Via Santa Maria Egiziaca,Vie di Viterbo, Viterbo,Piazze di Viterbo,info e foto a cura di Anna Zelli sito ufficiale web www.annazelli.com
Via S. Maria Egiziaca |
via santa maria egiziaca viterbo centro storico | |||||||||||||||||||||||
VIA S. MARIA
EGIZIACA |
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Santa Maria Egiziaca
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Via Santa Maria Egiziaca, Viterbo, centro storico,vi si arriva da: Vicolo oggi Via del Teatro del Genio e da via della Volta Buia. La via è dedicata a questa santa egiziana. Lungo la via da vedere un arco, una casa ponte, la scritta all'entrata ex Chiesa Santa Maria Egiziaca " Ego Sum Pastor Bonus", oggi la ex chiesa è adibita a palestra, anno 2023, palazzo e Stemma Spreca, da dove sono stati trafugati e poi restituiti dopo le indagini della polizia i 14 dipinti delle virtù, 'stemmi famiglia Paoloni e della famiglia Pace o Paci, ed una scritta a via Santa Maria Egiziaca 21. Santa Maria Egiziaca Santa Maria Egiziaca, vita opere storia, a lei è dedicata una via a Viterbo, nacque in Egitto ad Alessandria, nel 344 circa, e morì nel 421 circa, fu monaca ed eremita, è venerata come santa sia dalla Chiesa cattolica, che da quella ortodossa e da quella copta. Della sua vita abbiamo notizie da Sofronio, vescovo di Gerusalemme, ma di dubbio valore storiografico, l’unico dato storico è l’esistenza di una tomba di una santa eremita di nome Maria, presente dal V secolo nell’entroterra palestinese. Maria fuggì dalla propria casa all'età di dodici anni abbandonandosi ad una vita dissoluta e guadagnandosi da vivere elemosinando e facendo la prostituta, anche se nella sua Vita si racconta di come spesso rifiutasse i soldi offerti per i propri favori sessuali. All'età di ventinove anni incontrò ad Alessandria un gruppo di pellegrini che si stavano imbarcando per Gerusalemme e, spinta dal desiderio di lasciare l'Egitto per visitare nuove terre, s'imbarcò con loro, seducendoli uno dopo l'altro. Una volta arrivata nella città, durante il giorno della festa della croce fu impedita dal recarsi insieme ai suoi compagni nella Basilica da una forza che la tratteneva. Resasi conto del motivo di quell'impedimento, si mise a pregare davanti all'icona della Madre di Dio e solo dopo riuscì ad entrare e ad adorare la Croce di Gesù. Uscendo, pregò nuovamente davanti alla stessa icona della Madre di Dio e sentì una voce che le disse “se attraverserai il fiume Giordano, ritroverai quiete e beatitudine”. Sentitasi quindi chiamata presso il fiume Giordano, vi si recò e, pentitasi della propria esistenza dissoluta, si immerse nelle sue acque per purificarsi, ricevendo in seguito la comunione eucaristica nella basilica di san Giovanni Battista, allora sita sulle rive del fiume. Da quel momento viene raccontato che Maria iniziò un lungo cammino di penitenza per il deserto. Il suo errare solitario durò quarantasette anni, durante i quali si nutrì solo con l'erba che trovava sul suo cammino. Zosimo, monaco di un monastero palestinese, la incontrò durante un analogo pellegrinaggio da lui intrapreso per il periodo quaresimale. Secondo le parole di Sofronio, trovò innanzi a sé una donna molto magra, nuda e con lunghi capelli bianchi come la lana. Acconsentendo a parlare con il monaco dopo essersi fatta consegnare da lui un mantello per coprirsi, Maria raccontò a Zosimo le circostanze che l'avevano portata a quel lungo pellegrinaggio e, per la seconda volta dall'arrivo in Palestina, ricevette l'Eucaristia. Zosimo lasciò Maria promettendo di ripassare da lei nello stesso luogo l'anno successivo. Il monaco tornò, come aveva promesso, trovando però la santa morta, con indosso lo stesso mantello che le aveva donato l'anno precedente. Leggenda vuole che la sua tomba fu scavata da un leone con i suoi artigli. A Santa Maria Egiziaca si rivolgono le prostitute. Ex Chiesa S. M. Egiziaca
