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Piazza San Simeone, Viterbo centro storico, la piazza immette su via Orologio Vecchio e sulla via San Simeone. Da vedere il palazzo Scapellini. Presumibilmente la piazza e la via sono intitolate a San Simeone il Vecchio.

Palazzo Scapellini

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Palazzo Scapellini

Palazzo Scapellini piazza San Simeone, Viterbo, realizzato nel 1901 dall’omonima Cooperativa su disegno di Valerio Caposavi; sulle finestre del grande balcone sono scolpite la parole Virtus, Labor e Concordia, curioso il pipistrello raffigurato sotto il cornicione superiore

Famiglia Scapellini Viterbo, palazzo a piazza San Simeone,Viterbo non ho trovato notizie.

San Simeone il Vecchio

san simeone il vecchio vita opere storia a lui sono intitolate una piazza ed una via a viterbo centro

San Simeone il Vecchio

San Simeone il vecchio, vita opere storia, a lui è dedicata una piazza ed una via a Viterbo, Nato a Sisan, nella Siria settentrionale, verso il 388, morto il 2 settembre 459. Fu dapprima pastore e sui 15 anni si fece monaco, conducendo una vita di rigorosità così eccezionale che i suoi compagni lo giudicarono inadatto alla loro vita comune, e lo allontanarono. Ritiratosi in una capanna presso Tell Neshim, vi passò 3 anni in digiuno quasi continuo e rimanendo per penitenza quasi sempre ritto in piedi. Continuò poi queste usanze trasferendosi, verso il 420, prima sulla sommità assai stretta di una roccia del deserto, e poi in cima a colonne, di cui la prima era alta circa tre metri dal suolo, ma fu poi sostituita da altre sempre più elevate, fino a quasi venti metri; questa usanza fino allora sconosciuta, e praticata a scopo ascetico, fu imitata da altri, e dette origine all'istituzione degli stiliti, di cui questo Sa Simeone si può considerare il fondatore. Questo nuovo genere di vita suscitò grande meraviglia, e moltissimi anche pagani accorrevano a visitare S., che predicava invitando alla conversione i pagani e alla penitenza i cristiani; non mancarono tuttavia osservazioni contro di essa specie da parte dei monaci della Nitria. L'imperatore Teodosio ed Eudocia ebbero per San Simeone grande venerazione, e anche l'imperatore Leone accettò i consigli da lui comunicatigli per lettera in favore del concilio di Calcedonia. La vicenda di Simeone Stilita, così come ci è stata tramandata da Antonio, si sviluppa in tre fasi fondamentali: la giovinezza del santo, che entra in monastero e poi se ne va a vivere in eremitaggio su una colonna; il periodo trascorso sulla colonna, caratterizzato da una serie di atti miracolosi; infine la morte e l’inizio del culto a lui dedicato. Simeone apparteneva a una famiglia di contadini benestanti e da adolescente pascolava le greggi del padre; cominciò a frequentare la chiesa ogni domenica, venendo a contatto con la parola di Dio, senza tuttavia capirne il significato profondo. Il primo approccio alla religione, apparentemente sentimentale, rivela subito l’innata tendenza del personaggio all’eversione: Simeone abbandona, infatti, la famiglia e consacra la propria vita a Dio, entrando in monastero. All’archimandrita che domanda quale sia il suo nome, da dove venga e chi siano i suoi genitori, il santo risponde semplicemente di chiamarsi Simeone, di essere libero di nascita e di essere un peccatore in cerca di salvezza, ribadendo così la propria volontà di tagliare i legami con la vita terrena. Il monastero è luogo distinto dal mondo, ma in rapporto comunque con esso, inoltre la vita al suo interno è scandita da una serie di norme e di regole che il santo ribelle prende puntualmente a sovvertire, dedicandosi a un’ascesi estrema: dona il suo cibo ai poveri mangiando una sola volta alla settimana e si lega la corda del secchio, col