alla stazione ferroviaria di Pistoia. Da qui sarebbe partito per Roma viaggiando in uno scompartimento riservato e per di più protetto da un tenente della Milizia con due militi. Non essendo alle 19 ancora giunto il contingente di carabinieri che avrebbe dovuto scortare Amendola lungo il tragitto stradale, Scorza dispose che ad accompagnarlo fossero tre giovani militanti fascisti locali, due dei quali presero posto nell'auto mentre il terzo, salito sul predellino, ne discese all'uscita dalla cittadina termale. Ma una volta superata Pieve a Nievole, poco oltre l'incrocio della Colonna di Monsummano, la macchina fu costretta a fermarsi a causa di un tronco d'albero che ostruiva la strada: sceso per rimuoverlo, uno degli accompagnatori del parlamentare fu ripetutamente colpito con un bastone da un individuo apparso all'improvviso. Al contempo, sia dal fosso di fianco alla carreggiata che da una stradina adiacente sbucarono altri aggressori, uno dei quali, armato anch'egli di bastone, raggiunto il lato destro della vettura ne sfondò il finestrino posteriore, in corrispondenza del posto occupato da Amendola, il quale fu investito dai frantumi. L'agguato era evidentemente finalizzato a dare una lezione all'esponente antifascista; ma gli assalitori - con ogni probabilità squadristi monsummanesi - furono impediti nel loro intento delittuoso da due imprevisti verificatisi in rapida successione. Il secondo accompagnatore onorò fino in fondo il proprio ruolo di guardia del corpo, scendendo a sua volta dalla macchina ed esplodendo dei colpi di pistola in aria, a scopo intimidatorio; nello stesso tempo sopraggiunsero una dopo l'altra due automobili, inducendo i criminali a rinunciare definitivamente ai loro truci propositi e a fuggire. Al pronto soccorso dell'ospedale di Pistoia furono medicati sia Amendola, cui le schegge del vetro avevano provocato delle lesioni alla parte destra del capo, che il suo accompagnatore preso a bastonate. Dopodiché il deputato liberale poté finalmente raggiungere la stazione, ove, prima di salire sul treno, ringraziò calorosamente i due giovani montecatinesi che, con il coraggioso atteggiamento assunto a sua difesa, lo avevano salvato. Peggiorando nei mesi successivi le sue condizioni di salute, a fine anno Amendola decise di andare a curarsi a Parigi. Essendogli stato rilevato un ematoma all'emitorace sinistro (un tumore, secondo il figlio Giorgio), agli inizi del 1926 venne operato. Per favorire il decorso post-operatorio i familiari lo trasferirono a Cannes, in Provenza, presso la clinica Le Cassy Fleur: qui egli si spense, all'alba del 7 aprile 1926. La salma fu dapprima tumulata a Cannes, sotto una lapide che recitava: «Qui vive Giovanni Amendola...aspettando»; nel 1950 fu traslata in Italia, e collocata nel Cimitero di Poggioreale a Napoli. Tratto da wikipedia. Palazzo Marcucci Architetto Ingegnere Enrico Calandrelli, Viterbo, nel 1887 su suo disegno vennero realizzate nuove cancellate per i 3 fornici della Porta Fiorentina, il campanile della chiesa di Santa Maria in Gradi e la collocazione dell'organo nella Basilica di San Francesco alla Rocca. Insieme a Carimini, tra il 1877 e il 1978, collaborò agli interventi di restauro della Basilica di San Lorenzo, Nel 1879 si occupò della trasformazione della Chiesa di Santa Maria in Gradi in luogo di reclusione. Nel 1879 fu parte della commissione del concorso per la realizzazione della nuova macchina di Santa Rosa. Successivamente fu moto attivo nelle organizzazioni cattoliche viterbesi, fu fondatore e Presidente della "“Società cattolica di reciproca carità fra i commercianti, gli artisti e gli operai che santificano le feste”, fu dirigente del "Circolo Santa Rosa della Società della gioventù cattolica italiana",fece parte del "Comitato diocesano dell’Opera dei Congressi". In rappresentanza degli oppositori cattolici fu anche membro del Consiglio comunale di Viterbo a testimonianza del fatto che questa parte politica non si limitava alla protesta ma era presente nel governo della Città. Nel 1885 realizzò il palazo di Bernardino Marcucci al n. 13 di via della Trinità oggi via Amendola, con una loggia marmorea che sovrasta il portone d’ingresso. Nel 1885 fu incaricato dal Comune di Viterbo e dalla locale Cassa di Risparmio di redigere un progetto di ampliamento della Porta Fiorentina e della sistemazione dell’area antistante esterna alle mura: a seguito dell’intervento venne realizzata la piazza oggi intitolata ad Antonio Gramsci.Nella seconda metà degli anni Novanta, curò la risistemazione del nuovo Ospizio degli Esposti in via San Pietro, edificato sui resti del palazzo detto di donna Olimpia Pamphili; il nuovo edificio, inaugurato il 5 novrmbre 1899 alla presenza di Cesare Pinzi, è caratterizzato da una elegante facciata a bugne lisce tripartita orizzontalmente da comici con fineste bifore. Bibliografia : Scriattoli 1915-20, p. 207; Galeotti 2002, pp. 20, 21, 129, 138, 293, 319, 377, 566, 639; G. Nicolai, Lavoro, patria e libertà : associazionismo e solidarismo nell’alto Lazio lungo l’Ottocento, Viterbo 2008.l https://www.gentedituscia.it/calandrelli-enrico-2/ Come arrivare a via Giovanni Amendola Viterbo
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Fotografie Via Giovanni Amendola Viterbo centro storico Via Giovanni Amendola Viterbo, informazioni turistiche e foto Anna Zelli Vie di Viterbo centro Via Giovanni Amendola Viterbo, informazioni turistiche e foto Anna Zelli Vie di Viterbo centro Via Giovanni Amendola Viterbo, informazioni turistiche e foto Anna Zelli Vie di Viterbo centro Via Giovanni Amendola Viterbo, informazioni turistiche e foto Anna Zelli - Vie di Viterbo centro Via Giovanni Amendola Viterbo, informazioni turistiche e foto Anna Zelli - Vie di Viterbo centro Palazzo Marcucci via Giovanni Amendola Viterbo Palazzo Bernardino Marcucci - Viterbo - Palazzi di Viterbo centro Stemma Palazzo Marcucci via Giovanni Amendola Viterbo centro Stemma al palazzo Marcucci via G. Amendola - Stemmi a Viterbo Balcone palazzo Bernardino Marcucci via Giovanni Amendola Viterbo centro Balcone palazzo Marcucci Viterbo Giovanni Amendola vita opere storia Giovanni Amendola vita opere storia - Famiglie nobili e personaggi illustri Viterbo Colle Trinità - Faustino - S. Francesco - Rocca - Valle Faul - Verdi - Santa Rosa
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