Ex Chiesa SS Simone e Giuda, Largo Vittoria Colonna, via Mazzini ,Chiese di Viterbo centro, Viterbo, www.annazelli.com
Viterbo |
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EX CHIESA SS SIMONE
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Guida Turistica Viterbo
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Ex Convento, Chiostro, Ospedale e chiesa degli Armeni di Santi Simeone e Giuda, largo Vittoria Colonna, Viterbo, (non visitabili), questo monastero a Largo Vittoria Colonna è poco noto, anche agli stessi viterbesi, un ingresso è su via Raniero Capocci 13, l’altro al Largo Vittoria Colonna. Purtroppo l’antico convento e la chiesa sono abbandonati al degrado, che di certo dura da decenni. Sull’architrave della chiesa si vedono ancora delle scritte in armeno. su una parete del monastero. Andrea Scriattoli (1915 - 1920) : “Vittoria Colonna / fra poeti italici del suo secolo la prima / per ingegno dottrina beneficenza / dovunque chiarissima / soave modesta / che / perduto il consorte / Ferdinando Francesco d’Avalos marchese di Pescara / qui tenne lunga dimora / dall’anno 1512 al 1544 / cultrice esemplare nel vedovaggio / come in giovinezza / della Cattolica religione / per la tristezza dei tempi / agitata e commossa / le suore del monastero / perché la memoria di tanta virtù / ai futuri durasse / P. Q. M. / l’anno 1850 dalla morte di lei 303”. Alla sua morte, Vittoria Colonna lasciò al Monastero di santa Caterina, un legato di trecento scudi, che fu consegnato alle monache dal cardinale. Sugli stipiti dell'ingresso si leggono due epigrafi armene, a testimonianza della gestione del complesso, chiesa e ospedale, da parte degli Armeni stessi fino al 1430-1434. In quella di sinistra si legge: "Io Toros, peccatore, in espiazione dei miei peccati costruii questa porta l'anno 1356"; in quella di destra compare l'alfabeto della lingua armena, in lettere maiuscole su sette linee. Le scritte si stanno deteriorando sempre di più e prima che si sfaldino è necessario un restauro, o meglio toglierle mettendole in Museo e sostituirle con una copia. Qui, dal 1915, circa, allontanate definitivamente le suore, vi furono collocate alcune sezioni . ormai dismesso, che si trova tra a via San Lorenzo, piazza San Lorenzo e via Sant’Antoni, anche questo in stato di abbandono.il Monastero dei Santi Simone e Giuda, fu adibito ad accogliere l’Ospizio dei vecchi di san Simone, e rimase attivo fino al 1995. Nel 1242 l’Imperatore Federico II (1194-1250) assediò Viterbo che, circondata da ogni parte, fu costretta ad arrendersi. Questo tiranno poi per sua abitazione fece erigere un sontuoso palazzo vicino al monastero di S. Rosa e alla porta detta della “Verità” Detto palazzo abbandonato, con l’andar del tempo andò in completa rovina onde il Cardinale Rainiero Capocci viterbese e Vescovo di Viterbo ne ordinò la completa demolizione Il suolo fu dato ai Monaci Rumeni di S. Basilio perché vi costruissero un ospedale e una chiesa per i pellegrini della loro nazione. Tale chiesa e tale ospedale presero il nome dei Santi Simone e Giuda. Questo complesso però fu abbandonato dopo appena 10 anni. Era stato lasciato per le continue guerriglie cittadine e per i continui disturbi che turbavano la quiete degli abitanti. Dopo i monaci basiliani, il 1° marzo 1445 vennero i Frati detti Gesuati, fondati dal Beato Giovanni Colombini (1304-1367): costoro oltre ad attendere alla loro santificazione, pensavano anche alla cura dei malati negli ospedali; ma anche questi, dopo 22 anni circa, passarono nel santuario della Madonna della Quercia, perché il Priore del Comune aveva creduto più conveniente affidare a questi