Ex Chiesa di santa
Maria Egiziaca sconsacrata e Monastero delle
Convertite, Viterbo, via Santa Maria
Egiziaca, nel 2023, sede di una Palestra, informazioni tratte dal libro “
L’Illustrissima città di Viterbo” di Mauro
Galeotti. Nel 1583 la Confraternita della
Misericordia propose di fare un Monastero
per le Convertite. Tre anni dopo, per
volontà del frate cappuccino Anselmo,
predicatore, si diede il via per fondare il
monastero Il frate affermava che la fondazione
era necessaria «per le anime in manifesto
pericolo di dannatione e che non possono
togliersi dal peccato per non aver luogo di
rifugio». A seguito di ciò il Comune predispose
l’utilizzo di cinquecento scudi per acquistare
una casa per tale fine. Nel 1587, Fulvia
Bernardini lasciò erede dei suoi averi il
Monastero delle Convertite, a patto che la
costruzione per le religiose venisse eseguita
entro un anno, se ciò non fosse avvenuto avrebbe
fatto l’offerta alle Confraternite di santa
Maria Maddalena o del santissimo Sacramento. Il
7 Maggio 1629, a mezzo testamento, il viterbese
Federico Paoloni dispose che i suoi
possessi, del valore di oltre dodicimila scudi,
dovessero essere impiegati per la costruzione
del monastero e che l’utilizzo dovesse avvenire
entro due anni. A gestirli fu incaricato il
cardinale Tiberio Muti, che ricopriva la carica
di vescovo di Viterbo.I Paoloni secondo Mario
Signorelli avevano lo stemma: d’argento, a sei
losanghe d’azzurro. Ma da una serie di disegni
di stemmi settecenteschi, conservati nella
Biblioteca degli Ardenti, lo trovo disegnato
differentemente: alla colomba con in becco un
rametto d’ulivo, tenente sotto le zampe un ramo.
La costruzione del monastero iniziò, acquistando
Casa Spreca, grazie anche ad un lascito
del vicario Accorsini, disponendo quale
esecutore il Comune. I priori del Comune avevano
proposto di usare i beni del Paoloni per il
Seminario o per la costruzione di un monastero
delle zitelle sperse, ma a ciò si oppose il
pontefice che volle fossero rispettate le
volontà del defunto benefattore. Il 2 Settembre
1631 fu consacrata la Chiesa di santa Maria
Egiziaca, che vide il compimento col
monastero, grazie anche al vescovo Muti, il
quale nella sua qualità di esecutore
testamentario, acquistò, tra l’altro, un
giardino dotato di fontana e alcuni locali. In
seguito papa Urbano VIII, il 5 Maggio 1632,
approvò la fondazione del monastero e per
dirigerlo vennero, da san Giacomo in Roma,
Cesarea Gavardo e Alfonsina Vannuzzi. Al termine
della costruzione il vescovo Muti vi inserì
cinque novelle monache più due anziane,
provenienti da Roma, e, il 22 Giugno 1632, il
monastero fu inaugurato. Successivamente però
sotto il Cardinale Bedini, il monastero divenne
un carcere per le convertite, qui venivano
richiuse delle ragazze, a discrezione della
curia vescovile, senza che queste potessero
avere nessuna forma di processo, le malcapitate
rimanevano in carcere finchè non fossero
sostituite da altre. Inoltre qui venivano
istruite le fanciulle, ma non in modo gratuito,
ma a pagamento, disattendendo tutte le volontà
del lascito di Federico Paoloni in favore dei
poveri. In seguito vi furono ulteriori
donazioni, nella metà del ‘600. Ottavio Closi
donò, nel 1652, trentasei giulii all’anno alle
Convertite sue vicine. L’anno seguente Menica di
Acquapendente lasciò parte dell’eredità e, nel
1656, Ottavio Closi, scrive lo storico Giuseppe
Signorelli, «lascia alle Convertite una stalla
sotto l’arco che appoggia alla casa del