quale si attingeva l’acqua dal pozzo, intorno alla vita, sotto una tunica di crine. Ben presto i monaci sviluppano un’aperta antipatia nei confronti dello strano confratello, che si priva dei mezzi di sussistenza e che comincia a emanare un odore fetido di cui non sanno darsi spiegazione, così come non si spiegano il proliferare di vermi nel suo giaciglio. Il conflitto coi compagni, che minacciano di lasciare il monastero, viene portato dinnanzi all’igumeno, che richiama Simeone alla regola del luogo e gli ordina di togliersi la veste per chiarire il mistero del suo terribile odore: le carni martoriate dalla corda sono così esposte alla vista di tutti e quest’azione di automortificazione violenta crea imbarazzo all’interno del monastero. L’archimandrita, più stupito che adirato, decide di espellere il corpo estraneo dalla sua comunità, invitando Simeone ad andare dove meglio crede. E Simeone, ancora una volta, sceglie un luogo ai limiti del mondo: un pozzo essiccato dal quale tutti si tenevano a distanza per la presenza di animali immondi, quali serpi e scorpioni, e spiriti maligni. A questo punto, nella vicenda irrompe per la prima volta il divino, sotto la forma di un sogno minaccioso inviato dal cielo all’archimandrita: una folla di fantasmi incappucciati e di bianco vestiti, con lampade tra le mani, circonda il suo monastero e minaccia di bruciarlo a causa dell’ingiusto allontanamento del santo. Al risveglio l’archimandrita spedisce i monaci a cercare Simeone, che a fatica viene rintracciato nel suo pozzo e riportato nella comunità, all’interno della quale vivrà per i successivi tre anni. Ma il posto del santo è fuori dal mondo, al quale il monastero è evidentemente troppo vicino; e così Simeone se ne va e si trasferisce nei pressi Talanis (Deir Sim‘an), dove vive per quattro anni all’interno di un piccolo recinto, esposto alle intemperie e al caldo soffocante, sostentandosi con acqua e lenticchie bagnate. La fama di questo strano personaggio cresce e molte persone cominciano a recarsi da lui; nel frattempo Simeone si costruisce una piccola colonna, una sorta di piedistallo alto poco meno di due metri, e vi rimane sette anni. La folla accorre sempre più numerosa a causa dei poteri miracolosi del santo e gli costruisce una colonna più imponente, alta circa 13 metri, racchiusa da due recinti concentrici, al più interno dei quali viene apposta una porta: su questa colonna Simeone rimarrà quindici anni. Il racconto di questa fase della vita dello stilita, secondo la versione di Antonio, è caratterizzata dalla narrazione di una serie di miracoli che per lo più ripetono moduli e topoi dell’agiografia tardoantica e bizantina, soprattutto quelli raccolti dal capitolo 22 al capitolo 27, riconosciuti da A.J. Festugière come aggiunte posteriori alla stesura dell’autore. È interessante sottolineare che il primo miracolo narrato nella Vita ha per soggetto la madre del santo, e dunque in qualche modo si ricollega al tema della scissione del legame familiare e in generale delle regole della normale socialità che si era notato all’inizio della narrazione. Infatti i genitori di Simeone non avevano mai disperato di riuscire a ricongiungersi al figlio e quando la madre viene a sapere dove si trova, si reca da lui e cerca di ricevere la sua benedizione, salendo con una scala lungo il fianco della colonna. Ma il tentativo è vano e il santo le manda a dire che quello non era il momento per loro di ricongiungersi: attenda pazientemente e “se saremo degni, ci incontreremo in questa vita”. Nell’attesa, tuttavia, la madre muore. Il suo cadavere viene deposto dinnanzi alla colonna del santo, il quale invocando Dio riesce a tradurre in realtà per qualche attimo la frase premonitrice: la madre, resuscitata per pochi istanti, riesce a rivedere il figlio