l’ufficiatura del miracoloso santuario. Dopo i Gesuiti venne il Terz’Ordine Francescano. In quel periodo a Viterbo, si diffuse la predicazione del grande francescano San Bernardino da Siena (1384-1444), nella quaresima del 1426, portò copiosi frutti: molte donne per riparare il “lusso muliebre, piaga sociale, causa di tanti disordini e rovine delle famiglie” abbracciavano la regola del Terz’Ordine Francescano o della Penitenza, come mezzo efficace per riparare ai loro peccati. Trascorrevano vita in comune ma senza voti, almeno per allora, sotto la direzione di una di loro che veniva chiamata Ministro; nacque così nel 1428 la prima congregazione di Terziarie. All’inizio si trovavano a far vita comune in una casa della contrada San Tommaso, sotto il titolo di Sant’ Agnese, un’altra simile congregazione dimorava nel palazzo degli Anfanelli ed era composta di 6 elementi che avevano come ministra una certa Caledonia, donna di specchiate virtù e una tale Angela da Vetralla come Priora. Queste, vedendo l’abbandono totale del monastero e della chiesa dei santi Simone e Giuda, si rivolsero al Papa Sisto IV, anch’esso francescano, perché desse loro tali locali. La richiesta fu accolta il 26 aprile 1479. Per la loro capacità, la loro industria e le elemosine che affluivano, chiesa e monastero rifiorirono sotto tutti gli aspetti, non escluso quello economico. Venuta però a morte Suor Angela da Vetralla, forse pure per interni dissensi e forse ancora per difetto di viveri, inaspettatamente si sciolse tale congregazione e quindi fu abbandonato tutto: ciò avvenne alla fine di marzo o ai primi di aprile del 1487. Dopo la partenza di queste terziarie, avvenne un episodio: parte delle suore del vicino monastero di Santa Rosa penetrarono furtivamente nel recinto dei locali per impossessarsene, ma il loro poco edificante esempio fallì. Dopo la partenza della prima congregazione terziaria, ne vennero altre, sempre terziarie, sotto la guida dei Frati Minori Osservanti di Santa Maria del Paradiso; venivano chiamate Pinzochere o Beghine francescane o di S. Bernardino: vivevano riunite in una casa vicino alla chiesa di San Sisto. Col tempo poi queste suore furono consigliate a passare tra le clarisse e di professare la loro regola. Questo avvenne sotto il pontificato di Alessandro VI (1492-1503) che diede facoltà al Priore della chiesa dei Santi Faustino e Iovita di portarsi a San Simone e Giuda; e, a tenore delle disposizioni del suo predecessore Innocenzo VIII (1484-1492), ammettesse tutte quelle suore alla professione della regola delle clarisse perché venissero bene ammaestrate nello spirito della nuova regola abbracciata. Furono messe sotto la guida di sei religiose di santa vita del monastero di San Damiano di Roma, fra le quali primeggiava una tale Suor Antonia da Siena. Queste sante riformatrici o formatrici furono accompagnate in Viterbo dal Rev.mo Vicario Generale dei Frati Minori, Padre Angelo da Chivasso (1411-1495); giunsero a Viterbo il 9 Maggio 1493 ed erano ad attenderle il Magistrato e il popolo. La sunnominata Suor Antonia ricevette le chiavi della clausura e fu la prima ad essere investita del titolo di Badessa. Ministro generale dell’Ordine era Padre Francesco Nanni e Ministro Provinciale della Provincia Romana Padre Angelo Cinti da Valmontone. Queste suore furono talmente esemplari nella loro condotta che molte giovani chiedevano di abbracciare la vita claustrale di Santa Chiara; vissero sempre nella piena osservanza della regola professata tanto che nel 1508 alcune di loro furono mandate ad Orvieto per fondare il monastero di Santa Chiara. Pio V poi, volendo riformare il monastero di San