L’Ordine Agostiniano a Viterbo,
storia, questo ordine si insediò a
Viterbo molti secoli fa, probabilmente prima del
1236, rispondendo alla richiesta della Chiesa di
fare apostolato secondo i dettami di
Sant’Agostino, e pertanto i frati, si
trasferirono dall’eremo di Monterazzano, dove
risiedevano al colle
della Trinità a Viterbo. In quei tempi il
colle non era ancora protetto dalla cinta
muraria, e probabilmente vi era già un piccolo
oratorio. Il colle era detto delle Carbonaie
ed era separato dal resto della città dalla
valle Faul e dal
fiume Urciorno.
Il luogo era difeso da palizzate e
successivamente venne munito di
mura,
torri e fossati.
Un documento attesta che già nel 1256 i frati
eremitani di Sant’Agostino erano nel luogo ove
oggi c’è il convento
della Chiesa della Santissima Trinità.
Frà Giacomo era l’economo della comunità e a
nome del convento acquistò un pezzo di terra
situata fuori della
porta Bove, pertanto è probabile che tra
il 1251 e il 1255 i frati avessero gà aderito
all’Ordo Sant’Augustini
in Tuscia e che qui edificarono la
primitiva chiesa che aveva il suo ingresso
rivolto al colle San
Lorenzo e il
convento. La chiesa mantenne il suo
impianto gotico originario fino al ‘700, epoca
in cui venne demolita ed interamente
riedificata. Da una lapide posta all’interno
dell’attuale chiostro risalente al XIII secolo
si attesta che la consacrazione di questa chiesa
avvenne nel 1258 con la benedizione di
Papa Alessandro IV,che
allora risiedeva a Viterbo, cui presenziarono
anche vescovi e cardinali. I fedeli ebbero un
periodo di indulgenze elargite dal Papa se si
fossero recati a visitare la chiesa e avessero
dato elemosine. Il periodo in cui i frati
edificarono il convento
e la chiesa al
colle della Trinità,
fu lo stesso durante il quale venne anche
edificato il palazzo
Papale sul colle
San Lorenzo, opposto, dal momento che ,
anche i Papi si erano trasferiti da Roma a
Viterbo. Vi fu un periodo di grande fermento, si
edificò una nuova cinta
muraria che inglobò anche
il colle della Trinità.
I frati godettero dei favori della curia papale
e nel 1277 si svolse per la prima volta a
Viterbo uno dei Capitoli Generali dell’Ordine
Agostiniano. Nel 1277 alla morte di
Papa Giovanni XXI,
arrivarono a Viterbo Cardinali e prelati per
partecipare al conclave per la elezione del
nuovo Papa, alla fine del 1277 venne eletto
Papa Nicolò III.
Il convento e la chiesa
della Trinità divennero uno dei più
importanti della Provincia Romana. Il Capitolo
di Centocelle nel 1290 stabilì che nel convento
si conservassero tutte le lettere papali
pertinenti alla Provincia Romana, diventando
quindi la sede dell’Archivio provinciale che
poi, si arricchì di una importante biblioteca.
Regola di Sant’Agostino,
L’Ordine di Sant’Agostino, nei suoi rami
maschile e femminile, Agostiniani e Agostiniane,
è sorto in Italia agli inizi del secolo XIII, a
partire dall’unione, promossa dalla Sede
Apostolica, di varie espressioni di vita
eremitica che seguivano la Regola di S.
Agostino. L’unione delle congregazioni
eremitiche avvenne a Roma, nella Basilica di
Santa Maria del Popolo, da qui il termine “la
Grande Unione” che designa quell’evento, e fu
confermata dal papa Alessandro IV con la bolla
Licet Ecclesiae Catholicae del 9 aprile 1256. Il
nuovo Ordine, in pochi decenni, si diffuse in
Italia, con un migliaio di presenze dal 1256 ad
oggi, sia in Italia che in tutti i paese
europei, diventando, insieme ai Francescani e ai
Domenicani, una delle maggiori forze motrici di
una grande riforma della Chiesa, della cultura e
della società europee.
Regola di Sant’Agostino
Prologo
1. Fratelli carissimi, si ami anzitutto Dio e
quindi il prossimo, perché sono questi i
precetti che ci vennero dati come fondamentali.
2. Questi poi sono i precetti che prescriviamo a
voi stabiliti nel monastero.
Capitolo 1 – Scopo e fondamento della vita
comune
3. Il motivo essenziale per cui vi siete insieme
riuniti è che viviate unanimi nella casa e
abbiate una sola anima e un sol cuore protesi
verso Dio.