Monastero delle Convertite». Il cardinale
Raniero Felice Simonetti, morto il 20 Agosto
1749, lasciò disposto che fossero concessi mille
scudi in favore delle Convertite. Nel 1840
leggiamo da Stefano Camilli che un locale venne
dato alle zitelle rimaste orfane e senza parenti
che potessero accudirle, le quali qui ricevevano
una adeguata istruzione. Su domanda del
cardinale Bedini, papa Pio IX il 1° Agosto 1862
ridusse il monastero a casa di correzione per le
donne e, il 2 Novembre 1864, fu aperta nel
monastero, la scuola esterna delle fanciulle,
sotto la direzione delle monache del Buon
Pastore, progettata dal vescovo Gaetano Bedini
(1861 - 1864) e attuata dall’amministratore
apostolico Antonio Maria Pettinari (1864 -
1866). Il Conservatorio del Buon Pastore, fu
detto anche delle povere traviate o delle
Convertite. Nel 1869 la chiesa, a spese
dell’arcidiacono Giovanni Cristofori, fu
restaurata e per ricordo fu scolpita l’epigrafe
posta sulla porta: “Domum hanc solitudinis
altare fornice et corona extructis aere suo
ampliavit / decoravit rmus Ioannes Christophorus
archidiac. Viterbien. A.R.S. MDCCCLXIX sorores
de Bono Pastore grato animo posuere”. Nel 1874
il Regio Demanio prese possesso del monastero
conservando l’Opera Pia.Bibliografia da : Interno ex Chiesa S.M.Egiziaca Interno ex Chiesa S.M.Egiziaca Interno della Chiesa sconsacrata di Santa Maria Egiziaca, sita nella omonima via a Viterbo, nel 2023 qui vi è la sede di una Palestra, un tempo all'interno di questa chiesa vi era un quadro raffigurante il Transito di santa Maria Egiziaca di Marco Benefial (Roma 1684 - 1764), riferibile al decennio 1720 - 1730, già posto sull’altare maggiore, ed oggi al Museo Civico La Gazzetta di Viterbo del 29 Novembre 1873 riferisce che nella chiesa vi era un quadro rappresentante la morte della santa, di molto pregio, scomparso,o che venne lascito alle monache garanzia della loro pensione. Giuseppe Ferdinando Egidi nella guida della città del 1889 scrive che qui c’ era il Conservatorio delle Fanciulle Povere che accoglieva le giovani povere e in balia di pericoli, amministrato dalla Congregazione di Carità, e diretto dalle Suore dette del Buon Pastore. Andrea Scriattoli scrive (1915 - 1920) che nel monastero vi erano vari affreschi, eseguiti nella metà del secolo XVII, alcuni dei quali raffiguravano: la Fede, la Verginità e la Carità. Vi era raffigurato, in un interno, lo stemma della famiglia Spreca, la quale, nei pressi, aveva la residenza: d’azzurro, alla fascia di rosso accompagnata da tre pigne d’oro, due in capo e una in punta. Bibliografia da : Da “L’Illustrissima Viterbo” di Mauro Galeotti Palazzo Spreca Palazzo Spreca, via Santa Maria Egiziaca Viterbo, è una costruzione gentilizia che purtroppo versa in uno stato di abbandono, importanti sono gli affreschi di palazzo Spreca, che furono staccati illegalmente e messi in vendita da un antiquario, poi recuperati dalla Procura della Repubblica di Viterbo Si tratta di 14 affreschi risalenti al ‘400, che nel 2012 vennero esposti a Palazzo Venezia a Roma, alla biennale dell’antiquariato.. Questi furono visti dall’architetto Enzo Bentivoglio, conoscitore della storia e della cultura di Veterbo, il quale li riconobbe come affreschi del Palazzo Spreca di Viterbo. Questi affreschi erano anche stati descritti da Antonio Munoz nel 1912. Questi affreschi rimasero al loro posto fino al 1995, ma poi tolti e ritrovati a casa di un antiquario di Spoleto. Rappresentano un ciclo di 14 virtù profane, dipinte da un pittore anonimo e datati tra il 1470 e il 1480. Nel 1910, Antonio Muñoz, funzionario della Soprintendenza ai Monumenti del Lazio, aveva descritto gli affreschi e aveva