Silvestro in Capite di Roma, il 22 febbraio 1570 ordinò al Padre Guardiano del convento del Paradiso, sempre di Viterbo, di accompagnare a Roma quante monache dei Santi Simone e Giuda volessero andare per lo scopo indicato. Il 10 marzo di detto anno, ne scelse 9 e collocatele “dentro un cesto” sopra i muli, le portò a Roma: una di quelle, suor Veronica, fu eletta badessa una certa suor Chiara, Vicaria. Altre suore probabilmente dei Santi Simone e Giuda andarono a Vetralla col proposito di aprire anche lì un altro monastero di clarisse, ma non ci riuscirono; probabilmente, perché essendo badessa una certa Angelica Brusciotti di Vetralla nel 1514, costei, con i dovuti permessi, pare abbia mandato in Vetralla diverse monache per arricchire la città natale di un monastero di clarisse. Negli anni successivi la vita claustrale dei Santi Simone e Giuda dovette svolgersi tutta regolare. Nel 1527 la città di Viterbo venne occupata dalle truppe ispano-tedesche: il monastero fu saccheggiato e derubato ma le suore non furono soppresse. Nel 1712 una suora, certa Felice Tiberia Marazzi, col permesso dovuto, si trasferì nel monastero di San Bernardino, a piazza della Morte, sempre di Viterbo e qui visse e morì in santità il 24 marzo 1720. Quando fu proclamata la Repubblica Romana il 15-2-1798; si temette ancora una soppressione che non avvenne per allora ma quando il 1 settembre 1810 Napoleone, proclamato imperatore dei Francesi, e scese in Italia, le suore furono costrette ad abbandonare il monastero e lasciare l’abito: il loro confessore Padre Serafino da Caprarola, per non aver voluto prestare giuramento a Napoleone, fu confinato in Corsica. Dopo la caduta di Napoleone il 12 febbraio 1815 le suore disperse ritornarono nel loro monastero.. Dopo tale ritorno, furono accolte altre suore di altri monasteri: una del monastero del Divino Amore di Montefiascone, una del monastero di Santa Croce di Magliano Sabino e del monastero di Santa Chiara di Orvieto. Altro pericolo grave avvenne nel 1848 durante la repubblica mazziniana: “in quei giorni della repubblica fu invaso il monastero dai rivoluzionari e le suore ebbero molto a soffrire: era giunta la minaccia di soppressione ma anche allora non successe nulla di irreparabile. Ci si mise pure il Cardinale Giovanni Bedini, vescovo di Viterbo che nel 1862 fece di tutto per espellere le suore perché voleva fare del monastero un orfanotrofio, ma non ci riuscì perché i confratelli del convento di Santa Maria del Paradiso si opposero con tutti i mezzi perché non riuscisse tale piano; neanche furono mandati via dai garibaldini nel 1867 anzi li trovarono difensori. Conquistata tutta l’Italia e Roma dagli unitari nel 1870, furono allora applicate, anche a queste nuove conquiste, le leggi di soppressione del 1860: il 1° novembre 1873 fu firmato il decreto d’incameramento del monastero mentre potevano restarvi solo 6 religiose con vitalizio. Nel 1876 il Padre Generale dell’Ordine Bernardino dal Vagno mandò in Dalmazia una delle suore di San Simone e Giuda come maestra delle novizie. Morta questa in santità, ne fu chiesta un’altra ma non fu possibile accontentare la richiesta. Si arrivò così al 1881 quando alcuni maligni comunicarono al governo che altre suore erano state ricevute e accolte nel monastero. Subito il 5 gennaio fu ordinato il trasferimento delle suore con quelle di San Bernardino. I confratelli di Santa Maria del Paradiso fecero molto perché non venisse eseguito tale passo. A ciò si aggiunge anche un particolare: essendo state espulse dal Cairo le monache egiziane, il Governo fu costretto a farle alloggiare in numero di 25 nel nostro che stava per essere