4. Non dite di nulla: “E’ mio”, ma tutto sia
comune fra voi. Il superiore distribuisca a
ciascuno di voi il vitto e il vestiario; non
però a tutti ugualmente, perché non avete tutti
la medesima salute, ma ad ognuno secondo le sue
necessità. Infatti così leggete negli Atti dagli
Apostoli: Essi avevano tutto in comune e si
distribuiva a ciascuno secondo le sue necessità.
5. Chi, da secolare, possedeva dei beni, entrato
che sia nel monastero, li trasmetta volentieri
alla Comunità.
6. Chi poi non ne possedeva, non ricerchi nel
monastero ciò che nemmeno fuori poteva avere.
Tuttavia si vada incontro ai bisogni della sua
insufficienza, anche se, quando egli si trovava
fuori, la sua povertà non era neppure in grado
di procurargli l’indispensabile. Solo che non si
ritenga felice per aver conseguito quel vitto e
quelle vesti che fuori non si poteva permettere.
7. Né si monti la testa per il fatto di essere
associato a chi, nel mondo, nemmeno osava
avvicinare, ma tenga il cuore in alto e non
ricerchi le vanità della terra, affinché i
monasteri, se ivi i ricchi si umiliano e i
poveri si vantano, non comincino ad essere utili
ai ricchi e non ai poveri.
8. D’altra parte, quelli che credevano di valere
qualcosa nel mondo, non disdegnino i loro
fratelli che sono pervenuti a quella santa
convivenza da uno stato di povertà. Vogliano
anzi gloriarsi non della dignità di ricchi
genitori ma della convivenza con i fratelli
poveri. Né si vantino per aver trasferito alla
Comunità qualche parte dei loro beni; né il
fatto di distribuire al monastero le loro
ricchezze, anziché averle godute nel mondo,
costituisca per essi motivo di maggiore
orgoglio. Se infatti ogni altro vizio spinge a
compiere azioni cattive, la superbia tende
insidie anche alle buone per guastarle; e che
giova spogliarsi dei propri beni dandoli ai
poveri e diventare povero, se la misera anima
nel disprezzare le ricchezze diviene più superba
che non quando le possedeva?
9. Tutti dunque vivete unanimi e concordi e, in
voi, onorate reciprocamente Dio di cui siete
fatti tempio.
Capitolo 2 – La preghiera
10. Attendete con alacrità alle preghiere nelle
ore e nei tempi stabiliti.
11. L’oratorio sia adibito esclusivamente allo
scopo per cui è stato fatto e che gli ha dato il
nome. Se perciò qualcuno, avendo tempo, volesse
pregare anche fuori dalle ore stabilite, non ne
sia ostacolato da chi abbia ritenuto conveniente
adibire l’oratorio a scopi diversi.
12. Quando pregate Dio con salmi ed inni,
meditate nel cuore ciò che proferite con la
voce.
13. E non vogliate cantare se non quanto è
prescritto per il canto. Evitate quindi ciò che
al canto non è destinato.
Capitolo 3 – Frugalità e mortificazione
14. Domate la vostra carne con digiuni ed
astinenza dal cibo e dalle bevande, per quanto
la salute lo permette. Ma se qualcuno non può
digiunare, non prenda cibi fuori dell’ora del
pasto se non quando è malato.
15. Sedendo a mensa e finché non vi alzate,
ascoltate senza rumore e discussioni ciò che
secondo l’uso vi si legge, affinché non si sfami
soltanto la gola, ma anche le orecchie
appetiscano la parola di Dio.
16. Se alcuni vengono trattati con qualche
riguardo nel vitto perché più delicati per il
precedente tenore di vita, ciò non deve recare
fastidio né sembrare ingiusto a quegli altri che
un differente tenore ha reso più forti. Né
devono crederli più fortunati perché mangiano
quel che non mangiano essi; debbono anzi
rallegrarsi con se stessi per essere capaci di
maggiore frugalità
17. Così pure, se a quanti venuti in monastero
da abitudini più raffinate si concedono abiti,
letti e coperte che non si danno agli altri che
sono più robusti e perciò veramente più
fortunati, quest’ultimi devono considerare
quanto i loro compagni siano scesi di livello
passando dalla loro vita mondana a questa,
benché non abbiano potuto eguagliare la
frugalità di coloro che sono di più forte
costituzione fisica. E poi, non debbono tutti
pretendere quelle cose che sono concesse in più
ad alcuni non per onore ma per tolleranza, onde
evitare quel disordine detestabile per cui in
monastero i ricchi si mortificano quanto più
possono, mentre i poveri si fanno schizzinosi.