pubblicato le fotografie del salone delle Virtù. Nella prima metà del XVII secolo il palazzo, insieme ad altri edifici ed aree vicine, era stato acquistato e trasformato in Ricovero delle Convertite con l'attigua Chiesa di santa Maria Egiziaca, detta poi del Buon Pastore, per le suore che vi abitarono fino all’ultimo dopoguerra. Tutto inizia con un sostanzioso lascito testamentario del 7 maggio 1629 del viterbese Federico Paoloni, i cui stemmi, sono su via Santa Maria Egiziaca e su via della Marrocca. Nel 1910 il demanio del Fondo per il Culto cedette al Comune di Viterbo, chiesa, monastero e annesso Palazzo Spreca che ormai faceva parte integrante del monastero stesso, con l'obbligo di conservare caratteri artistici e monumentali. Nonostante ciò la chiesa e parte del monastero, compreso il Palazzo Spreca, vennero ceduti a privati, anche se tale vendita fosse proibita per uso privato. Inizia così una storia allucinante con la trasformazione della chiesa in una palestra, abbattendo il soffitto, del monastero in abitazioni, una fontana fu asportata, gli affreschi strappati dalle pareti del salone del Palazzo Spreca con la distruzione dei fregi nelle fasce, che facevano da cornice alle pitture, e smontaggio del prezioso soffitto a cassettoni con gli stemmi della famiglia Pace e Spreca. Il Comune di Viterbo non poteva alienare questo bene ed oltrettutto manca anche un inventario dei beni esistenti, come suppellettili, fregi, capitelli, affreschi e arredi che erano all’interno e dei quali non c’è più traccia Si parla degli stemmi della famiglia Paci con colomba e alloro scomparsi, senza contare la mobilia che doveva appartenere all’attigua ex chiesa di S. Maria Egiziaca, oggi trasformata in una palestra, col solaio ribassato di 2 metri per acquistare volume. Basta farsi un giretto nel retro della struttura (con accesso dal chiostro ex Eca, ente comunale d’assistenza) per assistere al paradosso: il porticato dell’ex convento del Buon Pastore (di cui l’ex monastero di S. Maria Egiziaca doveva fare parte) che a un certo punto termina confinando con la palestra; le finestrelle di questa che sbucano dal piano seminterrato sulla parete del chiostro. Nel cortile una tribuna in cemento costruita accanto a un albero secolare a cui sono state recise le “ingombranti” radici. E altri misteri: le tre campane del 1622, 1629 e 1687 «esempi dei fonditori viterbesi» sparite. Da “L’Illustrissima Viterbo” di Mauro Galeotti Dipinti 14 Virtù I dipinti delle 14 Virtù trafugati e ritrovati di Palazzo Spreca, a via Santa Maria Egiziaca, trafugati e ritrovati, rappresentano le 14 virtù di di grande valore storico e artistico. Le figure allegoriche sono riferibili a Virtù non convenzionali, forse collegate alla carica pubblica di Priore rivestita da Domenico Spreca. Figure allegoriche che erano originariamente distribuite su 35 metri di pittura: “Virtù” personificate da delicate immagini femminili, il tutto espresso con un linguaggio che risente ancora dell’espressione tardo gotica. Figure allegoriche bellissime, che “nascondono” dei messaggi e raccontano di una complessa e affascinante epoca storica: quella che apre le porte al Rinascimento italiano. Le 14 Virtù sono : Spes, Fides, Caritas, Temperantia, Prudentia, Iustitia, Oratio, Fidelitas, Oboedientia, Virginitas, Sobrietas, Honestas, Autoritas, Perseverantia. La SPES prega con le mani giunte verso il sole; la FIDES regge la croce e un calice con l’ostia; la CARITAS allatta due bambini a entrambi i seni e con la mano dispensa denari a un gruppo di persone. La TEMPERANTIA versa acqua da un vaso in un altro; la PRUDENTIA tiene un compasso e un serpente attorcigliato al braccio. La IUSTITIA