chiuso, altre 4 furono accolte nel monastero di Santa Rosa e 4 in quello di Santa Caterina. Tutto quindi fu rimandato. Comunque tra minacce, incertezze e avverse volontà degli uomini si arrivò al 18 dicembre 1908 quando il Municipio fece sapere che voleva la chiusura del monastero. Il 6 febbraio 1909 tutte le suore, riunite in capitolo, decisero all’unanimità di non riunirsi in alcun monastero ma di trovare altro locale adatto per vivere in pace e ricevere vocazioni. Fu trovato questo locale: un ex convento di Vitorchiano. Prima di abbandonare il loro monastero, per evitare la forte spesa per il trasporto di oggetti d’uso della nuova casa, se ne disfecero di vari altri: il coro, le campane, il vecchio e inservibile organo, i cinque altari di legno, l’acquasantiera, vari altri immobili, l’altare dell’infermeria ecc. Il 24 luglio 1909 fu fatto l’atto di riparazione con la seguente preghiera: “Signore Dio Onnipotente. Eccoci prostrati avanti al Trono della vostra Divina Maestà; come raminghi e pellegrini su questa misera terra, per dura e continua lotta scoraggiati e stanchi, oppressi da affanni e croci, col cuore straziati da tante amarezze e cogli occhi ripieni di lacrime per essere costretti ad abbandonare questo vostro sacro Tempio, che per i nostri peccati, avete decretato che venga tolto dal numero di quelli dedicati al Vostro Divin Culto, che ridotte queste vostre Sacre Spose a cercare asilo in altra terra. Adoriamo sì le vostre ammirabili disposizioni, riconoscendone in noi stessi la causa. Prima però di varcare la soglia di questo santo luogo, noi unitamente vi chiediamo perdono delle tante offese e irriverenze commesse da me povero e miserabile peccatore e vostro indegno ministro, da queste vostre sacre Spose e da tutto il popolo di questa città, e con questo atto di umiliazione intendiamo di placare la vostra Divina Maestà giustamente irritata per i nostri peccati. Sì o Signore clementissimo, abbiate pietà di noi e perdonate i nostri falli, affinché possiamo sempre esaltare le vostre ineffabili misericordie In aeternum Cantabo… Deus Meus misericordia tua Versate su di noi tutti un fluvio di celesti benedizioni Sit super populum tuum benedictio tua. Rivolgete benignamente il nostro amoroso sguardo su queste vostre elette Spose e con speciale benedizione infiammatele sempre più nel vostro santo amore, concedendo loro una esemplarità di costumi che una serva di accitamento all’altra. Difendetelo dagli assalti dello spirito maligno, che distrugge nei cuori l’amore fraterno, ed infondete a tutte il vostro santo spirito, che è spirito di carità di amore e di concordia, operando sì che risiedendo fra loro, si conservi inalterabile la pace e la vera unione fraterna, virtù tanto necessaria a tutti coloro che sono dedicati in special modo al vostro santo servizio: affinché un giorno tutto unite, siano fatte degne di venire a cantare in eterno le vostre Misericordie” Dopo fu recitato il Miserere, fu data la Benedizione col Santissimo e fu chiusa la chiesa. Il 31 (sabato) al mattino si fece una santa messa per le religiose defunte del monastero; e a sera inoltrata, le monache accompagnate da vari cittadini e da religiosi del Convento del Paradiso di Viterbo, partirono per la nuova casa. BIBL. Di Galeotti : devo all’amico Bruno Blasi di Tarquinia la stesura di questo articolo sul monastero in parola. Egli mi ha fatto conoscere un manoscritto esistente nell’archivio storico della Società Tarquiniense d’Arte e Storia, dal titolo cronaca del Monastero dei Santissimi Simone e Giuda in Viterbo e trasferimento del Monastero in Vitorchiano. Questi appunti di cronaca furono raccolti dal P. Giustino Fedeli dei Minori di Montecelio, già confessore del monastero, e consegnatone copia al Monastero di Vitorchiano. Nel rimettere tale manoscritto alle suore di Vitorchiano, l’autore dice che vi ha aggiunte diverse annotazioni per dare un’idea delle religioni dei frati che l’hanno abitato BIBL. Wikipedia e Dal libro Mauro Galeotti: "L'illustrissima Città di Viterbo", Viterbo, 2002 e Bruno Blasi, Tusciaup.com Ex Ospedale SS Simone e Giusa