18. D’altra parte, siccome gli ammalati devono
mangiar meno per non aggravarsi, durante la loro
convalescenza dovranno esser trattati in modo da
potersi ristabilire al più presto, anche se
provenissero da una povertà estrema; infatti la
recente malattia ha loro procurato quello stato
di debolezza che il precedente tenore di vita
aveva lasciato nei ricchi. Ma appena si siano
ristabiliti, tornino alla loro vita normale, che
è certamente più felice, poiché è tanto più
consona ai servi di Dio quanto meno è esigente.
Ormai guariti, il piacere non li trattenga in
quella vita comoda a cui li avevano sollevati le
esigenze della malattia. Si considerino anzi più
ricchi se saranno più forti nel sopportare la
frugalità, perché è meglio aver meno bisogni che
possedere più cose.
Capitolo 4 – Custodia della castità e correzione
fraterna
19. Il vostro abito non sia appariscente; non
cercate di piacere per le vesti ma per il
contegno.
20. Quando uscite, andate insieme ed insieme
rimanete quando sarete giunti a destinazione.
21. Nel modo di procedere o di stare, in ogni
vostro atteggiamento, non vi sia nulla che
offenda lo sguardo altrui ma tutto sia consono
al vostro stato di consacrazione.
22. Gli occhi, anche se cadono su qualche donna,
non si fissino su alcuna. Certo, quando uscite,
non vi è proibito veder donne, ma sarebbe grave
desiderarle o voler essere da loro desiderati,
perché non soltanto con il tatto e l’affetto ma
anche con lo sguardo la concupiscenza di una
donna ci provoca ed è a sua volta provocata. E
perciò non dite di avere il cuore pudico se
avete l’occhio impudico, perché l’occhio
impudico è rivelatore di un cuore impudico.
Quando poi due cuori si rivelano impuri col
mutuo sguardo, anche senza scambiarsi una
parola, e si compiacciono con reciproco ardore
del desiderio carnale, la castità fugge
ugualmente dai costumi anche se i corpi
rimangono intatti dall’immonda violazione,
23. Ed inoltre chi fissa gli occhi su una donna
e si diletta di essere da lei fissato, non si
faccia illusione che altri non notino questo suo
comportamento; è notato certamente e persino da
chi non immaginava. Ma supposto che rimanga
nascosto e nessuno lo veda, che conto farà di
Colui che scruta dall’alto e al quale non si può
nascondere nulla? Dovrà forse credere che non
veda, perché nel vedere è tanto più paziente
quanto più è sapiente? L’uomo consacrato tema
dunque di spiacere a Dio per non piacere
impuramente ad una donna; pensi che Dio vede
tutto, per non desiderare di vedere impuramente
una donna, ricordando che anche in questo caso
si raccomanda il Suo santo timore dov’è scritto:
E’ detestato dal Signore chi fissa lo sguardo.
24. Quando dunque vi trovate insieme in chiesa e
dovunque si trovino pure donne, proteggete a
vicenda la vostra pudicizia. Infatti quel Dio
che abita in voi, vi proteggerà pure in questo
modo, per mezzo cioè di voi stessi .
25. E se avvertite in qualcuno di voi questa
petulanza degli occhi di cui parlo, ammonitelo
subito, affinché il male non progredisca ma sia
stroncato fin dall’inizio.
26. Se poi, anche dopo l’ammonizione, lo vedrete
ripetere la stessa mancanza in quel giorno o in
qualsiasi altro, chiunque se ne accorga lo
riveli come se si trattasse di un ferito da
risanare. Prima però lo indichi ad un secondo o
a un terzo, dalla cui testimonianza potrà essere
convinto e quindi, con adeguata severità,
indotto ad emendarsi. Non giudicatevi malevoli
quando segnalate un caso del genere; al
contrario non sareste affatto più benevoli se
tacendo permetteste che i vostri fratelli
perissero, mentre potreste salvarli parlando. Se
infatti tuo fratello avesse una ferita e volesse
nasconderla per paura della cura, non saresti
crudele nel tacerlo e pietoso nel palesarlo?
Quanto più dunque devi denunziarlo perché non
imputridisca più rovinosamente nel cuore?
27. Tuttavia, qualora dopo l’ammonizione abbia
trascurato di correggersi, prima di indicarlo
agli altri che dovrebbero convincerlo se nega,
si deve parlarne preventivamente al superiore:
si potrebbe forse evitare così, con un
rimprovero più segreto, che lo sappiano altri.