e può definitivamente morire in pace. I miracoli operati dallo stilita vanno dalla guarigione di esseri umani e animali al dominio delle forze naturali, quali siccità, terremoti e tempeste marine. Alcuni interventi di Simeone presentano aspetti più strettamente politici, essendo volti a risolvere problemi legati al vivere sociale. Questo aspetto sociale dell’attività del santo, che è forse più presente nella vita siriaca, risalta in particolare in due occasioni. Ai capitoli 17 e 18 è narrato l’incontro tra Simeone e i Saraceni (nomadi arabi), in particolare tra il santo e un sovrano di questo popolo, che numeroso si fece convertire al cristianesimo dallo stilita. Il tema è effettivamente storico, poichè nella tarda antichità alcune tribù nomadi della zona si avvicinarono al cristianesimo; nello stesso tempo, l’incontro con il “re dei Saraceni” sottolinea il ruolo di subalternità del potere politico, da costui appunto incarnato, all’autorità dell’uomo santo. Il tema viene ripreso anche nella vicenda del capo dei briganti Antioco (cap. 20). Questo terribile avventuriero aveva messo in difficoltà la Siria intera, quando finalmente le autorità di Antiochia gli tendono un’imboscata. Antioco riesce comunque a mettersi in salvo in modo rocambolesco, fuggendo con le truppe alle calcagna fin sotto la colonna del santo. E qui inseguito ed inseguitori si arrestano: Simeone prende la parola e rivolge a ciascuna delle due parti un ammonimento. Ad Antioco ricorda che assieme a Cristo furono crocifissi due ladroni e che diversa fu la loro sorte, giacchè uno si pentì, mentre l’altro rimase nel peccato; ai soldati, invece, rammenta che solo Dio può arrogarsi la facoltà di decidere del destino di un uomo. Da queste parole non emerge la volontà del santo di chiamarsi fuori da una vicenda umana, riguardante il vivere sociale, ma al contrario un avvertimento all’autorità politica: Dio è il massimo giudice cui spetta di decidere sulla vita e la morte degli uomini. Pronunciato il breve discorso, il santo fa uscire i soldati e, rimasto solo col malfattore, si fa tramite dell’azione divina: Antioco infatti muore pentendosi del suo crimine, mentre ai soldati, che di nuovo reclamavano la consegna del brigante, Simeone dice semplicemente che costui era stato chiamato da Dio, il quale gli aveva inviato “due soldati spaventosi, armati, che avevano la forza di fulminare la vostra città con i suoi abitanti” Il ruolo di forte potere sociale ricoperto dal santo si fa particolarmente evidente alla fine del racconto di Antonio, quando sono riportate le vicende relative alla morte dello stilita. A questa parte del racconto hanno attribuito una grande importanza, dal punto di vista storico, sia A.J. Festugière, sia H. Delehaye, non sempre tuttavia seguiti dalla storiografia successiva[3]. Quello che qui comunque interessa non è tanto la vicenda del santo storico, quanto quella del santo in qualità di modello ideale. La narrazione di Antonio dal cap. 28 si fa più personale e torna con maggiore evidenza alla prima persona del prologo. È Antonio in persona infatti ad accertare la morte di Simeone, che non aveva benedetto la folla come suo solito, ma era rimasto immobile, apparentemente in preghiera. Prima preoccupazione di Antonio è quella di tenere il popolo all’oscuro dell’evento fino all’arrivo da Antiochia delle autorità, il vescovo Martirio e il generale (stratelates) Ardaburio, per evitare disordini legati sia all’emozione del momento, sia alla preservazione del cadavere dal pericolo di essere trafugato da abitanti dei villaggi vicini o dai Saraceni, che, come si diceva, avevano una devozione speciale per Simeone. Il corpo del santo diviene il centro della narrazione: esso risplende, emana un profumo celestiale e non presenta alcun segno di decomposizione. Intorno