Ex Chiesa Monastero e
Ospedale dei Santi Simone e Giuda a Largo Vittoria Colonna, Viterbo, ormai in stato di abbandono,fu edificato intorno al 1300 quando Pietro Capocci Vescovo di Viterbo concesse a certi monaci Armeni dell’ordine di San Basilio, di poter costruire una Chiesa e un ospedale nella Piazza del Palazzo dell’ Imperatore, posta presso le mura della città, nell’area oggi compresa tra il Monastero di Santa Rosa e il monastero di Santa Caterina . La Chiesa e l’ospedale furono chiamati con il nome di San Simone e Giuda, l’ospedale però veniva anche chiamato degli Armeni, non perché questo accoglieva solamente i pellegrini di questa nazione ma per i monaci che lo governavano. Il Priorato e l’ Ospizio degli Armeni cadde in abbandono verso il 1434.Solo nel 1444 un tale di nome Battista originario di Fermo, e membro della congregazione dei Gesuiti, chiese ad Eugenio quarto di concedergli San Simone a lui e alla sua Congregazione, assicurando al Pontefice che avrebbero riassestato la Chiesa e il Monastero, il Papa accolse tale richiesta con una Bolla del 16/dicembre/1444 e incaricò come Rettore Monsignor Morrerio. I Gesuiti governarono per ventitre anni, fino a quando furono chiamati dal Comune per governare la Chiesa di Santa Maria della Quercia. Così il San Simone ricadde nuovamente in abbandono. Ma a quel tempo a Viterbo c’era una povera congregazione di suore del terzo ordine di San Francesco, chiamate della penitenza, queste non erano suore di clausura, ma desiderose di approdare nel San Simeone chiesero al pontefice Sisto IV il permesso e questo lo concesse. Così il 26 aprile 1479 le suore andarono nella nuova dimora e furono accolte con una grande cerimonia da un Commissario Papale. Con la presenza di queste religiose l’istituto iniziò man mano a perdere il suo squallore e iniziò ad assumere un aspetto rigoglioso. Dopo cinque anni, quando avvenne la morte di Suora Caledonia (che era la superiora), il San Simone era riuscito ad accumulare una buona fortuna in denaro; ma dopo tre anni dalla morte della Suora il San Simeone tornò di nuovo in abbandono. Le Suore di Santa Rosa avendo visto di mal occhio il lussureggiare del San Simeone e avendo paura che questo poteva riaccadere di nuovo decisero di occuparlo, ma questo “assalto” non fu ben accolto dal Comune che le fece ricondurre dentro il loro monastero. In seguito il San Simone con l’autorità del Commissario Papale venne tramutato da allora in poi in un Monastero per Clarisse. Il San Simone cadde sempre più in rovina e dopo alterne vicende divenne convento di clausura per le suore della regola di Santa Chiara e come tale giunse fino alla fine del 1800. Successivamente il convento passò all'amministrazione dell'Ospedale Grande degli Infermi di Viterbo che si trovava tra via San Lorenzo e la omonima piazza, tutt'ora visibile, ma anche questo in stato di abbandono, e divenne la parte in cui venivano ricoverati i malati cronici o di lunga degenza fino agli anni '80 e, fino all'anno 2003, sede del Centro Trasfusionale, dell'Emodialisi e del Servizio di Anatomia Patologica. Il San Simone era un "Ospizio" utilizzato per pazienti anziani e "cronici", in parte la degenza degli "Ospiti" veniva pagata