Se negherà, allora al preteso innocente si
opporranno gli altri testimoni: alla presenza di
tutti dovrà essere incolpato non più da uno solo
ma da due o tre persone e, convinto, sostenere,
a giudizio del superiore o anche del presbitero
competente, la punizione riparatrice. Se
ricuserà di subirla, anche se non se ne andrà
via spontaneamente, sia espulso dalla vostra
comunità. Neppure questo è atto di crudeltà ma
di pietà, per evitare che rovini molti altri col
suo contagio pestifero.
28. Quanto ho detto sull’immodestia degli occhi,
si osservi con diligenza e rettitudine anche
nello scoprire, proibire, giudicare, convincere
e punire le altre colpe, usando amore per le
persone e odio per i vizi.
29. Chiunque poi fosse andato tanto oltre nel
male da ricevere di nascosto da una donna
lettere o qualsiasi dono anche piccolo, se lo
confesserà spontaneamente gli si perdoni
pregando per lui; se invece sarà colto sul fatto
e convinto, lo si punisca molto severamente, a
giudizio del presbitero o del superiore.
Capitolo 5 – Oggetti d’uso quotidiano e loro
custodi
30. Conservate i vostri abiti in un luogo unico,
sotto uno o due custodi o quanti baste ranno a
ravviarli per preservarli dalle tarme; e, come
siete nutriti da una sola dispensa, così
vestitevi da un solo guardaroba. Se possibile,
non curatevi di quali indumenti vi vengano dati
secondo le esigenze della stagione, se cioè
riprendete quello smesso in passato o uno
diverso già indossato da un altro; purché non si
neghi a nessuno l’occorrente. Se invece da ciò
sorgono tra voi discussioni e mormorazioni, se
cioè qualcuno si lamenta di aver ricevuto una
veste peggiore della precedente e della
sconvenienza per lui di vestire come si vestiva
un altro suo confratello, ricavatene voi stessi
una prova di quanto vi manchi del santo abito
interiore del cuore, dato che litigate per gli
abiti del corpo. Comunque, qualora questa vostra
debolezza venga tollerata e vi si consenta di
riprendere quello che avevate deposto, lasciate
nel guardaroba comune e sotto comuni custodi
quello che deponete.
31. Allo stesso modo nessuno mai lavori per se
stesso ma tutti i vostri lavori tendano al bene
comune e con maggior impegno e più fervida
alacrità che se ciascuno li facesse per sé.
Infatti, la carità di cui è scritto che noncerca
il proprio tornaconto, va intesa nel senso che
antepone le cose comuni alle proprie, non le
proprie alle comuni. Per cui vi accorgerete di
aver tanto più progredito nella perfezione
quanto più avrete curato il bene comune
anteponendolo al vostro. E così su tutte le cose
di cui si serve la passeggerà necessità, si
eleverà l’unica che permane: la carità.
32. Ne consegue pure che, se qualcuno porterà ai
propri figli o ad altri congiunti stabiliti in
monastero un oggetto, come un capo di vestiario
o qualunque altra cosa, non venga ricevuto di
nascosto, anche se ritenuto necessario; sia
invece messo a disposizione del superiore
perché, posto fra le cose comuni, venga
distribuito a chi ne avrà bisogno. Perciò se
qualcuno avrà tenuto nascosto l’oggetto
donatogli, sia giudicato colpevole di furto.
33. I vostri indumenti siano lavati secondo le
disposizioni del superiore da voi o dai
lavandai: eviterete così che un eccessivo
desiderio di vesti troppo pulite contagi l’anima
di macchie interiori.
34.
Anche la lozione del corpo, quand’è necessaria
per ragioni di malattia, non si deve mai negare,
ma si faccia su consiglio del medico e senza
critiche; per cui, anche contro la propria
volontà, al comando del superiore il malato
faccia quanto si deve fare per la salute. Se
invece lui lo vuole e può risultargli dannoso,
non si accondiscenda al suo desiderio: talvolta
ciò che piace è ritenuto utile, anche se nuoce.
35. Infine, trattandosi di sofferenze fisiche
nascoste, si dovrà credere senza esitazione
servo di Dio chi manifesta la propria
indisposizione. Si consulti però il medico, se
non si è certi che per guarirlo giova ciò che
gli piace.
36. Ai bagni o dovunque sarà necessario andare,
non si vada in meno di due o tre. E chi ha
necessità di portarsi in qualche luogo, dovrà
andarvi non con chi vuole ma con chi gli sarà
indicato dal superiore.
37. La cura degli ammalati, dei convalescenti e
degli altri che anche senza febbre soffrano
qualche indisposizione, sia affidata ad uno
solo, che ritiri personalmente dalla dispensa
quel che avrà giudicato necessario a ciascuno.