regge la spada e una bilancia. L’ORATIO è l’unica figura che sta in piedi, regge un turibolo; la FIDELITAS con un nastro svolazzante tra i capelli alza l’indice della mano destra e ha accanto un cane; l’OBOEDIENTIA tiene in mano un bastone e si rivolge a una figura con le braccia incrociate e con il cammello inginocchiato carico di legname. La VIRGINITAS ravviva con un pettine la criniera di un unicorno, simbolo della purezza. La SOBRIETAS è con la mano destra al petto; l’HONESTAS tiene sulle ginocchia un ermellino. L’AUTORITAS ha la testa ornata da un piccolo diadema a punta e tiene due chiavi nella mano destra alzata, e in quella sinistra uno scettro. La PERSEVERANTIA con la mano destra regge un quadrante. (Bibliografia Francesca Pontani – www.francescapontani.it https://www.academia.edu/33932758/Sacro_and_Profano._Capolavori_a_Viterbo_ Stemma Famiglia Spreca Famiglia Spreca, Viterbo, avevano un palazzo in via Santa Maria Egiziaca, Famiglia nobile originaria di Viterbo, documentata a partire dalla prima metà del sec. XV con il capostipite Giovanni di Paolo, detto Spreca, che nel 1428 ricopriva la carica di priore. Coniugato con Andreina Fajani, ne ebbe Domenico e Antonio, dai quali discesero rispettivamente il ramo di Viterbo, estintosi al termine del sec. XVII, e quello di Vallerano, fiorito in questa località fino alla metà del sec. XVIII e successivamente trasferitosi nella città di origine e, in epoca recente, in Milano e Roma. A Domenico, priore in patria nel 1458, si deve in particolare la realizzazione nella chiesa di S. Maria della Verità della cappella di S. Sebastiano (dove lo commemorava una tavola dipinta), che venne adibita a cappella di famiglia. La linea viterbese ebbe personaggi di spicco in Sebastiano, figlio di Domenico e di Margherita Tignosini, protesoriere del territorio, coniugato con Livia Capocci, tra la cui prole si segnalò Paolo, che nella città rivestì numerose cariche pubbliche, quali quelle di commissario per il sussidio (1545-1550), vice tesoriere del Patrimonio (1547-1550), doganiere della Provincia del Patrimonio (1549). Nel 1547 acquistò la tenuta di Campo Villano, ubicata nel territorio di Tuscania e nel 1552 la mola di Celleno e altre proprietà vicine; nel 1555 fu imprigionato a Castel S. Angelo con l’accusa di avere fomentato tumulti contro l’autorità pontificia, riottenendo la libertà dietro pagamento di 3000 scudi. Figure di rilievo furono anche Girolamo e Cesare, fratelli di Paolo, il primo notaio e il secondo banchiere e priore nel 1569, mentre per gli anni successivi sono citati tra gli altri Antonio, figlio di Girolamo, laureato in utroque iure, priore (1577, 1586), cancelliere comunale (1590) e governatore dell’Ospedale Grande degli Infermi di Viterbo (1630); e la figlia che questi ebbe da Virginia Firenzuoli, Sulpizia (1588-1638), la quale nel 1634 fece un lascito di 3000 scudi per la costruzione della chiesa dei SS. Teresa e Giuseppe. Menzione va fatta anche di due dei figli avuti dal cavaliere di Malta Orsino (m. 1610): Felice (m. 1621), andata in sposa il 27 ago. 1598 a Giulio Arenghi di Firenze e in seconde nozze ad Alessandro Brugiotti di Pietro di Vetralla, che alla morte la seppellì nella chiesa del Carmine di questa cittadina; e Sebastiano (batt. 26 maggio 1591), investito cavaliere di S. Stefano il 26 apr. 1606 a Orvieto, conservatore del Comune di Viterbo all’epoca della costruzione del portico nel palazzo comunale (1632, iscrizione ivi). Il ramo valleranese degli Spreca iniziato dal già citato Antonio, priore di Viterbo nel 1474 e quindi trasferito in questa località, dove rivestì la stessa carica nel 1575 e nel 1576, proseguì con il figlio