dal Comune di provenienza ed in parte era a pagamento. (Claudia Marucci). L'Ospedale era così strutturato: a piano terra, nel lato coperto del chiostro erano situati: La Cappella, la casa delle suore che gestivano l'Ospedale, il Reparto San Giovanni con circa 30 posti letto in cui venivano ricoverati pazienti autosufficienti; nel lato centrale invece si trovava la farmacia interna, la cucina, la lavanderia e la sartoria che gestiva tutti i capi di vestiario degli ospiti, compresa la biancheria intima, le divise dei dipendenti e tutta la biancheria di stanza (traverse, lenzuola, copriletto, federe asciugamani etc...) tutta la biancheria veniva cucita all'interno della sartoria di S. Simone. Il servizio si occupava anche del rammendo del corredo individuale degli anziani. Nel lato opposto, a fianco della scalinata che portava al piano superiore, si trovava la cantina ed il deposito di materiale vario utilizzato (comprese le botti con vino che all'epoca veniva prodotto in proprio dall'Ente) e formaggi, carne, frutta, verdura, olio etcc... prodotti dall'azienda ospedaliera che all'epoca era anche proprietaria di terreni con allevamenti di bestiame e coltivazioni varie. Al primo piano, dove venivano ricoverati nella maggior parte dei casi degenti cronici che avevano problemi di deambulazione, era situato il Reparto uomini chiamato S. Antonio con circa 60 posti letto; sullo stesso piano si trovavano anche i Reparti femminili: S. Margherita e S. Rita con una capienza totale di circa 100 posti letto. Salendo al secondo piano c'era il Reparto uomini, chiamato S. Domenico, in cui erano ricoverati circa 20 degenti autosufficienti. Descrizione dell’ex ospedale di San Simeone e Giuda a Viterbo si trova a ridosso delle mura e a vicino al santuario di Santa Rosa, la struttura si trova a largo Vittoria Colonna e vi si accede da via Palazzaccio. Il grande complesso si compone di diversi corpi di fabbrica che si articolano attorno al chiostro di forma quadrangolare, I volumi sono di altezze diverse, raggiungendo i due o i tre livelli di sviluppo, con copertura a tetto a falde. I prospetti visibili dalla strada sono in muratura mista a vista o intonacati, privi di caratterizzazione, a esclusione delle cornici in tufo che ornano le finestre, disposte irregolarmente sulle facciate. L'accesso principale avviene dal largo Vittoria Colonna, dal portale architravato di forma rettangolare chiuso dalla grata in ferro e sormontato dal finestrone di eguale dimensione e forma. All'interno, il chiostro su due piani è caratterizzato dal porticato a pilastri ottagonali collegati dal basamento a sostegno delle volte a crociera, mentre superiormente la superficie muraria è forata da aperture arcuate; il campo centrale è quadripartito presumibilmente un tempo ornato con aiuole di forma mistilinea. Si segnala la cornice che orna il portale d'ingresso all'ospedale, recante l'iscrizione in latino e armeno. Il chiostro interno presenta un ordine di pilastri di forma ottagonale, coronati da un sintetico capitello e con base poggiante sul podio continuo interrotto solo in corrispondenza degli assi; tutto attorno si snoda il portico con volte a crociera. La chiesa contiene resti di decorazioni pittoriche. Il complesso, con numero identificativo 560465, appartiene alla classe “Architettonici di interesse culturale dichiarato” ed è soggetto alla Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per l’area metropolitana di Roma, della provincia di Viterbo e dell’Etruria meridionale. L'edificio è inoltre tutelato ai sensi degli artt. 134 e 136 del D.Lgs. 42/2004. Il complesso rappresenta una significativa testimonianza della storia