38. I custodi della dispensa, del guardaroba e
della biblioteca servano con animo sereno i loro
fratelli.
39. I libri si chiedano giorno per giorno alle
ore stabilite; e non si diano a chi li chiederà
fuori orario.
40. Ma vesti e calzature, se necessarie a chi le
chiede, vengano date senza indugio da chi le ha
in custodia.
Capitolo 6 – Il condono delle offese
41. Liti non abbiatene mai, o troncatele al più
presto; altrimenti l’ira diventa odio e
trasforma una paglia in trave e rende l’anima
omicida. Così infatti leggete: Chi odia il
proprio fratello è un omicida.
42. Chiunque avrà offeso un altro con insolenze
o maldicenze o anche rinfacciando una colpa, si
ricordi di riparare al più presto il suo atto. E
a sua volta l’offeso perdoni anche lui senza
dispute. In caso di offesa reciproca, anche il
perdono dovrà essere reciproco, grazie alle
vostre preghiere che quanto più frequenti tanto
più dovranno essere sincere. Tuttavia chi, pur
tentato spesso dall’ira, è però sollecito a
impetrare perdono da chi riconosce d’aver
offeso, è certamente migliore di chi si adira
più raramente ma più difficilmente si piega a
chiedere perdono. Chi poi si rifiuta sempre di
chiederlo o non lo chiede di cuore, sta nel
monastero senza ragione alcuna, benché non ne
sia espulso. Astenetevi pertanto dalle parole
offensive; ma se vi Fossero uscite di bocca, non
vi rincresca di trarre i rimedi da quella stessa
bocca che diede origine alle ferite.
43. Quando però per esigenze di disciplina siete
indotti a usare parole dure nel correggere gli
inferiori, non si esige da voi che ne chiediate
perdono, anche se avvertire di aver ecceduto:
per salvare un’umiltà sovrabbondante non si può
spezzare il prestigio dell’autorità presso chi
deve starvi soggetto. Bisogna però chiederne
perdono al Signore di tutti, che sa con quanta
benevolenza amiate anche coloro che forse
rimproverate più del giusto. L’amore tra voi,
però, non sia carnale, ma spirituale.
Capitolo 7 – Spirito dell’autorità e
dell’obbedienza
44. Si obbedisca al superiore come ad un padre,
col dovuto onore per non offendere Dio nella
persona di lui. Ancor più si obbedisco al
presbitero che ha cura di tutti voi.
45. Sarà compito speciale del superiore far
osservare tutte queste norme; non trascuri per
negligenza le eventuali inosservanze ma vi ponga
rimedio con la correzione. Rimetta invece al
presbitero, più autorevole su di voi, ciò che
supera la sua competenza o le sue forze.
46. Chi vi presiede non si stimi felice perché
domina col potere ma perché serve con la carità.
Davanti a voi sia tenuto in alto per l’onore;
davanti a Dio si prostri per timore ai vostri
piedi. Si offra a tutti come esempio di buone
opere; moderi i turbolenti, incoraggi i timidi,
sostenga i deboli, sia paziente con tutti.
Mantenga con amore la disciplina, ne imponga il
rispetto; e, sebbene siano cose necessarie
entrambe, tuttavia preferisca piuttosto di
essere amato che temuto, riflettendo
continuamente che dovrà rendere conto di voi a
Dio.
47. Perciò, obbedendo maggiormente, mostrerete
pietà non solo di voi stessi ma anche di lui,
che si trova in un pericolo tanto più grave
quanto più alta è la sua posizione tra voi.
Capitolo 8 – Osservanza della Regola
48. Il Signore vi conceda di osservare con amore
queste norme, quali innamorati della bellezza
spirituale ed esalanti dalla vostra santa
convivenza il buon profumo di Cristo, non come
servi sotto la legge, ma come uomini liberi
sotto la grazia.
49. Perché poi possiate rimiravi in questo
libretto come in uno specchio onde non
trascurare nulla per dimenticanza, vi sia letto
una volta la settimana. Se vi troverete ad
adempiere tutte le cose che vi sono scritte,
ringraziatene il Signore, donatore di ogni bene.
Quando invece qualcuno si avvedrà di essere
manchevole in qualcosa, si dolga del passato, si
premunisca per il futuro, pregando che gli sia
rimesso il debito e non sia ancora indotto in
tentazione.
Bibliografia:
S. Agostino, La regola, Nuova Biblioteca
Agostiniana – Città Nuova., Luc Verheijen, La
regola di S. Agostino, 2 voll. Ed. Augustinus.
Ordine degli Agostiniani
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