Giovanni, cancelliere del Comune nel 1578, diramandosi con i suoi discendenti in varie linee; la famiglia venne reintegrata nella nobiltà viterbese nel 1777 con Antonio (m. 1817), canonico della cattedrale di Viterbo, e Lorenzo, che il 15 apr. 1770 acquistò nella città un palazzo ubicato nella parrocchia di San Sisto. Tra gli ultimi membri illustri della famiglia vanno ancora citati il cavalier Raimondo (n. 1° giugno 1788), presidente dell’Accademia degli Ardenti nel 1812 e ancora nel 1838, e – appartenenti al ramo trasferitosi a Roma e qui tuttora fiorente – Nando (1899-1920), medaglia d’oro al valore militare, e Italo, disperso in Russia nel 1942. Stemma Famiglia Spreca: d’azzurro alla fascia di rosso accostato da tre pigne d’oro, due in capo e una in punta. BIBL. – Signorelli 1968, pp. 168-169; Spreti, VI, p. 438; Angeli 2003, pp. 507-510, 861-863. [Scheda di Marina Bucchi – Ibimus] Gente di Tuscia Categories: Famiglia, XV, XVI, XVII, XVIII, XIX, XX, Vallerano, Viterbo, BIOGRAFIE Stemma Famiglia Paoloni Famiglia Paoloni, Viterbo, questa famiglia fu iscritta nell’Albo del patriziato viterbese nel 1460 quando in Città era presente Pietro che ebbe come figli Andrea e Bernardino che diedero vita a due rami della discendenza. Bernardino nel 1531 era rettore dell’Arte dei calzolai ed ebbe Pier Francesco e Giovan Battista. Da Giovan Battista discesero Marco Antonio e Bernardino e da quest’ultimo nacquero Porzia, Clemenza, Cosimo e Giovan Battista che si sposò con Elisabetta De Rossi e poi con Lavinia Coretini avendo come figli Paolone che fu ecclesiastico e Bernardino che fu dottore in legge. Con il notaio Giuseppe, figlio di Bernardino, si è chiusa questa linea della famiglia. Dal matrimonio di Andrea di Pietro con Smeraldina di Gemino discesero Giovan Lorenzo che divenne canonico di Sant’Angelo in Spatha e poi fu notaio (1507-1526); Gemino che svolse l’attività di conciatore; Paolo che sposò Griscide Anna di Domenico. Da Santoro figlio di Gemino discesero Giovan Lorenzo che si sposò per tre volte; nel 1588 era Conservatore del Popolo a Viterbo mentre nel 1598 era tra i prefetti dell’amministrazione dell’Ospedale Grande (nel 1585 aveva acquistato dal Comune parte dell’acqua della fonte del Respoglio e nel 1597 era stato chiamato a sindacare l’attività del Luogotenente criminale del Governatore della Provincia del Patrimonio); Cesare fu notaio e nel 1567 si sposò con Ortensia Cordelli. In quell’anno figurava tra gli ufficiali del Monte di Pietà e nel 1586 era nell’amministrazione dell’Ospedale Grande, infine nel 1598 era Conservatore al Comune di Viterbo; Girolamo che nel 1564 risultava Priore e Conservatore del Comune di Viterbo; Federico, che aveva sposato la nobile Margherita Mancini, con atto del 1624 devolveva i suoi beni per la costruzione e avvio del Conservatorio del Buon Pastore: il monastero fu inaugurato nel 1632 e la chiesa annessa di S. Maria Egiziaca era stata consacrata l’anno prima; Andrea sposò Vittoria Petti di Caprarola avendone Flaminio che sposò nel 1660 Camilla Coretini e poi nel 1662 Olimpia Monticelli; da questo matrimonio derivarono Livia Anna e Andrea Giuseppe, morti ancora giovani. E qui sembra si sia fermata la discendenza viterbese dei Paoloni.I Paoloni, secondo Mario Signorelli, avevano lo stemma: d’argento, a sei losanghe d’azzurro Ma da una serie di disegni di stemmi settecenteschi, secondo Mauro Galeotti, conservati nella Biblioteca degli Ardenti, ci dice " trovo disegnato differentemente: alla colomba con in becco un rametto d’ulivo, tenente sotto le zampe un ramo, come poi confermato dagli stemmi ancora esistenti in loco". BIBL. e FONTI – Archivio storico del Comune di Viterbo, serie “Bandi ed editti”, faldone 3, anno 1585; faldone 4, anno 1597; faldone 5, anno 1608; faldone 8, anno 1663. N. Angeli, Famiglie viterbesi. Storia e cronaca. Genealogie e stemmi, Viterbo, 2003, pp. 377-379. [Scheda di Luciano Osbat – Cersal] https://www.gentedituscia.it/paoloni-famiglia/ Stemma Famiglia Pace o Paci Famiglia Pace o Paci è una famiglia nobile viterbese, forse d’origine pistoiese, che dalla Toscana si stabilì a Tuscania, e poi a Viterbo, dove è presente nei secc. XV-XVII, si può ammirare ancora oggi il loro palazzo a via San Lorenzo, altezza piazza della Morte, nella zona un tempo chiamata contrada San Simeone. I rappresentanti di questa famiglia sono sepolti alla Cattedrale di San Lorenzo nella cappella gentilizia intitolata ai santi Giacomo e Cristoforo; altre sepolture sono nella chiesa di Santa Maria in Gradi e di San Francesco. Di loro proprietà era un fondo con casino sulla strada che va a Santa Maria della Quercia, poi passato in possesso dei Liberati nel 705. Nel palazzo a via San Lorenzo dimorò negli anni 1496-1499 la beata Lucia Broccadelli da Narni che, giunta con il solo compito di riformare il convento domenicano di San Tommaso, divenne in breve quasi l’emblema religioso e civile di Viterbo; perciò il canonico Domenico fece porre nel 1661 una iscrizione commemorativa nella camera dove la beata aveva soggiornato e due anni dopo curò la riedizione della Vita della beata Lucia da Narni di Giacomo Marcianese, dedicandola alla duchessa Francesca Orsini Brancaccio. Altre iscrizioni commemorative sono all’esterno del palazzo. I Pace. esercitarono attività artigianali e commerciali: un Cesare nel sec. XVI, fu fabbro ferraio e suo figlio Domenico è detto lapicida, il figlio di Domenico, Girolamo era ortolano, ma doveva essere ricco, come suggerisce il suo soprannome Mancanulla. Suo figlio Domenico,fu canonico della collegiata di Sant’Angelo in Spatha, altri suoi figli furono Isidoro e Pietro Antonio furono speziali. Dopo l’epidemia di peste del 1657 si disse che i due fratelli si erano fatti ricchi vendendo miscele farmaceutiche spacciate come antidoto. Sta di fatto che la positiva esperienza li spinse ad acquistare da Caterina Nibby vedova Musacchi l’esercizio di speziale con bottega in piazza Santo Stefano, sotto palazzo Gatti e qui ebbero anche l’esclusiva per la vendita dell’allume di Tolfa. Ma Isidoro ebbe solo figlie femmine e Pietro Antonio molte femmine e il solo maschio Domenico, che ereditando nel 1697 si trovò l’obbligo di completare la cappella gentilizia in cattedrale. Pochi mesi dopo la morte del padre, Domenico vendeva il negozio di spezieria al giovane di bottega Lorenzo Speranza; qualche anno dopo, probabilmente alla fine del 1706 o inizio dell’anno successivo. Domenico venne assassinato da un Michelangelo De Vecchi, invano perseguito dalle sue sorelle. Così questa linea si estinse nel Settecento, l’ultima figlia di Pietro Antonio, Agnese, morì nel 1762; sembra però che in altre linee la famiglia Pace proseguisse, e forse da essa discendono gli attuali Pace di Viterbo, noti per personaggi attivi nel campo dell’informazione e dei pubblici servizi. Vedi Palazzo Grispigni Pace. Stemma tratto da : https://www.armoriale.it/wiki/Armoriale_delle_famiglie_italiane_(Pac) da vedere il Palazzo Grispigni Teloni Pace e gli Stemmi Palazzo Grispigni Bibliografia: Dal sito www.gentedituscia.it – Marocco, XIV, pp. 42-43; Scriattoli 1915-20, pp. 118, 119, 246; Signorelli 1968, p. 146; Carosi 1990, pp. 145-146; Angeli 2003, pp. 371-372, 787. Scheda di Saverio Franchi – Ibimus. Come arrivare a via Santa Maria Egiziaca Viterbo centro storico
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