a quel corpo si raduna una folla sterminata di fedeli, che celebrano con salmi, incensi e candele un commosso funerale. E questo corpo conserva ancora poteri straordinari e miracolosi. Quando il vescovo Martirio si impadronisce di un pelo della barba del cadavere, per conservarlo come reliquia, la sua mano si rattrappisce e solo dopo ripetute preghiere e promesse da parte degli altri vescovi che lo accompagnavano, il malcapitato guarisce da quella improvvisa paralisi. Un ultimo miracolo sarà compiuto in presenza del feretro lungo la strada per Antiochia (cap. 31). Simeone sarà tumulato in questa città nella chiesa detta di Cassiano, quindi nella cattedrale, da dove le sue spoglie verranno traslate in una cappella appositamente edificata. Come i resti di molti altri santi, anche alcune parti del corpo di Simeone Stilita presero a viaggiare per il Mediterraneo. Alcune reliquie furono trasferite a Costantinopoli per desiderio di Daniele che, emulando Simeone, visse dal 460 al 493 su una colonna nei pressi della capitale dell’Impero d’Oriente. Presentatosi sulla scena come sovvertitore dell’ordine sociale e politico, il santo finisce con l’incarnare a sua volta un modello di potere alternativo, ma non troppo, a quello costituito. In occasione dei terremoti che colpirono ripetutamente la Siria, i fedeli si recarono da Simeone perchè facesse cessare il flagello: costui li sgrida aspramente ricordando loro che quella era la giusta punizione mandata da Dio a chi non osservava più i suoi precetti. Le preghiere di un solo uomo erano state ascoltate dal Signore e il santo lo fa venire sotto la colonna a rivelare agli astanti quali fossero i suoi meriti: “Io sono un contadino” - comincia l’interessato - “e mia abitudine è dividere il frutto della mia giornata, anche se per questo mi sono affaticato, in tre parti. Innanzitutto metto in serbo la parte dei poveri, poi l’imposta del fisco, e così la parte delle mie spese personali. E fino a questo giorno non ho cessato di agire in questo modo”. Questa è dunque l’immagine del buon coltivatore, un uomo ligio ai precetti della chiesa e dello stato. Come abbiamo visto, il deserto in cui si rifugia Simeone si popola ben presto di fedeli, di monaci seguaci e di personaggi illustri che si recano a chiedere consiglio. La colonna del santo si fa sempre più alta, per allontanarlo dalla folla, ma nello stesso tempo per renderlo ben visibile dalla pianura sottostante. La posizione scelta dall’eremita si rivela infatti particolarmente fortunata: la colonna si ergeva in cima allo sperone roccioso di Qal‘at Sim‘an, in un punto cruciale del massiccio calcareo della Siria settentrionale, dominante la pianura di Qatura. Una collocazione che potremmo definire ‘antipolitica’ nel senso etimologico del termine, poichè il luogo si trova fuori dalla polis (e capitale provinciale) di Antiochia, quasi di fronte, in opposizione ad essa verso l’interno del paese. Il santuario imponente, costruito intorno alla colonna e la cui prima fase di edificazione si protrasse dal 474 al 490 circa, sarà a lungo meta di pellegrinaggi e contribuirà a trasformare il sottostante villaggio agricolo di Talanis (oggi Deir Sim‘an) in un organizzato e florido centro di accoglimento di fedeli dello stilita[4]. Ecco dunque chiudersi il cerchio: dalla ribellione del santo si giunge alla formulazione di un modello di potere alternativo, ma assai ben radicato nel passato, capace di dare nuove spinte non solo ideali, ma anche economico-sociali al mondo greco-romano, nel momento di passaggio dall’antichità pagana al medioevo cristiano. Bibl: Giuseppe Ricciotti dalla Treccani e per maggiori informazioni vai a https://storicamente.org/mazza_2

Come arrivare a piazza San Simeone Viterbo

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