della città di Viterbo. Esso è infatti legato alle alterne vicende che hanno riguardato la fondazione del convento da parte dei monaci basiliani (Ordine di San Basilio, santo armeno) nel XIV secolo, cui si deve la dedicazione ai santi Simone e Giuda, e, successivamente, il passaggio della struttura all'ordine delle clarisse. Queste ultime, in particolare, furono responsabili del rifiorire della struttura nel XV secolo, grazie all'interessamento del pontefice Sisto IV. Le suore francescane rimasero fino al 1909, con il loro trasferimento nel nuovo monastero di Vitorchiano, per cui il complesso venne adibito ad ospedale dal 1915 fino al 1995. Con la sua lunga storia, l'edificio ha partecipato attivamente alle vicende politiche della città di Viterbo. Il convento fu fondato dai monaci Armeni sui resti di una casa nobiliare appartenuta a Federico II e fu da loro detenuto dal 1430-1434 anche per l'accoglienza dei pellegrini malati. Passato poi alle suore dell'ordine di S. Chiara, il monastero è stato attivo fino al 1906. Dal 1915 al 1995 il complesso fu adibito a ospedale. Il complesso è una testimonianza importante delle diverse fasi della storia di Viterbo. In particolare, documenta le alterne vicende legate al susseguirsi dei diversi ordini religiosi, quello dei monaci basiliani, delle clarisse e delle francescane, e dei loro rapporti a volte conflittuali con il vicino santuario di S. Rosa. La sua storia è legata anche ai drammatici eventi della Repubblica Romana e della successiva invasione napoleonica (1799-1815), nonché di quelli del 1848 e dell'Unità d'Italia. Il complesso è in pessimo stato di conservazione, per via dell'incuria, del lungo stato di abbandono e dei saccheggiamenti di cui è frequentemente vittima. Le superfici esterne sono oggetto di un evidente degrado per l'intonaco lacunoso, che lascia alla vista il paramento murario. Questo risente di fenomeni di erosione e di attacco da parte di piante. Inoltre, si segnala la presenza di numerose aggiunte improprie, tra cui cavi di impianti e l'apertura di recenti finestre. Le aperture sono danneggiate nelle loro cornici e nei loro infissi, spesso rotti. All'interno, il chiostro con il pavimento trecentesco è invaso dalla vegetazione infestante. La chiesa è stata preda di numerosi furti ed è stata molto danneggiata.
BIBL:http://vincoliinrete.beniculturali.it/vir/vir/vir.html
- Santi Simone e Giuda Santi Simone e Giuda, apostoli del Cristo, a loro a Viterbo, era dedicato un monastero e un convento in Largo Vittoria Colonna,, poi trasformato in ospedale che oggi è in totale abbandono. Entrambi vengono ricordati lo stesso giorno in quanto insieme subirono un orrendo martirio, Simone fu fatto a pezzi da una sega e per questa ragione viene venerato come protettore dei boscaioli e dei taglialegna. Di Giuda, detto il Taddeo, da non confondere con quel Giuda che tradì Gesù nell’ultima cena, si hanno scarse notizie, fu detto Taddeo ovvero magnanimo, o Lebbeo ovvero coraggioso, era fratello di San Giacomo il Minore. E’ nominato nei Vangeli, ma di lui si hanno scarse notizie. Era soprannominato come il Cananeo o Zelota, cioè come zelante. Secondo la tradizione Egisippo, lo ricorda come martire tra gli anni 62 o 107, sotto Traiano. Benchè poco conosciuti i due apostoli San Giuda Taddeo e San Simone, erano parenti stretti di Gesù, Giuda Taddeo era figlio di Alfeo, fratello di San Giuseppe e quindi cugino di Gesù, mentre sulla parentela di Simone con Gesù le notizie sono incerte. Le loro reliquie sono custodite nella Basilica di San Pietro a Roma. Vie di accesso al Largo Vittoria Colonna
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